GRACE sta per Gravity Recovery and Climate Experiment, un programma di ricerca partito nel 2002 che si propone di fare delle misurazioni delle modifiche di grandi quantità di massa sul pianeta utilizzando una coppia di satelliti in grado di misurare con estrema precisione le variazioni del campo gravitazionale del pianeta.
Alcuni mesi fa avevamo fatto un accenno a questo argomento, per un articolo che aveva offerto notevoli spunti di discussione, nel quale si metteva in evidenza come i primi risultati di questa campagna di misurazione mostrassero una “preoccupante” accelerazione del rateo di scioglimento delle masse glaciali della Groenlandia e dell’Antartico occidentale. L’argomento è ovviamente strettamente correlato con le stime delle variazioni del livello dei mari e con le proiezioni nel futuro di queste variazioni.
La perdita di ghiaccio marino artico costituisce da anni un argomento di discussione in quanto considerato un “evidenza” del riscaldamento globale, spesso erroneamente anche associato alle presunte origini antropiche di questo riscaldamento, ma, trattandosi di ghiaccio posato sul mare, questa perdita non è molto importante ai fini dell’innalzamento del livello del mare. Per il ghiaccio posato sulla terraferma invece il discorso è molto diverso, per cui queste misurazioni sono di primaria importanza.
Come già discusso allora, le considerazioni circa la brevità del dataset di informazioni disponibili, la giovane età del progetto e l’assenza di valutazioni in merito al fatto che il pianeta si trova attualmente in un periodo interglaciale, sono all’origine di più di qualche perplessità in ordine al tono allarmistico con cui quanto osservato in questi sei anni è stato valutato. A tutto questo si aggiunge il fatto che una eventuale conferma di ingente perdita di massa glaciale antartica, costringerebbe più di qualcuno a rivedere uno dei cardini della teoria dell’AGW, che vuole invece che la massa glaciale dell’estremo sud aumenti in ragione di una accresciuta disponibilità di vapore acqueo e conseguenti precipitazioni nevose.
Ora, tutto quello detto sin qui, sembra già appartenere al passato, a conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che non passa un giorno senza che si impari qualcosa di nuovo e che considerare “chiusi” certi argomenti al fine di dare per scontato che si sia già capito tutto e si debba passare all’azione di contrasto alle origini antropiche del clima che cambia è quantomeno un po’ prematuro, con buona pace di grida all’allarme un giorno sì e l’altro pure.
Appena qualche giorno fa ho letto questo articolo su Science Daily, un pezzo in cui si tirano le somme di un lavoro di ricerca pubblicato su Nature Geoscience1. Il brevissimo riassunto su Nature è un po’ sibillino, in quanto si mette in evidenza che questo studio conferma la perdita di massa glaciale della Groenlandia e dell’Antartico occidentale, ma non la quantità. Invece leggendo quanto scritto su Science Daily si riesce a capire qualcosa di più. L’attuale stima della perdita di massa glaciale è inferiore del 50% (sì, esatto, la metà) rispetto a quanto stimato in passato.
L’errore, decisamente considerevole, sarebbe stato nel non tener conto nel calcolare i dato precedente, degli effetti di recupero della crosta terrestre in uscita dall’ultima glaciazione occorsa circa 20.000 anni fa, cioè, di fatto, nell’aver trascurato che siamo in un periodo interglaciale e che quindi alle normali dinamiche di diminuzione della massa glaciale dovute al riscaldamento (sia esso del tutto o soltanto in parte naturale), si devono aggiungere altri fattori geologici di primaria importanza quali appunto i movimenti della crosta terrestre, anche e soprattutto quella sotto le grandi distese glaciali.
Ora, le precedenti stime di perdita della massa glaciale costituivano le basi per fare delle proiezioni sul livello dei mari che a detta di molti erano preoccupanti, adesso, con queste nuove valutazioni, possiamo dormire qualche oretta o dobbiamo mettere i sacchetti di sabbia intorno alle case? Ma sì, dai, un pisolino si può fare. Prima però una domanda facile facile: la faccenda dell’accelerazione del rateo di scioglimento dei ghiacci aveva fatto il giro del mondo in un batter d’occhio; qualcuno di voi ha sentito parlare di quest’altra notizia?
- David H. Bromwich & Julien P. Nicolas doi:10.1038/ngeo946 [↩]
Scorrendo Science daily vedo citato un lavoro del British Antarctic Survey e dell’Università di Bristol uscito su Nature nel settembre 2009 e basato su dati di radar altimetria del satellite Nasa Icesat (http://www.sciencedaily.com/releases/2009/09/090923143331.htm).
Il lavoro faceva parte di quella pletora di ricerche pubblicate da Nature a monte del grande barnum di Copenhagen (che sembra ormai lontano millenni…eppure non è passato nemmeno un anno).
In quel caso si mostravano immagini dell’Antartide e della Groenlandia enfatizzando con toni allarmati la diminuzione in atto del livello dei ghiacci; tutto ciò però a fronte di immagini che all’epoca mi colpirono in quanto mostravano con evidenza l’estrema variabilità spaziale del fenomeno, con zone in riduzione alternate a zone di incremento di spessore delle superfici glaciali (invito a rivederle al sito sopra citato per rendersi conto della cosa).
Mi domando se i dati di Grace non rendano in qualche modo ragione dei dubbi sorti a seguito di “ispezione visuale” delle immagini Icesat di cui sopra.
Un altro gruppo di ricerca arriva alle stesse conclusioni: http://www.climatemonitor.it/?p=4735