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Beghe mentali

Il mondo è già afflitto da numerosi e purtroppo a volte insanabili problemi. A questo si aggiungano le ansie, le preoccupazioni e i problemi che ci vengono quotidianamente scaricati sulle spalle per situazioni future di là da venire. L’apoteosi la raggiungiamo quando cerchiamo di astrarre concetti ad oggi improponibili, frutto di situazioni future e quindi del tutto incerte o peggio ipotetiche.

Diciamo che sono i classici arrovellamenti mentali e diciamo anche che i ragazzi di oggi hanno un modo preciso per chiamare tali ragionamenti…

Che succede questa volta? Oggi ci troviamo nelle isole Marshall, nell’Oceano Pacifico1 . Queste piccole isolette sparse, poco meno di 200 chilometri quadrati in tutto, sono oggi il centro mondiale delle beghe mentali. Se una nazione dovesse sparire (non in seguito a guerre, invasioni o altri fattori socio-politici), se una nazione dovesse sparire sul serio dall’atlante geografico, cosa accadrebbe ai suoi cittadini? Cosa circa la nazionalità e, soprattutto (sempre lì andiamo a parare), a chi andrebbero i diritti a sfruttare le risorse presenti?

Come potrebbero essere cancellate le isole Marshall dall’atlante geografico? Ma è ovvio: dal devastante innalzamento del livello oceanico che è in corso per via del Global Warming antropico. Quindi in futuro, quando queste isole saranno sommerse, chi avrà ancora il diritto di estrarre le risorse presenti off-shore (ad esempio la pesca o le trivellazioni oceaniche)?

Insomma, nasce una nuova fattispecie giuridica: lo stato fantasma, ovvero quella nazione che venga cancellata (fisicamente) dal riscaldamento globale, generando profughi ambientali e diritti di sovranità su qualcosa che non esiste più.

Ma questi studi legali, non hanno veramente nient’altro di più concreto su cui lavorare?

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  1. Chi avrà la sovranità sulle piccole Atlantidi del global warming?; http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=6452 []
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2 Comments

  1. Guido Botteri

    da:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Mar_Egeo
    [ La linea di costa odierna risale circa al 4000 a.C.. Prima di allora durante il picco dell’ultima era glaciale (circa 16000 a.C.) il livello del mare era 130 metri più basso, e c’erano larghe pianure costiere al posto dell’odierno mar Egeo settentrionale. Quando vi si insediarono gli esseri umani, le odierne isole, inclusa Milo con la sua importante produzione di ossidiana, erano probabilmente ancora connesse con la terraferma. ]
    Ebbene, che ne facciamo di coloro che popolavano le terre che ora sono mare ? Li facciamo rimborsare dagli USA o dall’ONU ?
    Per inciso, chissà se diluvio e Atlantide non siano un ricordo di queste drammatiche catastrofi “naturali”… o forse qualcuno vorrebbe insinuare che anche quelle sarebbero colpa dell’uomo ? Capaci, ah, certo che ne sarebbero capaci, con l’aria che tira !
    Secondo me.

  2. Filippo Turturici

    Non so dove segnalarlo, ma il titolo dell’articolo, ed il suo argomento, mi paiono abbastanza coerenti con questo: la BBC segnala che no, non esiste alcuna prova che leghi i cambiamenti climatici in Africa alle locali guerre http://www.bbc.co.uk/news/science-environment-11204686
    Dall’articolo BBC estrarrei i seguenti paragrafi, di interesse:
    “Even if you found that conflict, defined in a particular way, appeared to be associated with climate, if you applied a number of complementary measures – which you should do in order to determine the robustness of the apparent connection – then you would find, in almost all cases, the two were actually unrelated.”
    “He found that that there was a strong correlation between civil wars and traditional factors, such as economic disparity, ethnic tensions, and historic political and economic instability.”
    “BBC News has approached a number of co-authors on the PNAS November 2009 paper, but we have yet to receive a response.”

    Mi sembra un caso più grande di quanto si sentiva fino a qualche anno fa sul “maltempo” in Italia: dove i cambiamenti climatici venivano usati per giustificare incompetenza e dolo nella gestione del territorio e nei piani di emergenza.

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