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Trento, Convegno CIRGIS sui cambiamenti climatici

Lo scorso fine settimana si è tenuto a Trento un congresso organizzato dalla fondazione CIRGIS sui cambiamenti climatici. Qui trovate tutte le informazioni congressuali. Come chi avrà la pazienza di leggere potrà notare, ho avuto l’onore ed il piacere di essere tra i relatori nella seconda giornata di lavori. Purtroppo non ho potuto presenziare alla prima sessione nella giornata di venerdì, per cui quelle che sto per proporvi sono le mie impressioni limitate ad una sola parte dell’evento.

Per ovvie ragioni non parlerò dell’oggetto del mio contributo, né specificatamente di quello degli altri relatori, tutte cose che potremo vedere quando saranno pubblicati gli atti del convegno. Si dovrà soltanto avere un po’ di pazienza.

Si è trattato di un evento interessante e molto partecipato, in cui, una volta tanto, pur in presenza di una certa difformità di opinioni, la discussione non ha mai raggiunto toni di contrapposizione. Di questo va dato atto certamente all’organizzazione, risultata tra l’altro impeccabile sotto tutti gli aspetti.

Tuttavia anche in questo evento, la “gioiosa macchina da guerra del clima che cambia” ha combattuto e probabilmente vinto la sua battaglia. La gran parte delle trattazioni, considerazioni e valutazioni espresse, è stata infatti caratterizzata da un comune denominatore: l’assunto che il clima cambi e che lo faccia inevitabilmente per cause antropiche. In questo quadro sono state presentate e spiegate anche molte iniziative di respiro locale, territoriale, nazionale e globale, che se hanno l’indubbio pregio di rispondere a criteri di prudenza, ragionevolezza e razionalizzazione delle risorse, rischiano però di perdere di vista il contatto con la realtà delle dinamiche del clima per come esse si stanno sviluppando.

Abbiamo visto scenari di riduzione delle precipitazioni sul mediterraneo nel quadro dei possibili impatti del climate change sul turismo datate nell’anno 2001 e proiettate alla fine di questo secolo, passate all’uditorio omettendo di specificare che “ad esempio” negli ultimi 10 anni sul meridione del paese le precipitazioni sono sempre state superiori alla media climatica, con l’unica eccezione dell’anno 2008. Non credo si possa avere alcun interesse a smentire scenari che se va bene potranno vedere i nipoti dei miei nipoti, forse però sarebbe opportuno che chi li pensa e li prospetta, suggerendo spesso al contempo rimedi di varia natura, prendesse atto che già nella culla queste proiezioni sembra “facciano acqua” da tutte le parti (perdonatemi la battuta).

Abbiamo visto l’implementazione di un indice di cambiamento climatico, volto a semplificare la comprensione del problema per il grande pubblico, che tiene conto dell’andamento delle temperature e delle dinamiche dei ghiacci artici, le prime in aumento i secondi in diminuzione, della concentrazione di CO2, anch’essa certamente in aumento, e del livello dei mari. Bene, fattori chiave che è giusto controllare attentamente. Ma, con pari attenzione registriamo che nel computo mancano ad esempio i ghiacci antartici, che invece continuano ad aumentare, né ci si preoccupa di specificare che tale indice, con una mirabile operazione di cherry picking, prende in esame soltanto i dati dell’ultimo trentennio, escludendo il periodo del secolo scorso in cui le temperature medie superficiali sono diminuite, e per il quale poco o nulla si sa dell’andamento del ghiaccio marino.

Abbiamo visto, con riferimento al territorio, degli elementi di preoccupazione per le dinamiche climatiche dell’area alpina, da cui nascono molteplici iniziative di monitoraggio e mitigazione, nell’esporre le quali si è però omesso di dire che le condizioni di innevamento degli ultimi anni sono ottimali (in barba alle previsioni) e che i bacini idrografici e le falde acquifere sono al colmo, in un contesto di prognosi che invece dovrebbe vedere il nostro territorio minacciato dalla desertificazione.

Nessuno è parso interessato dal fatto che le temperature medie superficiali del pianeta sono stabili da un decennio e prive di trend statisticamente significativo da un quindicennio (sempre in barba alle previsioni). Tutto questo non esclude la possibilità che esista un forcing antropico di lungo periodo sulle dinamiche del clima, ma certamente ne impedisce la definizione quantitativa.

Per cui, al di la’ delle lodevoli e ragionevoli intenzioni di aumentare l’efficienza dell’uso delle risorse e dell’approccio al territorio, in assenza di questa determinazione quantitativa, dal punto di vista scientifico, in che direzione vanno queste iniziative? Quale e’ la loro valenza ai fini della definizione del problema dei cambiamenti climatici? Facciamo un esempio, sul meridione del paese, che si fa, si potenziano le opere di consolidamento del territorio per fronteggiare piogge abbondanti o si costruiscono grandi invasi per raccogliere la poca acqua che dovrebbe accadere secondo quanto dicono gli scenari? E sulle alpi, si cerca di individuare nuove aree di sfruttamento turistico del territorio diverse dagli sport invernali o si cerca di consolidare i crinali montuosi per proteggere le comunità montane da un innevamento abbondante?

Possibile che nessuno voglia ammettere o si renda conto che pensando di impedire al neonato di essere affetto da colpi di calore tra cento anni si trascura il fatto che possa avere il raffreddore domani?

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Published inAttualitàNews

Un commento

  1. Un breve resoconto sulle relazioni del giorno prima posso tentare di fornirle io. Il primo relatore, il Prof. Orombelli, si è soffermato parecchio su tutti i profili paleoclimatici a partire dalle scale geologiche per giungere alle ricerche sulle perforazioni Vostok e Dome C per poi trattare le oscillazioni oloceniche da 20000 BP fino ai nostri giorni. E’ stata una relazione ricognitoria dove non è mancato il dato sull’accrescimento in atto sui ghiacciai antartici e, più in generale, sul ruolo ricoperto dai cicli di Milankovich sulle oscillazioni climatiche long-range. Relazione equilibrata che non è entrata nel merito delle prospettive future del clima.
    La seconda relazione, della Dott.ssa Cagnazzo (CMCC) si sono affrontato molti aspetti sui controversi modelli climatici senza però riuscire ad approfondirli in modo adeguato. Soprattutto, com’era intuibile, non sono stati proposti approcci dubitativi sulla validità o meglio sull’incertezza che deve essere ritenuta implicita in questi modelli.
    La terza Relazione (Dott. Barbiero) è stata in linea con gli scenari proposti dall’IPCC; è stato trattato l’impatto che questi scenari potrebbero avere sul sistema alpino.
    Il Prof. Zardi (quarta relazione) ha considerato la climatologia trentina alla luce dei dati globali (Gisstemp ed altri) mostrando come gli andamenti termici in questa Regione sono allineati ai dati globali pur con oscillazioni in media più ampie. Relazione equilibrata, sfumata (a mio parere) rispetto agli assunti IPCC.
    L’ultima relazione della giornata ad opera della Prof.ssa Inglisa, molto interessante, si è presentata una ricerca quantitativa sul ruolo giocato dai media sui cambiamenti climatici, è stato esaminato l’approccio di quotidiani e TG (e televisione in generale, ad esempio con l’analisi quantitativa sull’approccio catastrofista delle televisione rispetto a posizioni talvolta più sfumate ed in qualche caso critiche sulla questione da parte dei quotidiani.

    Quanto alle considerazioni di Guidi certamente rispondono al vero, in alcuni casi si è data per scontata l’ineluttabilità del cambiamento climatico passando automaticamente a soluzioni di prospettiva univoche e non articolate.

    Saluti
    VCondemi

    Reply
    Dott. Condemi buongiorno,
    innanzi tutto grazie per aver voluto arricchire la mia breve relazione con i contenuti della discussione del primo giorno di convegno che, come anticipato, sarà più che mai interessante leggere per esteso in occasione della pubblicazione degli atti.
    Quanto al messaggio di ineluttabilità dei cambiamenti in atto, ovvero al fatto che essi debbano necessariamente essere attribuiti al forcing antropico, e di conseguenza affrontati con policy di mitigazione, ciò apre, come accade anche in molte altre aree ove si trattano questi argomenti, un fronte di discussione quanto mai interessante, connesso con la scelta di rinunciare del tutto o in parte a comunicare l’incertezza, al fine di trasmettere un messaggio che permetta ai decisori di fare delle scelte. E’ un argomento che sarà presto trattato anche su queste pagine.
    Grazie ancora,
    gg

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