Che pacchia un paese senza scorie nucleari, senza trivelle e piattaforme petrolifere, dove milioni di persone lavorano ben pagati ad installare pannelli solari e pale eoliche sui quali si racconta i cinesi non hanno prezzi competitivi, dove contro la tossica anidride carbonica subito si firma l’impegno del Protocollo di Kyoto Bush per poi mettersi alla testa degli Stati responsabili che s’impegnano per un 30-30-30 entro l’anno 2020 rispetto l’anno 1990, al posto dei SUV si usano FIAT 500, in ogni casa un orto biologico come quello della Casa Bianca in modo che tutti possano evitare i nefasti fast-food. Ma dove si trova questo paese delle meraviglie? La risposta è semplice: nei discorsi prima delle elezioni di Barack Obama e nei sogni dei molti americani che l’hanno votato. In molti hanno creduto alla previsione che la green economy avrebbe creato milioni di posti di lavoro, tanto che anche in Italia Walter Veltroni prima dell’elezioni aveva promesso un analogo sviluppo (che con quello promesso da Berlusconi alle elezioni precedenti portava a due nuovi milioni di posti di lavoro). Successivamente la promessa di puntare sulla green economy contro la disoccupazione è diventata anch’essa rinnovabile.
Purtroppo però la realtà spesso è diversa dai sogni, chi governa una potenza mondiale come gli USA deve fare i conti con questa e non con i soli desideri o le idee ai quali possono limitarsi, facendo bella figura, intellettuali, filosofi, ecologisti, commentatori, politologi, etc. Obama ha dovuto fare i conti con il fatto che con la decrescita economica quasi nessuno è felice, anzi molti sono disperati ed arrabbiati, specie se l’intero paese rischia di entrare in stallo mentre altre potenze a livello globale emergono. Quindi per cercare di superare la crisi ha dovuto appoggiare l’energia nucleare, riaprire alcune trivellazioni, non è diventato vegano o almeno vegetariano “solo biologico” (ma quando possibile “scappa” dagli ortaggi della moglie per mangiarsi un bell’hamburger gigante accompagnato dalle telecamere), non sono stati presi impegni per rispettare i vincoli del Protocollo di Kyoto (analogamente a quanto già fatto dal petroliere Bush e da Clinton prima ancora) e, anzi, la massima riduzione futura su cui Barack è disposto ad impegnarsi è uno “striminzito” 17% riferito alle emissioni USA del 2005 e non del 1990 come nel Protocollo di Kyoto (la differenza nell’anno di riferimento di 15 anni comporta un cambiamento di crescita economica ed emissioni CO2 che, anche se la decurtazione del 17% è apparentemente simile al 20% europeo, il taglio delle emissioni statunitensi sarebbe effettivamente solo il 4% rispetto al 20% europeo, i dettagli su qui e qui).
La decisione che però dovrebbe sorprendere è quella di pochi giorni fa: costatato che la disoccupazione non accenna a diminuire, Obama è ricorso al cemento, non alla green economy, per tentare di far crescere i posti di lavoro. Il piano, che dovrà essere approvato dal Congresso, prevede la costruzione o il rinnovamento di oltre 240mila chilometri di strade (sei volte il giro del mondo), 200 chilometri di piste aeroportuali e circa 6mila chilometri di ferrovia per le nuove linee ad alta velocità che praticamente bastano ad andare da costa a costa. Il tutto per un impegno di 50 miliardi di dollari in sei anni (i dettagli li trovate qui, qui, qui e qui, tre articoli del Sole24Ore e uno del Corriere della Sera).
Insomma, crediamo con una conversione non indolore, anche Obama è dovuto arrivare alla conclusione che per produrre occupazione occorre tornare ad autostrade, ferrovie ed aeroporti, e con quanto “erogato” da queste attività economiche tradizionali è possibile creare jobs e dare gli incentivi per creare i “green jobs”. Mentre, al pari dell’illusione creata dalla “new economy” ad inizi anni ’90, la green economy sembra non essere in grado da sola di creare né “green jobs” né jobs, in numero pari a quello propagandato nelle promesse elettorali (se non con esborsi per gli incentivi insostenibili per le casse pubbliche, per l’Italia se ne è già scritto su proprio qui su CM. Non si vuole mettere in evidenza solo le promesse non mantenute da Obama, in alcuni campi come la sanità, il finanziamento alla ricerca, la riduzione delle tasse “ai ricchi”, è riuscito a realizzare delle “piccole-grandi” riforme, ma si vuole solo mettere in luce che governare è un’arte molto più difficile del promettere e/o sedurre. Queste sono le riflessioni dalle quali si dovrebbe partire quando in Italia si leggono e vedono i risultati della TAV bloccata, la rete ferroviaria che diminuisce come chilometri disponibili e fruibili, gli aeroporti che riducono l’attività, le autostrade che rimangono quelle degli ’60, la rete stradale che quasi ricalca solo ciò che hanno voluto gli antichi romani e Mussolini. Chissà se pure in Italia, chi oggi s’oppone a tutto e usa la green economy solo come slogan, vedendo la disoccupazione crescere ed il nostro paese perdere di competitività, non crederà giusto cominciare con l’investire prioritariamente e finalmente sbloccare l’alta velocità ferroviaria, costruire l’autostrada tirrenica, la nuova pontina, rifare il tratto di autostrada tra Firenze e Bologna, migliorare la Salerno-Reggio Calabria, migliorare gli aeroporti, etc.
Questo il modo di pensare alle future generazioni che hanno avuto i nostri nonni per noi. Il problema è che quasi sempre, purtroppo, si prendono i voti facendo sognare le persone piuttosto che descrivendo le scelte difficili ma necessarie, in quest’ultimo caso il rischio è che il comizio finisca come successo ad Antonio La trippa nel film “gli onorevoli”:
Notizia dalla Danimarca:
http://www.cphpost.dk/component/content/50321.html?task=view
Grazie della segnalazione, certo non sono notizie di cui essere felici. L’illusione che magicamente per l’Europa tutti i problemi economici e sistemici sarebbero scomparsi installando ovunque pannelli e pale eoliche attraverso inventivi statali sta tragicamente scontrandosi con la realtà. Buona domenica
10:15 – No di Obama ai pannello solari sulla Casa Bianca
12.09.2010
ROMA, 12 SET – Il presidente americano Barack Obama non vuole vecchi pannelli solari sul tetto della Casa Bianca. Gli ambientalisti, che in delegazione e su un furgone a biodiesel, si erano recati a Washington con un set di 32 apparecchiature per convincere il presidente a reinstallare il solare, sono rimasti delusi. Secondo quanto scrive oggi il britannico The Guardian, i pannelli da installare datano dalla presidenza Carter: fu proprio quel presidente a volere quelle apparecchiature (pesanti ognuna 55 kg e lunghe due metri) e le presento’ in una conferenza stampa nel 1979. A detta del fondatore dell’associazione ambientalista 350.org, Bill McKibben, la decisione di reinstallare i pannelli avrebbe avuto un alto valore simbolico nel dimostrare la leadership di Obama e dell’attuale amministrazione americana nelle combattere i cambiamenti climatici e l’effetto serra. Un po’ come l’orto biologico che Michelle Obama ha piantato nel giardino della Casa Bianca. Alla fine Obama ha inviato tre ’messaggeri’ a parlare con gli ambientalisti: la casa Bianca ha cortesemente respinto l’offerta dei panelli vintage preferendo – e’ detto in un comunicato ufficiale – tener fede ad un precedente impegno su un progetto globale per dotare l’amministrazione di apparecchiature per le energie rinnovabili. Il furgone degli ambientalisti con i pannelli solari resta parcheggiato a pochi isolati dalla Casa Bianca, pronto a rimettersi in moto il 10 ottobre per la giornata internazionale sul cambiamento climatico. (ANSA)
Il mio vicino di casa si è indebitato di 16.000 euro per riempire il suo tetto di pannelli fotovoltaici. Finirà di pagarli tra 15 anni, esattamente quando saranno da sostituire essendo diventati tecnologicamente obsoleti e avendo perso buona parte della loro efficienza. La ditta che li installa afferma che dureranno 20 anni, ma la garanzia la fornisce solo per 10 (?). Una villetta con un piacevole tetto color ocra, immersa in una verde campagna, ora è una macchia nera e rende quell’angolo di paesaggio tetro. Ma lui di fronte a noi vicini “scettici”, si sente un vero salvatore del pianeta per questa iniziativa, alla faccia del tetto nero!
Anch’io pensai di dotare la villa di Ravello di pannelli solari (amministrazione permettendo, visto che la città, turistica e internazionale, è un po’ particolare) e a patto che me lo permettessero, perché la villa ha rigorosi vincoli per l’interesse storico (sic), e se sposto una pietra mi arrivano subito i carabinieri. Se invece arrivano i ladri, nessuno si muove, ed una volta mi toccò personalmente indicargli la scala per scendere, per paura che si facessero male nel saltare giù dal muro di cinta, e me ne venisse additata la colpa (in questo Paese non si sa mai…).
(Non sto accusando i carabinieri, che fanno il loro dovere su segnalazione di qualcuno che, lui si, vede qualcosa si e qualcosa no)
Quindi, a patto di avere i successivi eventuali permessi, mi feci fare un preventivo, che si rivelò assai oneroso. Mi sarei dovuto rifare dopo vent’anni, mi disse il progettista, ma…e se una bella grandinata, di quelle che fan chicchi grossi grossi come il cervello di certe persone (scherzo) mi avesse danneggiato i pannelli ? O se ci fosse caduto sopra un albero, a causa del vento ? (Manco a farlo apposta proprio in questo anno, il secondo più caldo di sempre, a detta di qualcuno, mi è morto un nespolo per una gelata… ironia della sorte, morire per il freddo nell’epoca del GW !). Tra l’altro ho nella villa un pino secolare, molto bello, che però, se cadesse sui pannelli solari (a patto che me li facessero installare) ne farebbe una miseranda poltiglia.
Va bene, è un’ipotesi assai remota, il pino gode di ottima salute ed è assai robusto, ma non sai mai cosa potrebbe capitarti in testa. Giuseppe ( così chiamo ossequiosamente il pino 🙂 ) continuamente tira pigne, come ho documentato nella mia pagina facebook, e non si sa mai cosa potrebbe scagliarti contro il vento…insomma, per farla breve, un incidente può sempre capitare, ed un investimento che alla fine va in pareggio dopo vent’anni, SE TUTTO VA BENE, non mi pare una gran cosa. Così ho desistito, senza nemmeno prendermi la scocciatura di far la trafila per i permessi.
Ma il tuo vicino ha riflettuto sul fatto che, se tutto va bene, va in pareggio, e tra 20 anni ?
Secondo me.
Non è così semplice…..
Ad un privato, viste le generose tariffe incentivanti, conviene sempre installare un impianto solare(decente)sul tetto di casa…. se abita al sud ancora di più.
Il problema è che la cosa non conviene al ‘sistema Italia’ visto che attualmente la quasi totalità delle celle fotovoltaiche che istalliamo viene dall’estero. Potrebbe convenire se si investisse di più in ricerca e nella creazione di una filiera industriale.
Un ‘big player’ del fotovoltaico come la Germania è attualmente messo così: Si investono nel FV tedesco 10 miliardi di € all’anno per occupare 65000 persone e produrre 10 TWh di energia elettrica….energia che ha un valore commerciale di circa 500 milioni di € ma che viene pagata, con gli incentivi, 4 miliardi di €. Il debito cumulato in incentivi dovuti da qui al 2030 è pari a circa 53 miliardi di €.
La Merkel ha giustamente valutato che per fare cassa era opportuno prolungare la vita delle centrali nucleari.
Semplificando un po’ il discorso…. per mantenere costante il livello occupazionale del settore fotovoltaico tedesco lo si deve foraggiare ogni anno con investimenti pari a circa 10 G€ e per attirare gli investimenti si deve drogare il mercato con opportuni incentivi altrimenti crolla tutto il palco. Quando il prezzo dei pannelli cala deve aumentare la potenza installata, altrimenti crolla il palco.
Il tutto ha un po’ le caratteristiche di uno schema Ponzi….. in un ottica di grande respiro il fotovoltaico converrà a chi brevetterà, produrrà e venderà i pannelli del futuro e riuscirà a far sopravvivere, tra una trentina d’anni, il suo fotovoltaico senza incentivi (ovvero quando il FV potrà produrre energia al costo di circa 5c€/kWh) mantenendo intatta la propria filiera industriale e la propria forza lavoro…. Ed è tutto da vedere se questo sarà in grado di farlo qualche paese oltre alla Cina.