Alcuni giorni fa, sabato 9 e domenica 10 ottobre, c’era un po’ di eccitazione in vari centri di previsione meteorologica, almeno in quelli che adoperano il modello del centro europeo, l’IFS-ECMWF. Le carte, infatti, mostravano la formazione dopo tre giorni di un ciclone alla scala sub-sinottica molto profondo e simmetrico nei pressi delle Baleari che, viaggiando successivamente vicino alle coste dell’Africa settentrionale, avrebbe potuto investire in pieno la Sicilia.
Prima di addentrarci nell’argomento, permettetemi un veloce flashback al 14 dicembre del 1985. Quel giorno, uno studente, che grazie a due genitori attenti seguiva i propri sogni presso quella che allora era, credo, l’unica università con un gruppo consolidato di fisica dell’atmosfera, era sulla strada di casa e osservava delle strane strutture di nubi cirriformi sopra il mar Ionio. Al momento del quotidiano appuntamento serale con “Che tempo che fa”, allora unica fonte d’informazione meteorologica, Andrea Baroni mi fece capire perché quelle nuvole, in fondo si trattava solo di cirri, avessero catturato la mia attenzione: erano la spirale più occidentale di quello che assomigliava ad un ciclone tropicale, la cui traiettoria prevista da Baroni tagliava la Sicilia sud-orientale. Chi può dimenticare quella notte dopo il lungo viaggio da Bologna passata alla finestra che guardava ad est, insieme al fratello (due “meteomatti” in una famiglia, sarà mica una tara ereditaria, vero papà?), nell’attesa di essere investiti in pieno “dall’uragano”. A parte lievi bagliori lontanissimi sullo Ionio, dalla nostra postazione a 500 metri di quota non abbiamo visto nient’altro d’interessante. Un paio di giorni dopo, la stampa locale, che aveva seguito con altrettanta eccitazione l’evolversi della situazione, riportò solo di una leggera burrasca sulla punta di Capo Passero. Il ciclone, infatti, si era diretto verso meridione, cambiando la direzione che aveva tenuto fino al pomeriggio del 14.
E’ con grande sorpresa che oggi vi propongo le immagini satellitari di quell’evento, contenute nel seguente video su YouTube:
Quella fu la prima volta che incontrai un “medicane”, il nome bizzarro con cui qualcuno ha pensato di nominare questi cicloni simil-tropicali.
Tornando ai nostri giorni, eccovi la previsione numerica, emessa il 10 ottobre e valida per le ore centrali del 13, dell’altezza e temperatura della 500 hPa e della pressione e del vento al suolo.
La mappa della situazione prevista al suolo mostra chiaramente la stretta circolazione ciclonica su Maiorca mentre, ad un’altezza di circa 5600 metri, è davvero evidente il “warm core”, il nucleo centrale più caldo di tre o quattro gradi rispetto all’ambiente circostante, tipico di queste strutture simil-tropicali, oltre che di quelle tropicali.
Il 12 ottobre un agenzia dell’ANSA recitava: “…raro ciclone tropicale nel Mediterraneo”.
Accipicchia, una mattina mi sveglio e mi ritrovo ai Caraibi senza aver comprato un biglietto aereo! Che fortuna!
Leggendo il testo dell’ANSA, sembra di capire che il titolo “…raro ciclone tropicale nel Mediterraneo” sia frutto dell’ANSA stessa e non dell’ARPAL fonte della notizia. Ma per saperlo con certezza bisognerebbe chiedere all’ARPAL medesima.
Nel testo di quel comunicato, infatti, si fa riferimento solo ad una “vicinanza ai cicloni tropicali” anche se, purtroppo, ci sono alcune inesattezze sulle caratteristiche dinamiche del fenomeno, in particolare riguardo al warm core.
I cicloni mediterranei, simil-tropicali, furono scoperti quando si lanciarono i primi satelliti negli anni ’60, ma furono poi riscoperti alla fine degli anni ’70, quando le osservazioni dallo spazio diventarono sistematiche. C’è stata una certa produzione di lavori scientifici sull’argomento, sia da parte di chi vive in zona, sia da parte di scienziati dalla caratura di Kerry Emanuel del MIT, e vi rimando al sito di Wikipedia o sui fenomeni temporaleschi per trovare la letteratura del caso, anche se non condivido tutto quanto vi sia detto.
Alle nostre latitudini eventi simil-tropicali non sono rari, ma non bisogna mai scordarsi che noi non siamo ai tropici, per il solo e semplice fatto che la latitudine è quella che è e che la circolazione generale dall’atmosfera non potrà mai essere quella di quelle latitudini. Chiunque parla di fenomeni tropicali o di “tropicalizzazione”, non sa quello che dice!
Questo non vuol dire che non ci possano essere delle somiglianze in certe dinamiche.
Scendendo nel dettaglio, i cicloni delle nostre latitudini, detti per l’appunto “extratropicali”, ricevono la loro energia dalla trasformazione di energia potenziale in energia cinetica (di movimento), a causa delle differenze di temperatura lungo alcune zone particolari (ad esempio il fronte polare). Il concetto pare difficile, ma se pensate ad una vasca divisa sulla verticale in due scomparti, uno pieno di acqua calda e l’altro pieno di acqua più fredda, appena togliete il divisorio, sapete già che il sistema è molto instabile e il fluido si mette in moto (energia cinetica) per ristabilire un certo equilibrio che vuole il freddo sotto (perché è più denso) e il caldo sopra. Questo tipo di instabilità (dovuta alla differenza d’energia potenziale che la gravità terrestre imprime su masse d’aria a diversità densità) è detta “baroclina” ed è caratterizzata da un forte aumento del vento con la quota (o shear verticale).
Una volta che il ciclone si forma e rimescola le cose, se le differenze di temperatura sono annullate, esso non sarà più baroclino, ma può ricevere ancora energia dall’instabilità dovuta alle diverse velocità del vento che si trovano in questo caso su di piano orizzontale, quale quello della superficie del mare. Tale instabilità è detta “barotropica” e non è difficile da capire se pensate ad un fiume che nel centro scorre con velocità maggiore rispetto alle aree arginali dove la velocità è inferiore. Questa differenza di velocità tra zone contigue (o shear orizzontale) è quella che può generare vortici (cicloni in atmosfera) che prendono energia dal flusso stesso.
Ai tropici, l’instabilità baroclina non esiste perché non ci sono differenze sostanziali di temperatura, mentre l’instabilità barotropica è presente. Alcuni, non so perché, sono portati a pensare che se un ciclone delle nostre latitudini è barotropico, allora abbia a che fare con i tropici: niente di più falso e fuorviante, anche se si possono capire le motivazioni di tipo sensazionalistico.
Venendo all’evento del 13 ottobre, il tutto comincia con la formazione sul Mediterraneo occidentale di un classico ciclone baroclino, con l’arrivo dell’aria fredda attraverso la penisola Iberica e l’attivazione del flusso caldo dai quadranti meridionali. In questa fase si ha la prima ondata di forti temporali sulle isole maggiori e in buona parte del meridione. Quindi l’ampia circolazione di bassa pressione in quota, colma di aria più fredda, si trasferisce dall’Atlantico sul Mediterraneo occidentale. Le differenze di temperatura superficiale si attenuano e l’instabilità baroclina diminuisce. Nel frattempo sull’Europa centrale aumenta la pressione e si viene a formare un forte gradiente tra l’alta a nord e la zona di pressione più livellata sul Mediterraneo meridionale. Dalla Liguria verso la Catalogna si attiva un intenso flusso di vento orientale che diminuisce rapidamente andando verso sud. Ecco che rientriamo nell’analogia col fiume che scorre veloce da una parte e meno altrove: il tutto è pronto perché si possano formare dei vortici a scala più piccola. Aggiungiamo anche la formazione di un complesso sistema temporalesco retrogrado (che ha portato un po’ di nubifragi in Sardegna con la sua propaggine più orientale), alimentato dall’energia rilasciata dal calore e dall’umidità del mare, e che favorisce a sua volta la formazione e l’approfondimento dei vortici.
Quando poi la rotazione al suolo e quella più blanda in quota si ritrovano sulla stessa verticale, cioè si mettono in fase, la combinazione è pronta perché la pressione cada ulteriormente ed un ciclone simil-tropicale possa formarsi, alimentato in prevalenza dall’energia dovuta al cambiamento di stato dell’acqua (vedi sotto).
Veniamo al “warm core” di questi sistemi, che si differenziano da quelli più comuni freddi. Il nucleo caldo non si forma come è spiegato nel lancio dell’Ansa per una spinta di aria calda che s’insinua. Se così fosse, il sistema sarebbe di matrice baroclina per definizione.
Nei cumulonembi il vapore (gas) è trasformato in pioggia (liquido) e in tanta gragnola o grandine (ghiaccio), e questo processo rilascia energia che scalda l’aria. Un cumulonembo è più caldo dell’aria circostante e questo è il motivo stesso per cui esso esiste e si sostiene. L’aria in risalita all’interno del temporale (che va scaldandosi in maniera “diabatica”) è poi espulsa dai venti in quota un po’ più in là dove, eventualmente, può ritornare al suolo. Nel caso in cui la convezione (l’aria che sale) si organizza attorno ad un minimo chiuso, l’anello di cumulonembi si libera dell’aria in eccesso anche e proprio verso il centro dell’anello. Ecco quindi che l’aria dai livelli superiori della troposfera comincia a muoversi verso il basso, liberando il centro dalle nubi, scaldandosi ulteriormente per semplice compressione “adiabatica” e formando il tipico occhio con temperature più calde sia dell’area circostante con i cumulonembi, sia e ancora di più dell’ambiente esterno al sistema.
Forse siamo andati sul tecnico, ma tutto questo è servito per spiegare che tali cicloni non hanno proprio bisogno dei tropici per formarsi, tant’è vero che si formano anche sul Mediterraneo. Strutture paragonabili nei risultati si formano anche su acque fredde, magari alle latitudini polari degli oceani, e si chiamano “polar lows”. Chissà che non ci sia qualcuno che parla di “tropicalizzazione” dei mari artici?
Ma alla fine, si è formato il ciclone simil-tropicale il 13 ottobre? I cumulonembi non sono riusciti ad organizzarsi completamente attorno al minimo e a formare un occhio spettacolare come in altri casi. Ad ogni modo, le coste algerine sono state investite dal ciclone alla scala sub-sinottica e nella stazione costiera di Bejaia si sono registrate raffiche fino a 110 km/h; valori alti, non c’è dubbio, ma ben lontani dai valori simili che si trovano nei cicloni tropicali nel vento medio e non in una “semplice” raffica.
Ancora sui mari chiusi.
Il mio punto è che, in molti casi, il fatto che il mare sia chiuso, come il golfo di Campeche, non ha molta importanza, quanto la massa d’aria che è lì situata (e la prodondità dello strato caldo di acqua).
Il golfo di Campeche è alimentato dall’aria che ha viaggiato per tutto l’oceano tropicale e riesce quindi a sostenere la formazione di cicloni anche fino alla categoria superiore.
Il Mediterraneo, invece, è alimentato più che altro da aria desertica, se questa arriva dalle latitudini inferiori.
Quindi, il mare chiuso è sì importante perchè la terraferma è troppo vicina ma è anche il tipo di terraferma vicina che incide molto. E in questo credo che il Med sia unico.
Riguardo invece il numero dei mini vortici trattati dall’NHC, guarda che cosa ha da dire Landsea proprio a partire dal 2000:
Abstract
Records of Atlantic basin tropical cyclones (TCs) since the late nineteenth century indicate a very large upward trend in storm frequency. This increase in documented TCs has been previously interpreted as resulting from anthropogenic climate change. However, improvements in observing and recording practices provide an alternative interpretation for these changes: recent studies suggest that the number of potentially missed TCs is sufficient to explain a large part of the recorded increase in TC counts. This study explores the influence of another factor—TC duration—on observed changes in TC frequency, using a widely used Atlantic hurricane database (HURDAT). It is found that the occurrence of short-lived storms (duration of 2 days or less) in the database has increased dramatically, from less than one per year in the late nineteenth–early twentieth century to about five per year since about 2000, while medium- to long-lived storms have increased little, if at all. Thus, the previously documented increase in total TC frequency since the late nineteenth century in the database is primarily due to an increase in very short-lived TCs.
The authors also undertake a sampling study based upon the distribution of ship observations, which provides quantitative estimates of the frequency of missed TCs, focusing just on the moderate to long-lived systems with durations exceeding 2 days in the raw HURDAT. Upon adding the estimated numbers of missed TCs, the time series of moderate to long-lived Atlantic TCs show substantial multidecadal variability, but neither time series exhibits a significant trend since the late nineteenth century, with a nominal decrease in the adjusted time series.
Thus, to understand the source of the century-scale increase in Atlantic TC counts in HURDAT, one must explain the relatively monotonic increase in very short-duration storms since the late nineteenth century. While it is possible that the recorded increase in short-duration TCs represents a real climate signal, the authors consider that it is more plausible that the increase arises primarily from improvements in the quantity and quality of observations, along with enhanced interpretation techniques. These have allowed National Hurricane Center forecasters to better monitor and detect initial TC formation, and thus incorporate increasing numbers of very short-lived systems into the TC database.
Keywords: Tropical cyclones, Atlantic Ocean, Statistics
Received: January 15, 2009; Accepted: October 20, 2009
Il papero completo lo trovi al seguente indirizzo:
http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/2009JCLI3034.1
Giustissimo Paolo ma infatti ho premesso che ” il Mediterraneo non ha normalmente condizioni ottimali per lo sviluppo di una ciclogenesi tropicale”.. mi limitavo al semplice detto di “mare piccolo e chiuso”, ci sono stati nella storia cicloni tropicali cosi’ piccoli per il quale i Mediterraneo ha spazio da vendere..
– “Questo, in ogni caso, non vuol dire che in alcuni casi la convezione possa organizzarsi proprio come succede ai tropici, la fisica non lo impedisce”. esatto, frase giusta e coerentissima con quello che a volte è accaduto.
– “Nessuno potrebbe mai convincermi che questi siano esistiti soltanto di recente in maniera così numerosa”. Paolo seguo ogni ciclogenesi dal 2000, mi concentro soprattuto proprio su quelli che si trasformano in cicloni tropicali alle medie latitudini.. ti assicuro che negli ultimi 10 anni sono avvenuti solo Vince 2005, Epsilon 2005 e Grace 2009; ,altri sono edouard 1990, l’unnemed hurricane 1991, Karl 1980, Charley 1980.. Il 2005 fu davvero eccezionale, non sono di certo servisti questi ultimi “insoliti cicloni tropicali” per far raggiungere il record, era gia’ raggiunto prima della loro formazione. Vince ed Epsilon furono cicloni tropicali davvero evidenti, non sarebbero passati inosservati in nessun annata, almeno dal 2000 ad oggi. Infatt, il tuo pensiero non è del tutto sbagliato, alcuni sicuramente non vennero classificati.. nell’ottobre 1997 c’è ad esempio un ciclone tropicale molto simile a Vince, addirittura la stessa traiettoria, ma che non fu completamente considerato.
Aggiungo:
Un altra diceria che spesso si legge è quella che il Meidterraneo è un mare piccolo e chiuso.. – indubbiamente il Mediterraneo non ha condizioni ottimali per lo sviluppo di una ciclogenesi tropicale, e indubbiamente per alimentare un ciclone tropiale fino alle piu’ alte categorie serve un oceano ampio e piuttosto caldo, ma assistiamo ogni anno a cicloni tropicali che si formano presso le coste o in vari golfi secondari, come quello di Campeche, nel golfo del Mozambico, nel golfo quasi chiuso fra Queensland e Papua Nuova Guinea (grande circa come il solo Mar Ionio) dove non hanno assolutamente questi grandi spazi tanto mensionati per svilupparsi. Ovviamente sono tutti cicloni tropicali che spesso non raggiungono la CAT1 e quasi tutti rimangonon molto piccoli.
-“Nel 2005, nell’euforia che scorreva a fiumi in quel di Miami presso il National Hurricane Center, dichiaravano essere tropicale qualunque cosa girasse in mezzo all’Atlantico, che forse dipende, appunto, anche dal desiderio della NOAA di raggiungere il nuovo record di “named storms” nell’Atlantico”.
– Ti assicuro che l’nhc è molto selettivo, non fanno passare per tropicale quello che non è tropicale.. Vince, Epsilo, chiari esempi di ciclogenesi inizialmente non tropicali ma trasformatesi in veri ed evidenti cicloni tropicali. Cicloni di questo tipo non sono avvenuti solo nel 2005 () del resto sono centinaia i cicloni tropicali nati nella fascia subtropicale e non solo in quella tropicale.
Daniele, ci sono mari chiusi e mari chiusi.
Il confronto tra il Mediterraneo e il golfo di Carpentaria non regge semplicemente perchè, come ho già detto, il primo si trova più che altro “embedded” in un massa d’aria subtropicale secca e rimescolata, mentre negli altri casi la massa d’aria è equatoriale, che ha avuto modo di rimanere a lungo a contatto con l’oceano.
Il Mediterraneo ha l’inverno, cosa che non succede dalle altre parti, per cui l’acqua calda è molto superficiale.
Questo, in ogni caso, non vuol dire che in alcuni casi la convezione possa organizzarsi proprio come succede ai tropici, la fisica non lo impedisce. E il fatto che questo succeda non deve far gridare alla tropicalizzazione. Il che, di certo, non è cosa che ti riguarda.
Sull’euforia del 2005 all’NHC, la vedo diversamente da lei.
C’è un certo livello di soggettività nelle scelte fatte e questo può comportare variazioni ragguardevoli tra un anno e l’altro.
A riprova di ciò, il numero cresciuto a dismisura in quegli anni dei piccoli cicloni tropicali (low, storm, cicloni), magari con periodo in vita di poche ore. Nessuno potrebbe mai convincermi che questi siano esistiti soltanto di recente in maniera così numerosa.
Caro Paolo mi hai frainteso.. non mi riferivo al suo testo, anzi i suoi ricordi mi ricordano me oggi, ma ad altri commenti qui’ sopra riportati, ad esempio:
– ”per la genesi di un ciclone tropicale è essenziale una temperatura della superficie marina di oltre 26.5°C per i primi 50 m di profondità”.. (falso o comunque non del tutto vero come ho gia’ spiegato sopra e come anche lei ha ricordato).
– ”Strutture paragonabili nei risultati si formano anche su acque fredde, magari alle latitudini polari degli oceani, e si chiamano “polar lows””. (i cicloni di tipo tropicale sul mediterraneo sono identici ai cicloni tropicali, e non alle polar lows. Basta guardare la profonda convezione temporalesca che caratterizza cicloni tropicali e medicanes o gli autflow spinti a raggiera tipici dei sistemi tropicali e presenti anche nei sistemi tropicali mediterranei ma non nelle polar low. Una classica polar low d’esempio che spesso viene presentata è quella sul Barents Sea on February 27, 1987. Bene, basta confrontarla con un Medicanes (1983-1985-1995-1996) per vedere che i cicloni di tipo tropicale elencati hanno profonda convezione temporalesca sia nel visibile che all’infrarosso proprio come i cicloni tropicali, mentre le polar low hanno un simil occhio nel visibile che sparisce quasi aall’ infrarosso, perchè non costituite prevalentemente da nubi temporalesche.
– ”Mettiamoci poi il fatto che osservato dall’altro – ho visto or ora una immagine NOAA sul sito dell’Università di Dundee – il sistema in esame era tutt’altro che fotogenico (nulla che vedere con la distruttiva maestosità dei grandi cicloni tropicali)”. (probabilmente se paragonato ad un uragano di CAT 5, ma il sistema del 1985 ha evidenti caratteristiche tropicali e se posto in atlantico non avrebbe nulla da invidiare come struttura, dimensioni ed intensita’ ad un comune ciclone tropicale di CAT1).
Aggiungo che la mia non era una critica ma una spiegazione, anche lunga direi..
Non sono assolutamente daccordo con alcune vostre affermazioni.
State descrivendo “regole base” di formazione ciclonicha tropicale troppo basilari e ormai passate. La temperatura al di sopra di 26.5°C è assolutamente infondata, seppur presa come regola generale, ancor piu’ ridicola se pensata fino a 50 metri di profondita’. Non sono io a smentirvi ma tutti quei cicloni tropicali occorsi negli anni su acque comprese fra i 22 e i 25°C. Oltretutto basta qualsiasi carta di temperature marine comprese fra luglio-agosto-settembre per mostrarvi tranquillamente acque di 27-28°C sul Mediterraneo, addirittura 29-30°C sull’estremo Mediterraneo Orientale, e vi assicuro che ci si deve abbassare di latitudine per ritrovare le stesse temperature marine. In ogni caso, non basta soltanto un alta temperatura marina per formare un ciclone tropicale, coem avete gia’ precisato, ma studiando gli archivi dell’ NHC, si notano diversi cicloni tropicali identici per formazione a certi “cicloni tropicali mediterranei”.. Ad esempio l’uragano mediterraneo del ottobre 1996 non ha avuto nulla di diverso da cicloni tropicali come Vince dell’ottobre 2005 o Grace dell’ottobre 2009, tutti e tre alla stessa latitudine, tutti e 3 nati da un ex ciclone extratropicale trasformatosi in subtropicale e infine in ciclone tropicale (la trasformazione di un ciclone a cuore freddo in un ciclone a cuore caldo), tutti e 3 piuttosto piccoli, tutti e 3 con caratteristiche tropicali palesi, tutti e 3 vicini alla cat 1 di uragano, cambia solo l’area geografica in questione, ma un fenomeno naturale si crea con gli stessi ingredienti a preiscindere dell’area in cui si trova. Anzi, Grace si è spostata a latitudini superiori e su acque piu’ fredde di quelle di Vince e dell’uragano Mediterraneo del 1996. Ricordo i cicloni tropicali mediterranei avvenuti nel settembre 1969, agosto 1976, settembre 1983, settembre 1997 su acque ancora piu’ calde di circa 25-27°C in piena stagione degli uragani, seppur nati in condizioni meno idonee e diverse (ma vi ricordo che non tutti i cicloni tropicali nascono dalle calssiche tropical wawe). Aggiungo poi i sistemi nati su acque piu’ fredde di circa 17-22°C nei mesi compresi fra Novembre e Gennaio ma anchequesti con palesi caratteristiche tropicali (gennaio 1982, dicembre 1985, gennaio 1995, dicembre 2005) copie esatte di cicloni tropicali e non di “polar low” come scritto da qualche parte; tutti nati grazie al fenomeno detto “tropical transition”, che permette la trasformazione dinamica e termodinamica di una ciclogenesi sub-tropicale o extratropicale in un ciclone tropicale, o piu’ semplicemnte la trasformazione di un ciclone a cuore freddo (Cold core) in un ciclone a cuore caldo (warm core). Risultati della tropical transition sono, sia la maggior parte dei cicloni tropicali mediterraeni che i cicloni tropicali atlantici come Grace e Vince (come gia’ detto), Karl, unnamed hurricane 91, Charley, Epsilon 05 e molti altri..tutti nati a latitudini subtropicali o temperate. Aggiungo un ultima cosa, i cicloni tropicali comprendono, non solo uragani, ma anche depressioni e tempeste tropicali. Due esempi lampanti di evidenti tempeste tropicali Mediterranee, giudicate come tali anche da grandi esperti di uragani, sono avvenute rispettivamente il 16-18 settembre 2003 e 28 settembre 2003 su acque di 27°C (ce ne sono altre decine di esempi negli anni), ma molto probabilmente alcuni di voi non l’avrebbero nemmeno notate perchè depressioni e tempeste tropicali non sono evidenti tanto quanto i tipici uragani con occhio.
Daniele Bianchino, per favore, potrebbe essere più preciso e farmi capire meglio con quale affermazione o con chi non è d’accordo.
Dire che lei non assolutamente d’accordo con “alcune nostre affermazioni”, quando l’autore qui è solo uno, non si capisce di chi sta parlando.
Nel mio pezzo non ho usato nessuna soglia di temperatura (26.5°), quindi non capisco perchè lei concentri tutta la sua critica su quella soglia, la quale, in un commento successivo, ho anche menzionato in maniera specifica senza sposarla.
Che poi lei venga a ricordarci che ciò che si forma, ad esempio, sul Mediterraneo, a temperature invernali, non raggiunge la soglia di cui sopra, non capisco dove stia la critica da parte sua. E’ una cosa talmente palese e detta che se vuole essere più chiaro, fa cosa gradita.
Purtroppo, Luigi, la cosa non è così semplice.
Nel 2005, nell’euforia che scorreva a fiumi in quel di Miami presso il National Hurricane Center, dichiaravano essere tropicale qualunque cosa girasse in mezzo all’Atlantico. Quello fu, ad esempio, il caso di Vince, uragano formatosi al largo del Portogallo nel mese di ottobre, su acque che, se ricordo bene, erano tra 23 e 24 gradi.
La cosa fu molto criticata allora, ma il 26.5° credo vada preso come soglia statistica più o meno qualcosa che forse dipende, appunto, anche dal desiderio della NOAA di raggiungere il nuovo record di “named storms” nell’Atlantico.
In ogni caso pare che anche questi cicloni che si formano alle latitudini non tropicali possano giungere alla soglia dei 65 nodi di vento anche su acque freddine.
Bisogna aggiungere che il Mediterraneo raggiunge tranquillamente la temperatura superficiale dei 26.5 (superficiale eh), ma che quando questo avviene di solito siamo in regime di alta pressione subtropicale, moti discendenti, aria super rimescolata, stabile e secca, ben lontani dalle condizioni adatte agli sviluppi dei tropici.
Se le ondulazioni dei westerlies riescono a scendere di latitudine, ecco che può formarsi un TLC, ma la sua origine parte sempre da un affondo dei getto delle medie latitudini e mai da una easterly wave che, invece, è all’origine di buona parte degli uragani atlantici (non tutti però).
Ad ogni modo, quello del 13 ottobre è stato un aborto di TLC, ma che, come dici, è servito per fare un po’ di sensazione.
Altri casi, invece, sono davvero impressionanti per la bellezza.
Caro Paolo,
a parte la baroclinicità – che è fenomeno complesso e con scarsissimo appeal mediatico – credo che l’elemento chiave su cui richiamare l’attenzione dei lettori stia nel fatto che per la genesi di un ciclone tropicale è essenziale una temperatura della superficie marina di oltre 26.5°C per i primi 50 m di profondità, il che si rivela incompatibile con le condizioni tipiche del Mediterraneo, che mare tropicale non è.
Mettiamoci poi il fatto che osservato dall’altro – ho visto or ora una immagine NOAA sul sito dell’Università di Dundee – il sistema in esame era tutt’altro che fotogenico (nulla che vedere con la distruttiva maestosità dei grandi cicloni tropicali).
In sostanza dunque quello del 13 ottobre scorso è uno dei tanti vortici del Mediterraneo che ci capita di veder passare sotto il nostro naso e che sono strutture tipiche delle medie latitudini.
Nella fattispecie parlare di ciclone tropicale potrà anche essere motivo di scoop per il misero giornalismo dei nostri tempi e tuttavia tecnicamente si configura come una stupidaggine.
Mi devo scusare con Guido Guidi perché l’idea di scrivere qualcosa è venuta a lui e mi sono dimenticato di dirlo esplicitamente.
Non vorrei che adesso Guido mi accusasse di “plagiarismo”, ché ultimamente è di moda.
Purtroppo il link all’immagine del ciclone del 13 ottobre non funziona, ma basta andare a questo link
http://www.sat24.com/history.aspx?country=sp
e selezionare le ore 15 del 13 ottobre più “retrieve”.
Infine, se qualche fisico dell’atmosfera leggesse il pezzo, i concetti espressi sono stati semplificati al massimo.
Reply
Paolo non scherzare, hai scritto un gran bel pezzo, grazie!
gg
[…] parla??Possibile TLC sud italia Bellissimo articolo sul ciclone mediterraneo del 13 ottobre: Un uragano nel Mediterraneo | Climate Monitor __________________ "Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne" […]