Gulp! Su New Scientist escono ben due pezzi che mettono insieme le parole Sole e clima. Di più, il primo, un breve editoriale, si intitola così: The sun’s activity has a place in climate science. Il secondo, più corposo, invece così: The Sun joins the climate club.
Doppio gulp, dunque. Peccato però che la sorpresa si fermi ai titoli.
Andiamo con ordine, prima l’editoriale. Pare che per molti anni gli studiosi del settore abbiano preferito evitare di dire chiaramente quello che pensavano, cioè che il Sole avesse un ruolo nel sistema, timorosi di essere fraintesi o peggio confusi con quanti questo lo vanno dicendo da sempre, convinti come sono che tale ruolo sarebbe preponderante o addirittura esclusivo rispetto alle forcing antropico.
Ma quali cicli solari, si sa benissimo che il loro contributo è insignificante, prosegue l’articolo. Però, grazie alle nuove scoperte, ora si sa che il Sole potrebbe avere un ruolo importante a scala regionale. Interessante, il fatto che i cicli solari siano il tracciante dell’attività solare e che il clima globale sia composto da più meccanismi che agiscono a scala inferiore non deve trarre in inganno. In fondo nell’editoriale si parla “solo” di modifiche ai processi precipitativi delle zone tropicali, dove cade quasi tutta l’acqua disponibile in atmosfera e sale quasi tutto il calore latente disponibile, e di eventi estremi alle alte latitudini, il cui albedo è tutt’altro che insignificante.
La chiosa poi è spettacolare:
“Ora sappiamo che dobbiamo tener conto della nostra stella. Ma i suoi effetti sono molto più complessi di quelli che quanti negano l’influenza dell’uomo sul clima vorrebbero che credessimo.”
Trattasi di editoriale, a nome di chi si parla scrivendo su una rivista scientifica?
Non è dato saperlo, però possiamo andare a leggere l’altro articolo. E lì troviamo qualche spiegazione, in effetti. Sarebbero ben tre i meccanismi attraverso cui il Sole imporrebbe la sua legge (attenzione, solo a scala regionale e comunque solo per il tempo atmosferico, non per il clima!).
Il primo è il top-down effect. Se infatti la radiazione solare non subisce cambiamenti quantitativi apprezzabili con i cicli solari, il tipo di radiazione invece sì. Si genererebbero quindi ad esempio le precondizioni per maggiori possibilità di eventi estremi durante i minimi solari. Un esempio? Meglio due, il freddo dell’inverno scorso ed il caldo in Russia della scorsa estate. Mica male, e chi lo dice a quanti hanno blaterato che invece il caldo russo è stato l’ennesimo inequivocabile segnale del disastro climatico?
A seguire l’effetto bottom-down, per cui un accresciuto irraggiamento porterebbe a maggiore evaporazione e quindi modifica dei processi precipitativi. Mica male anche questo, dato che scomoda addirittura il feedback del vapore acqueo, che molti considerano la cassa di risonanza di tutti i nostri guai climatici.
E si finisce con i raggi cosmici, liberi o quasi di arrivare sulla Terra nei minimi e in parte schermati durante le fasi di massimo solare. Non è un problema di formazione delle nubi, dato che i modelli suggeriscono così e nonostante al CERN (just yo be sure – Sic!) stiano conducendo un apposito esperimento. Il discorso è più sul comportamento delle nubi, ovvero sulla loro capacità di produrre pioggia. E dalli con il feedback del vapore acqueo!
Ma, a conti fatti, di cosa staremmo parlando? Tranquilli, scrive New Scientist, sin qui si credeva che l’influenza del sole sul clima non potesse pesare che un misero 5% (IPCC, AR4 2007). Questa quantità non cambierà (e ti pareva!), però avendo stabilito che le temperature sono salite e continueranno a salire (sic! bis), ci servono previsioni di medio termine a scala regionale, e per quelle è necessario includere nei modelli l’alta atmosfera. “Sapevamo da tempo che questo fa la differenza” dice Gavin Shmidt della NASA, “specialmente per gli effetti solari” (sic! ter). Lo sapeva da tempo.
Allora, il Sole, lungamente tenuto fuori dalla porta, viene fatto entrare nel club del clima per essere prontamente ributtato fuori dalla finestra. Che dire? Senza considerare la liceità dell’assunto che vuole un clima a scala regionale che non ha poi effetti su quella globale, nonostante si parli di regioni -per così dire- cruciali nel sistema, a me pare debunking, a voi?
Secondo me, il punto è che se ancora non sappiamo come il sole influenza certi fenomeni, non sappiamo bene come e quando si formano le nuvole, ecc., è azzardato fare delle previsioni a lungo termine, su grandezze statistiche, e poi metterci accanto un “very likely”. Bisognerebbe accontentarsi di un “maybe”…
Reply
Concordo, ma un may be non sosterrebbe il peso di provvedimenti normativi di alcun genere.
gg
Le contraddizioni stanno arrivando al pettine. E’ un primo passo, piccolo ma necessario. Le modifiche dell’influenza del Sole, che appaiono timidamente a livello di meteorologia, finiranno prima o poi anche nella climatologia, se oltre alle loro previsioni vogliono migliorare anche i loro (attualmente “scary”) scenari.
Questo si chiama essere capziosi. Sparano un titolo volutamente controverso per attrarre l’attenzione ma poi ti ritrovi presunte spiegazioni, volte a meglio sostenere l’inefficacia della forzante solare, che ricalcano la solita aria fritta della dottrina antropo-serrista. Mi ricorda un un sito che si intitola “Skeptical Science” ma poi nel sottotitolo: “getting skeptical about global warming skepticism”…