Qualche giorno fa ho partecipato ad un evento basato sulle certificazioni volontarie di sostenibilità ambientale nel campo edile. Queste certificazioni volontarie, di cui alcuni esempi sono CasaClima, Itaca e LEED, rappresentano una considerevole innovazione verso un reale sistema virtuoso, che superi l’ormai obsoleta, e politicizzata, definizione ‘Brutland’ della sostenibilità.
Questi sistemi sono basati su un metodo di ranking relativo a diversi aspetti del costruire: risparmio idrico ed elettrico, uso di materiali riciclati (questa volta finalmente riciclati e non riciclabili), rapporti di vicinanza tra gli edifici, e altri elementi ancora dei sistemi edificati che possano garantire benessere, bassi consumi e molti altri indicatori di rispetto ambientale.
Molto pragmaticamente, le certificazioni guardano all’ambiente e ammiccano al compratore, potendo garantire oltre al rispetto del primo anche il rispetto del portafoglio del secondo.
Il clima rientra nel sistema di valutazione in modo integrato, anche se non ancora completamente sviluppato: quindi sì alla CO2, ma no alla ‘sola’ CO2. Insomma, costruire senza dogmi ma credendo profondamente nel rispetto dell’ambiente e del benessere dei cittadini.
Come tutte le cose, però, anche quelle più virtuose si devono scontrare con i dogmatismi ed i falsi convincimenti che permeano ampiamente le menti di politici più preparati a cogliere direttive di partito che la realtà circostante. Come nel caso della ‘Carta dei Sindaci’ dove, pur partendo da un principio virtuoso come quello di costruire città più a misura d’uomo, poi ci si distrae ancora una volta dalla realtà fisica del sistema e si decide di indicare quale problema principale del clima urbano quello delle emissioni di anidride carbonica, scelta ovviamente a-scientifica visto che le scale spazio-temporali dei fenomeni urbani mostrano una evidentissima correlazione con le proprietà fisiche dei materiali degli edifici.
Ritornando all’evento, la mattinata si apre con il saluto dell’Assessore all’ambiente che parla brevemente della sostenibilità e della CO2, sottolineando alcuni tratti della ‘Carta dei Sindaci’.
Tra le prime relazioni della mattinata viene presentata quella di una ditta produttrice di pannelli solari fotovoltaici. Questi pannelli offrono l’evidente vantaggio di aumentare l’efficienza di conversione grazie ad una tecnica costruttiva che rende il pannello più nero rispetto ai normali pannelli solari, aumento veramente considerevole visto che si ottiene un 5% in più di efficienza. La ditta presenta, inoltre, una nuova possibilità di innovazione mostrando una ipotesi di studio che renderebbe il pannello più flessibile e addirittura inseribile nel contesto urbano come elemento architettonico.
Esagerando: facciamo il tetto più nero, anzi i tetti più neri, la città più nera, e salveremo il mondo!
Dopo poco, un’altra ditta presenta una rimarchevole innovazione tecnologica che permette di aumentare la riflettività dei tetti, una tecnologia chiamata ‘cool roof’, che dimostra l’abbattimento del regime termico delle superfici urbane (anche 40°C in meno) e, con l’abbattimento dei valori di temperatura superficiale, la diminuzione del carico termico dell’edificio. Questa diminuzione si trasforma, ovviamente, in una grande risparmio di frigorie utilizzate per il raffrescamento.
Esagerando: facciamo il tetto più bianco, anzi i tetti più bianchi, la città più bianca, e salveremo il mondo!
Come ho avuto modo di accennare al convegno: città più bianca o più nera, a me viene a mancare un poco la termodinamica, alla quale da fisico sono un tantino affezionato! Ma a un architetto, ad un urbanista, questa confusone dettata da slogan non ingenera problemi ancora più spinti?
Sì perché, alla ricerca del colpevole unico, di ogni erba un unico fascio e allora: bianca o nera, alta o bassa, vincola o sparpagliata, la città costruita da noi non conta, quello che conta è solo quella dannata anidride carbonica. E così a colpi di green economy, un po’ qui un po’ là, passeremo anni nell’attesa di capire che la città è pro-attiva, e anche un po’ vendicativa, e ci rende pan per focaccia: lei non è più degna di noi, ma noi non siamo, forse, più degni di lei.
Sai Teo,
Mussolini ai tempi delle “inique sanzioni” parlava di complotto demo-pluto-giudaico-massonico. Oggi sono passati 70 anni ma mi sembra che certi schemi mentali perdurano in modo preoccupante.
E qui debbo rilevare che gli strumenti culturali ci sono tutti (e da molto tempo) per fare qualche passo oltre la “teoria della cospirazione”. Per dimostrarlo posso citare un brano dal libro “La società aperta e i suoi nemici” di Popper (libro scritto se non erro nel 1945), in cui l’autore analizza quella che lui chiama “teoria cospirativa della società”, schema mentale che a suo avviso affligge tutti coloro che ritengono a torto che tutto il male del mondo (guerre, crisi economiche, disastri ambientali, ecc,.) derivi da piani accuratamente elaborati da coloro (mercanti d’armi, padroni delle ferriere e quant’altro) che traggono vantaggio da ciò:
..Io non intendo affermare, con questo, che di cospirazioni non ne avvengano mai. Al contrario esse sono tipici fenomeni sociali. Esse diventano importanti, per esempio, tutte le volte che pervengono al potere persone che credono nella “teoria della cospirazione”. Persone che credono sinceramente di sapere come si realizza il cielo in terra sono facili ad adottare la teoria della cospirazione contro inesistenti cospiratori. Infatti la sola spiegazione del fallimento
del loro tentativo di “realizzare il cielo in terra” è l’intenzione malvagia del demonio che ha tutto l’interesse a mantenere vivo l’inferno…”
Penso che se qualcuno ha una ricetta per fare digerire queste semplici domande ad un amministratore sono pronto a cucinarla.
In realta’, talvolta, senti che gli amministratori le domande giuste se le pongono (mi e’ capitato ad un convegno a Modena quache giorno fa): poi, prevalgono le interpretazioni legate ai cambiamenti globali, anche perche’ sono piu’ assolutorie per le stesse amministrazioni. Il problema del riscaldamento urbano o lo leghiamo al fatto che gli americani non hanno firmato il protocollo di kyoto, o lo imputiamo ad una mala gestione cinquantennale degli oneri di urbanizzazione gestititi dai comuni insieme con i costruttori.
Piu’ facile dire che noi siamo negazionisti che loro spiegare i soldi gettati con mostri generati dalle archi-star pagate dai soldi pubblici, e ripeto: o no?
Concludo quanto scritto in precedenza segnalando che forse dovremmo darci come obiettivo quello di mettere a disposizione degli amministratori e dei tecnici comunali alcuni semplici strumenti di analisi. Non cose stratosferiche ma alcuni modelli relativamente semplici per consentire a persone di buona volontà di fare delle valutazioni di scenario del tipo:
– se alzo tutti gli edifici di 1 piano che effetti si hanno sulle temperature urbane?
– se copro la città di pannelli fotovoltaici che fine fa l’Isola di calore?
– se ricopro le case con superfici a verde (verde verticale) ben irrigate che effetto si ha sulle temperature urbane?
– se modifico i piani del colore di un quartiere cosa succede?
Cosa ne pensi?
Come sai io sono profondamente ignorante su tante cose, ma mi piacerebbe tanto imparare, e per me sarebbe una cosa bellissima se potessi trovare delle lezioncine semplici semplici (adatte al mio basso livello di preparazione) su cui formarmi delle migliori idee su un’urbanizzazione più razionale e possibile. Credo che tanti altri, alcuni con dirette responsabilità, troverebbero giovamento da queste lezioncine. Pensaci.
Condivido in effetti la tua analisi, e trovo orribile che all’alba del 21° secolo i problemi delle grandi aree urbane vengano ancora affrontati dagli amministratori a colpi di slogan (impatto zero, sostenibilità, lotta all’effetto serra, ecc.) che spesso nascondono il vuoto spinto e al sottoscritto ispirano una sola cosa: una sonora pernacchia.
Queste cose per inciso le scrivo da una grande area urbana (Milano) che vive ancor oggi di rendita su alcune idee degli anni 50-60 (la metropolitana ed il sistema di trasporti pubblici di superficie) mentre per il resto manifesta una notevole dose di arretratezza e di assenza di progettualità. Lo si vede da come è malgestito il verde urbano, da un parco auto incontenibile che riempie i nostri marciapiedi impedendo ai disabili di uscire di casa, dall’incapacità a gestire le acque piovane, ecc. ecc.
Possibile che quasi nessuno senta il bisogno di ragionare in termini quantitativi di fenomeni come l’Isola di Calore Urbano ?
Possibile che tecniche messe a punto negli anni 20 del 20° secolo (i bilanci radiativi ed energetici) stentino ancora oggi ad affermarsi?
Infatti Luigi, come abbiamo diverse volte evidenziato, il delta di temperatura nero/bianco puo’ (allegramente) essere superiore ai 40 gradi. Le ditte costruttrici sanno bene che le temperature elevate diminuiscono l’efficienza di conversione delle celle e quindi si ingegnerizza il pannello progettando una opportuna ventilazione degli elementi e della struttura. Pero’, pero’, pero’, se il pannello e’ uno solo, il vento medio disperde il calore prodotto nelle immediate vicinanze, se le vicinanze sono altri pannelli… e via cosi’ fino a fare di una citta’ tutta pannellata un hot-spot dove il coefficiente di dispersione incomincia a soffrire un pochetto. Aggiungiamo che il masterplan cittadino (se mai ne esiste uno) difficilmente conterra’ lo studio di problematiche di tal fatta perche’ normalmente gli archi-star si fanno prendere dalle “suggestioni” e non dalla matematica, cosa che si riflette su noi cittadini facendoci prendere dalle “convulsioni” (fisiologicamente certe quando il PMV supera certi valori).
Giustamente i commerciali ti vendono di tutto, e’ il loro mestiere: ma il tuo ‘azzardo’ sul tema di “dove vanno a finire i palloncini…” riferito alle calorie del rimanente (se va bene) 80% e’: retroriflessione per i corpi che non sono completamente neri in funzione delle proprieta’ ottiche dei materiali, evapo-traspirazione se qualche anima buona ha lasciato vegetazione e acqua a pelo libero (navigli coperti non valgono per intenderci), e una quota residuale (qualche percento) per tutti gli altri processi biotici e abiotici che utilizzano o assorbono radiazione solare, piu’ il resto, che saranno parecchie centinaia di watt per metro quadrato, in quello che dicevi tu – calore sensibile!!!
Ma i nostri urbanisti ci assicurano che hanno studiato lungamente il problema. Come facciano a farlo non si sa, anche perche’ in Italia la microclimatologia non fa parte delle materie di studio ne di architettura, ne di ingegneria.
Cosi’ a forza di semplificazioni successive e di bioarchitetti che si sono specializzati in cromatofisiostrutture (non chiedete a me), tutti, ma proprio tutti, si possono presentare a un green-symposium facendo vedere che sono piu’ green degli altri.
Ma perche’ meravigliarci? E’ la legge del contrappasso! Prima l’erba del vicino era sempre piu’ verde, ora e’ la tua sostenibilita’ a esserlo! O no?
Caro Teo,
come ben sai la lotta con i commerciali è persa in partenza. Si tratta infatti di una categoria che si auto-giustifica sempre, per cui i loro prodotti sono sempre e comunque i migliori.
Da parte mia, che commerciale non ho mai imparato a esserlo, ricordo in un convegno di aver ascoltato una relatrice tessere le lodi di un nuovo quartiere di Friburgo che in nome della sostenibilità era talmente onusto di pannelli solari da avere un decisissima dominante nera. E visto che il rendimento dei Pannelli è di circa il 10% mi chiedo se qualcuno si domandi che fine faccia il restante 90% dell’energia. Io azzardo l’ipotesi di una cessione all’atmosfera in forma di calore sensibile (quello che, lo dice la parola stessa, percepiamo e che poi si misura con i termometri) Tu che ne dici?