In questi ultimi mesi l’emisfero boreale ha conosciuto una stagione invernale piuttosto dinamica. In realtà , come scopriremo analizzando nel dettaglio i dati a stagione finita, non ha poi fatto così freddo. Tuttavia, complice la recente chiusura dell’anno polare internazionale, l’attenzione dei media e di una buona parte della comunità scientifica si è concentrata proprio sulle zone polari. L’estensione dei ghiacci artici in particolare, è stata ed è oggetto di ampio dibattimento, ora in questa ora in quella direzione, nella solita antipatica altalena tra opinioni a sostegno del riscaldamento globale di origine antropica e pareri diametralmente opposti, altrettanto antipaticamente definiti “negazionisti”.
Le acque, o dovremmo dire i ghiacci, si sono agitate già verso la fine della scorsa estate, perché dopo il clamore suscitato dalla presunta apertura del famoso passaggio a nord ovest al termine della fase di scioglimento, le zone artiche sono state teatro di un rapido recupero dei ghiacci, con rateo di aumento almeno inizialmente paragonabile alle medie di riferimento, risalenti al periodo 1979-2000.
Così, in appena tre mesi, il recupero è stato tale da riportare l’estensione dei ghiacci a valori simili a quelli dell’inizio del periodo di misura, cioè l’inizio dell’era satellitare. Almeno questo lasciavano intendere le dichiarazioni di uno dei più autorevoli esperti del settore, curatore del sito web The Cryosphere Today. In una chiacchierata con un giornalista del Daily Tech1 che segue da vicino le vicende climatiche Bill Chapman dell’Università dell’Illinois azzardava l’ipotesi che tale recupero potesse essere indotto dalla scarsa ventilazione registrata nei primi mesi freddi, quelli che in genere segnano il destino della stagione. Neanche il tempo di assimilare questa bella notizia, che di lì a pochi giorni giungeva la smentita, addirittuta in forma di nota ufficiale2 di colui che aveva rilasciato l’intervista. Non è dato sapere se queste fossero state male interpretate o se fossero semplicemente troppo poco allineate al pensiero diffuso, cioè che i ghiacci si sciolgono e continueranno inesorabilmente a diminuire tout court.
In tutto questo bailamme di informazioni cotraddittorie, si corre il rischio di capirci molto poco e di perdere di vista gli elemnti più significativi. La realtà dei fatti vede – un pò di chiarezza è necessaria – l’ammontare dell’estensione dei ghiacci artici ancora consistentemente sotto la media di riferimento, ma in fase di recupero. Un evento non casuale, visto che le temperature medie globali hanno smesso di aumentare da qualche anno. Non è dato sapere se se questa iniziale inversione di tendenza sarà duratura oppure no, ma è un fatto che le due cose insieme diano non poco da pensare a chi riteneva di aver già capito tutto e ci avvisava che praticamente eravamo giunti ad un punto di non ritorno.
Tra gli aspetti salienti passati del tutto inosservati, figurano anche le indicazioni di un team di ricercatori della NASA che hanno attribuito il minimo storico dell’estensione dei ghiacci artici del 2007 a cause del tutto naturali, ovvero alle anomalie del vento e della pressione atmosferica sull’area polare3. Pari indifferente trattamento è stato riservato anche agli studi che mettono in stretta correlazione le variazioni della temperatura di superficie degli oceani – legate a oscillazioni cicliche di lungo periodo – con la quantità di ghiaccio presente alle alte latitudini4.
Nel frattempo, con antipatica ostinazione, il ghiaccio presente in Antartide aumenta stabilmente da diversi anni, ma questo, ci dicono i modelli di simulazione climatica, sarebbe previsto anche in concomitanza di un generale aumento delle temperature. Che invece proprio lì invece hanno subito una diminuzione, almeno fino a quando un team di ricercatori americani, analizzando e rimescolando i pochissimi dati disponibili non ha individuato un trend di aumento partendo da valori osservati a terra e da satellite in generale diminuzione5. Potere della statistica, verrebbe da dire. Questo gruppo in effetti non è nuovo ad operazioni del genere. Alcuni anni fa si sono cimentati in altre alchimie statistiche per la ricostruzione delle media globali nel periodo pre-industriale, con il risultato di azzerare (sulla carta) le oscillazioni climatiche in positivo ed in negativo del periodo medioevale. Questa è l’arte del tuning o, se preferite, del bias scientifico: abbandonata la tecnica classica della ricerca sperimentale, si trattano i dati fino a che non incontrano le tesi che si vorrebbero dimostrare6.
Solo che ora abbiamo un problema: non avevamo detto che dai modelli si capiva benissimo che il raffreddamento dell’Antartide era previsto? Come si fa ora che abbiamo scoperto che invece si scalda? Nessun problema la prima fase, quella fredda, era solo temporanea, di qui in avanti solo caldo. E infatti, per tornare da dove siamo partiti, cioè da quest’inverno, i sostenitori del riscaldamento globale continuano a spiegare che l’inverno freddo anzi fresco, non fa clima e ancor meno lo fanno le piogge abbondanti e le nevicate. Per farlo ci portano emblematicamente ad esempio il caldo anomalo dell’estate australe. In pratica se fa freddo trattasi di normale variabilità , se fa caldo trattasi di global warming. Parola di Ministro per i cambiamenti climatici (esiste sul serio!) australiano.
La verità è che sin qui non ci abbiamo capito molto e siamo lontanissimi dal livello di comprensione scientifica che sarebbe necessario per computare con buoni risultati l’evoluzione delle complesse dinamiche del clima in un modello di simulazione. Nonostante ciò continuiamo a farlo ed a prendere per oro colato gli output di queste previsioni, portando ora questo ora quell’altro fenomeno atmosferico “anomalmente” naturale a supporto delle tesi di qualunque segno.
Ma questo, ancora una volta, ai modelli non è stato detto9.
- http://www.dailytech.com/Article.aspx?newsid=13834 [↩]
- http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/global.sea.ice.area.pdf [↩]
- http://www.nasa.gov/vision/earth/lookingatearth/quikscat-20071001.html [↩]
- http://www.intellicast.com/Community/Content.aspx?a=128 [↩]
- http://www.climatemonitor.it/?p=831 [↩]
- http://www.nature.com/nature/journal/v457/n7228/ [↩]
- http://www.climatemonitor.it/?p=767 [↩]
- Steven Goddard su www.wattsupwiththat.com [↩]
- Comics from: http://blog.getm.org/2006/08/11/you-know-the-globe-is-warming-when-inuit-buy-air-conditioners/ [↩]
Concordo con Guidi, spesso fonti autorevoli non hanno neppure la possibilità di pubblicare i loro articoli su riviste prestigiose, vedi ad esempio quello che è successo recentemente a Roy Spencer, studioso di livello internazionale e responsabile dei rilevamenti di temperatura satellitari dell’UAH, soltanto perchè i risultati andavano contro il “consensus” circa le cause del GW.
@ Lucas
Grazie della segnalazione, non lo avevo ancora letto.
Quanto alle fonti, quel che dici è vero, ma per non rischiare di far brutte figure (che comunque capitano) basta scavare un pò più a fondo anche nei lanci di agenzia. Alla fine una fonte ufficiale c’è sempre. Certamente non sempre trattasi di dati sottoposti a peer review, ma questo è un argomento spinoso, perchè allora, per esclusione, non avremmo letto fior di informazioni provenienti da fonti autorevoli, che spesso le riviste più accreditate non accettano o rigettano. Io credo che si debba leggere tutto quello che si riesce a trovare, a lungo andare la capacità di discernimento diventa personale.
gg
@ Lucas
Non c’è assolutamente nulla di sbagliato nel perseguire politiche efficienti ed efficaci di riduzione delle emissioni. E’ sbagliato innescare derive catastrofiste che in nome di un urgenza che non c’è alimentino sistemi che con l’ambientalismo hanno poco a che fare. Un esempio: si riduce più CO2 con auto nuve ogni tre anni o investendo nell’ottimizzazione della rete stradale?
gg
Problemi con le ultime misure
NSIDC: il sensore satellite del ghiaccio marino ha
“dati di guasto catastrofico„
– difettosi per gli ultimi 45 giorni
Oggi NSIDC ha annunciato che avévano scoperto la ragione per la quale. Il sensore sul satellite che di programma del satellite meteorologico della difesa (DMSP) utilizzano si era degradato ed ora apparentemente si era guastato al punto di essere inutilizzabile. Componendo le notizie difettose hanno scoperto che erano state nel declino lento per quasi due mesi, che hanno causato una polarizzazione nei dati artici del ghiaccio marino che hanno sottovalutato il ghiaccio marino totale da 500.000 chilometri quadrati. Ciò probabilmente interesserà i totali del ghiaccio marino gennaio di NSIDC.
http://wattsupwiththat.com/2009/02/18/nsidc-satellite-sea-ice-sensor-has-catastrophic-failure-data-faulty-for-the-last-45-days/
Dei ghiacci artici abbiamo già abbondantemente parlato qui. Vi è la “doverosa” puntualizzazione (peraltro già pubblicata un mese fa).
Riguardo le fonti, sono tutte qualificate e tracciabili, le notizie di agenzia, vengono trattate nella “cronaca”, non negli articoli scientifici, non a caso le news sono ben separate dai restanti articoli.
Non sono un esperto in materia ma l’argomento mi appassiona molto; per questo sono sempre a caccia di informazioni. In questo post mi e’ parso di notare alcune affermazioni per le quali non trovo riscontro nei dati disponibili e di cui non viene citata la fonte.
La prima riguarda il recupero dell’estensione dei ghiacci artici. Guardando i dati, anche quelli dell’Universita’ dell’Illinois evidentemente mal citati da Daily Tech, si vede che nonostante il recupero autunnale sia stato particolarmente rapido l’estensione dei ghiacci e’ rimasta, e tutt’ora e’, al di sotto della media 1979-2000. La necessita’ di smentita ufficiale mi sembra quindi doverosa.
Subito sotto si afferma che i ghiacci artici hanno smesso di ritirarsi e che sono in fase di recupero. Rispetto allo scorso hanno e’ vero, ma non mi sembra si possa generalizzare visto che il 2008 e’ secondo solo al 2007 come minore estensione sia nelle medie stagionali che in quelle annuali. (Mi riferisco sia ai dati di Cryosphere Today che a quelli del National Snow and Ice Data Center).
Stesso discorso vale per l’aumento “da diversi anni” del ghiaccio Antartico. I dati mostrano una fluttuazione intorno all’anomalia zero per tutto il periodo “satellitare”.
Infine una nota di metodo. Premesso che sono daccordo sul fatto che l’informazione presa da riviste e giornali e’ a dir poco inattendibile, mi piacerebbe pero’ che fra di noi non-esperti e appassionati si discutesse sui lavori scientifici presi dai centri di ricerca e dalle Universita’ piuttosto che sulle “latest news” di qualche blog o quotidiano online. Rischiamo altrimenti di essere al loro livello, solo sostenendo la tesi opposta per partito preso, e di inseguire l’utlima sballata news d’agenzia (vedi freddo in Europa e caldo in Australia) perdendo di vista la scienza.
Bel articolo! Ma c’è ancora una cosa che non riesco a capire del suo pensiero!
Siamo tutti concordi(almeno lei, e noi lettori di questo blog) che non c’è corrlazione accertata scientificamente fra CO2 antropica e variazioni climatiche. Ma le voglio chiedere una cosa.
Secondo me sarebbe auspicabile ridurre le emissioni di CO2 per ben due motivi:
1) insieme si eviterebbero quelle di sostanze ben più dannose per la salute umana;
2) si potrebbe studiare il clima valutando “solo” le variabili naturali, in quanto si eliminerebbe “dall’equazione del clima”, la componente CO2 di origine antropica!
Che ne pensa?
Prendo spunto dall’intervento di Guido Guidi, per anticipare ai sempre più numerosi amici interessati ad R ed alla statistica che a breve sonderemo, con gli strumenti della matematica, lo studio svolto da Steig (Mann) et al. pubblicato su Nature e relativo al trend delle temperature in Antartide. Scopriremo insieme le alchimie di cui Guido parla nel suo articolo e le toccheremo con mano. Non sarà un vaggio semplice, ma vi posso garantire, fin d’ora, che le sorprese non mancheranno…
C.Gravina