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In bocca al lupo

Però si tratta di capire chi farà la pecora.

Leggo sul Corriere questa notizia: La Danimarca entro il 2050 farà a meno dei combustibili fossili. Queste pare siano le intenzioni del governo danese, e con la tipica caparbietà dei popoli del nord Europa c’è da scommettere che ci riusciranno. Auguri di cuore.

Del resto da quelle parti il vento soffia forte, anche se continua ad ostinarsi a non soffiare a comando. Infatti molte volte vi sarà capitato di leggere che il paese della sirenetta, che oltretutto dell’industria eolica ha fatto un gran business diventando leader nel settore dei generatori eolici (non si chiamano turbine, quello è un sostantivo buono solo a farle piacere di più, ma con le turbine hanno in comune solo il fatto che girano), ricava dalla produzione eolica il 20% del suo fabbisogno energetico.

Bene, non è vero. Tale percentuale, indubbiamente accattivante, riguarda la produzione e non il consumo energetico ed è riferita alla sola regione occidentale, per il resto del territorio pare si tratti di un ben più modesto 13%. Infatti una fetta importante di quanto prodotto con la forza di eolo viene esportata, spesso anche gratis, per la semplice ragione che arriva quando non serve. E così, la percentuale di fabbisogno energetico coperto con le pale eoliche scende al 7-8% per la regione occidentale del paese, quella più produttiva.

I beneficiari dell’esportazione sono Svezia, Norvegia e Germania, e questa per i danesi è una gran fortuna, per due ragioni. Innanzitutto perché tra questi paesi esistevano delle ottime infrastrutture di interconnessione già prima che si cominciasse a pensare all’eolico come risorsa energetica su vasta scala. E poi perché tutti e tre i paesi beneficiari, hanno in comune dei sistemi produttivi fondati su risorse che possono velocemente essere inserite o tolte dalla rete, cioè assecondare i capricci del vento, leggi idroelettrico e nucleare tanto per capirci. In questo modo, l’esportazione di energia eolica dalla Danimarca permette anche di risparmiare parecchia CO2, perché non è necessario disporre di potenza in stand-by disponibile “a caldo”. Ad esempio, nel 2003, ben l’84% dell’energia eolica prodotta in Danimarca è andata all’estero.

Resta il fatto che un paese leader in uno specifico e così vitale settore industriale non ne tragga beneficio diretto internamente. Sarà forse perché tale settore di benefici ne porta pochini? E se succede questo dove il vento di norma si porta via i campanili, in un paese dove non a caso i mulini andavano ad acqua e non a vento -il nostro ad esempio- a chi la vendiamo l’energia prodotta? All’Africa? ma non dovevamo importare da loro quella solare? Boh, al massimo ce la scambieremo.

NB: informazioni e percentuali tratte da “The Wind Farm Scam” di John Etherington.

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Published inIn breve

7 Comments

  1. Luca Fava

    La barzelletta arriva alla fine dell’articolo però:

    RISCALDAMENTO DOMESTICO – Per arrivare agli obiettivi prefissati, fondamentale è il ruolo giocato dal riscaldamento domestico, specie in un Paese dal clima sicuramente non favorevole come la Danimarca. Il rapporto della Commissione sottolinea l’importanza dell’energia ricavata dalle biomasse e il contributo che altre fonti rinnovabili, come il solare, il geotermico e le pompe di calore potranno dare alle reti di teleriscaldamento.

    Il solare in Danimarca????? ahahahahaha

    Saluti da Copenhagen

    • Guido Botteri

      Ridi, ridi, ma sottovaluti l’ingegno umano. Pensa che in Spagna ricavavano energia “solare” di notte, e in quantità tripla che di giorno… 🙂
      …dici che non proveniva dal Sole ? Lo credo bene, a meno che qualcuno mi dimostri che gli Spagnoli abbiano risolto il millenario problema della scomparsa notturna del Sole 🙂
      (non fatemi cercare i riferimenti, per favore, è notizia di dominio pubblico…)

    • Maurizio

      Il buon piazzista vende parapioggia nel sahara e frigoriferi agli esquimesi. E’ inutile, i nostri governi vogliono aumentare le entrate e, con la banale scusa di salvare il mondo, lo faranno martellando sull’energia.

    • Scusate, qualcuno può fornire un link ad una statistica semplice semplice su come sono ripartite le esigenze energetiche di un paese come il nostro (o analogo) tra usi domestici ed usi industriali?

    • Molte grazie. Riporto dal primo documento il primo dato significativo trovato:

      “Nel 2008 la suddivisione dei consumi di energia elettrica per settore economico conferma l’industria al primo posto con una quota pari al 47,4% del totale; seguono il terziario con il 29,3%, il
      domestico con il 21,4% e l’agricoltura con l’1,8%.”

      Ci sono variazioni annuali, ma presumo che poco sia cambiato nei rapporti di forza: diciamo 25% domestico e 75% legato ad attività produttive. Le ragioni della mia richiesta: mi chiedo come mai ogni volta che si illustrano le meravigliose caratteristiche di una nuova centrale eolica o solare, tipicamente si dice che fornisce energia ad una cittadina di tot persone; ma non sento mai dire che tiene in piedi un’acciaieria o un’azienda manifatturiera.

  2. In generale, gli obiettivi a quarant’anni vanno presi con molta cautela. Al massimo possono essere un’espressione di intenti, ma sono talmente tante le incognite che possono apparire sul percorso e far cambiare direzione… Basta ricordare l’episodio relativamente recente del governo rosso-verde di Schroeder in Germania che “chiuse” la strada delle centrali nucleari, mentre ora la Merkel – cambiato il contesto mondiale – ha sostanzialmente fatto marcia indietro. Stessa cosa successa in Svezia l’anno scorso.

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