Siamo nel pieno del periodo estivo, momento in cui la maggior parte di noi prende la valigia e parte per fare un viaggio, una vacanza, una avventura. A chi invece rimane a casa, o magari ci legge con il suo iPad dalla sdraio sulla spiaggia, dedico questo viaggio virtuale. Un esercizio insolito, qui su CM. Spero proprio di riuscire ad allettare la vostra voglia di scoprire luoghi, magari a voi sconosciuti.
Per non rendere pesante la narrazione, ho preferito dividere il viaggio in due tappe. Se avete visitato i luoghi di cui vi parlo e avete foto, filmati o altra documentazione e desiderate arricchire la trattazione, contattatemi e in qualche modo integreremo le informazioni.
Il nostro viaggio prende le mosse nel Pleistocene, periodo geologico che si sviluppa a partire da circa 2,5 milioni di anni fa e che ha avuto termine circa 12 mila anni fa. Un’epoca geologica nemmeno troppo lunga, se vogliamo, eppure caratterizzata da una serie di eventi che stuzzicano moltissimo la fantasia di molti meteo-appassionati: le ultime colossali glaciazioni. Più precisamente, le ultime tre sono denominate di Mindel, Riss e Würm. Quest’epoca di grandi mutamenti climatici e paesaggistici ormai è solo un ricordo, qualche genetista ci dice che nel nostro DNA sia rintracciabile “l’impronta” di quella glaciazione, o meglio degli stratagemmi di cui ci dotò la natura per sopravvivere. Oggi non rievocheremo quell’epoca perduta, cercando di ricostruire ciò che non c’è più, il ghiaccio. Bensì andremo alla scoperta di ciò che quei ghiacciai ci hanno lasciato e, in particolare, lo faremo in una zona che ha conosciuto importanti modificazioni per via dell’azione glaciale: la Valle d’Aosta e la pedemontana piemontese a contatto con questa.
Avete mai viaggiato sul tratto autostradale che dal casello di Santhià (sulla Torino – Milano) porta all’autostrada Torino – Aosta (è il raccordo A4-A5)? In ogni caso, guardate un po’ qui:
La vedete quella muraglia sullo sfondo? Quella lunghissima collina così lineare? Ebbene, quella è la morena laterale sinistra dell’antico ghiacciaio Balteo che, partendo dal Monte Bianco, attraversava l’intera Valle d’Aosta per poi sfociare in Piemonte e allargarsi nella pianura, creando un imponente anfiteatro morenico, di cui parleremo tra poco. Se avete Google Earth, potete scaricare il file con il segnaposto.
Pochi sanno, probabilmente davvero pochi, che la morena di cui stiamo parlando, detta Serra di Ivrea, è lunga circa 25 chilometri ed è la più lunga in Europa. E’ davvero colossale, credetemi. Il punto più basso è circa a 200 metri sul livello del mare. Nel punto più alto siamo intorno agli 800 metri. E per trovare il cordone morenico gemello, quello sul lato destro orografico, bisogna viaggiare per circa 27 chilometri, con l’imponente apprato frontale che sfila di fianco a noi. Lì in mezzo, ghiaccio, solo ghiaccio e con uno spessore, allo sbocco della valle, che secondo alcuni toccava il chilometro, secondo altri lo superava.
Di seguito un’altra vista, grazie a Google Streetview, della Serra di Ivrea. E’ impressionante la mole e la precisione con cui è stata scolpita dal ghiacciaio.
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Per darci un metro di confronto, andiamo a vedere come il ghiacciaio ha inciso la valle al suo sbocco verso la pianura.
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Nell’immagine qui sopra (potete navigarci, è interattiva) potete ammirare il solco scavato dal ghiacciaio Balteo allo sbocco verso la pianura piemontese, il profilo è tipico delle valli glaciali.
La pulsazione glaciale massima ha avuto luogo durante il periodo cosiddetto mindeliano, circa 400 mila anni fa. Allora il ghiacciaio conobbe l’espansione massima e diede vita all’anfiteatro morenico, per lo meno nei suoi cordoni più esterni e quindi più estesi. Non me ne vogliano i geologi che stanno leggendo, ma io l’ho rappresentato così…
Guardate che meraviglia, l’avrete già notato: il ghiacciaio ha lasciato ben due laghi glaciali: quello di Candia, il più piccolo, e quello di Viverone sulla vostra destra. Quest’ultimo potete osservarlo in una ripresa dall’alto nella foto successiva.
Nella foto qui sopra, potete notare, in basso a sinistra la Serra, la morena laterale sinistra, mentre in alto potete notare la netta differenza tra le pianure alluvionali e gli ultimi cordoni delle morene frontali del ghiacciaio (ricoperte da boschi). Prima di addentrarci lungo la valle scavata dal ghiacciaio (la Valle d’Aosta), vorrei soffermarmi con voi su alcune altre peculiarità della zona, legate in qualche modo all’era glaciale di cui stiamo parlando. Da un lato i magnifici massi erratici depositatisi un po’ ovunque lungo il perimetro morenico, dall’altro lato gli insediamenti palafitticoli fioriti proprio lungo le sponde del lago glaciale più grande, il lago di Viverone.
Di massi come questo ce ne sono a decine, tutti trasportati a valle dalla forza incommensurabile del ghiacciaio. Uno dei più grandi prende il nome, in piemontese, di “Roch Malegn”: pietra maligna, pietra del diavolo. Eccola:
Ma perchè “roccia del diavolo”? Guardate un po’ che razza di spaccatura si è creata al centro di questo masso erratico…
Notevole, nevvero?
Il ghiacciaio, tuttavia, ha lasciato anche importanti eredità per noi uomini, per la nostra civiltà. Fin dall’età del bronzo, infatti, l’uomo ha potuto colonizzare quelle terre, costruendo villaggi palafitticoli sul lago di origine glaciale. Ambiente pericoloso quello di 3500 anni fa e quindi, la storia la conosciamo tutti, l’uomo iniziò col rifugiarsi sulle acque. L’ultimo grande dono di cui desidero parlarvi e poi, ve lo assicuro, ci muoviamo in direzione Valle d’Aosta, dicevo l’ultimo grande dono è il metallo più prezioso, il più desiderato. Sì: l’oro. E non grammi, bensì tonnellate d’oro. L’azione erosiva del ghiacciaio si è trascinato a valle di tutto, compresi minerali più o meno nobili, più o meno rari.
Una combinazione fortuita di eventi ha fatto sì che lungo il cordone morenico sulla sinistra orografica, si siano raccolti depositi immani di oro. Attraverso una serie di trasformazioni geologiche, dovute prevalentemente all’azione erosiva dei torrenti, i bacini auriferi sono stati poi smantellati e parzialmente portati alla luce. Le popolazioni autoctone se n’erano già accorte, ci troviamo pochi anni prima della nascita di Cristo. Potevano forse i romani tralasciare una simile fonte di ricchezza?
Nacquero così le aurifodinae romane della Bessa, di cui parla anche lo storico greco Strabone. Se passate in zona, dopo aver ammirato (dalla A5) la stupenda morena della Serra, il consiglio è di recarsi in provincia di Biella, a Cerrione per l’esattezza e visitare la riserva naturale della Bessa. Non avete idea, probabilmente, di cosa hanno “combinato” lì i romani. Migliaia di schiavi che per anni hanno scavato i depositi morenici e alluvionali. Per anni. Se non potete fare un salto di persona, date un po’ un’occhiata qui:
Quello che vedete nella foto è solo un piccolo scorcio. Moltiplicate quella distesa di pietre per chilometri, aggiungeteci strade (romane), incisioni rupestri, sistemi di lavaggio delle sabbie aurifere, steli antropomorfe ed avrete uno dei luoghi più magici ed ameni d’Italia. Ovviamente quasi del tutto sconosciuto ai grandi circuiti turistici.
La prima parte termina qui, nel prossimo capitolo affronteremo il tragitto che risale lungo la Valle d’Aosta, alla ricerca di quei segni che testimoniano il passaggio del ghiacciaio. Essendo all’interno di una valle, quello che documenteremo sarà l’imponente battaglia tra il ghiaccio e la roccia viva.
per chi andra’ dalle parti di ivrea ed e’ interessato alla natura mi permetto di segnalare la zona dei 5 laghi sopra ivrea, passeggiate naturalistiche per nulla impegnative , fra natura e rovine degli acquedotti romani : http://www.comune.cascinette.to.it/anelli.
tuttavia il post vuole parlare di un altra localita’in provincia di torino : perosa argentina a 650 mt slm, val chisone.
Il fenomeno che vorrei segnalare e se interessase mi piacerebbe provare a documentare meglio, parte da una foto antica esposta nel centro del paese (in uno dei classici punti di interesse turistico) , che oltre a ritrarre l’ “antico borgo di poggio oddone” mostra sullo sfondo le montagne limitrofe (dai 1000->2000mt slm) inequivocabilmente brulle: senza vegetazione o quasi.
Considerato che nelle mie attuali passeggiate ho sempre incontrato fitte foreste di castagni che poi cedono il passo ad altrettanto fitte e popolate di cerbiatti, distese di faggi, fino a poco tempo fa’ ero convinto che si trattasse di una foresta pluri centenaria e ora invece scopro che nonostante la incipiente desertificazione nel “recente passato” non era cosi’.
naturalmente dovrei trovare un modo di datare la foto con certezza, digitalizzarla , poi fare un paio di foto attuali sarebbe il meno: insomma sarebbe un’altra piccola nave, ritrovata fra i ghiacci che non c’erano…..
Sarebbe sicuramente un contributo utile, se riesce a datare la foto ce lo faccia sapere. Grazie per la sua partecipazione.
Credo che non mancherò di visitare la zona durante le mie vacanze post ferragosto. Bell’articolo
La ringrazio. Se dovesse scattare foto ai luoghi descritti, se ne ha voglia ce le mandi, le pubblicheremo.
CG
[…] A spasso tra le glaciazioni | Climate Monitor […]
Grazie !
Ci mancherebbe! Rimanga in contatto allora per la seconda parte!
(e sono ben accetti consigli per eventuali approfondimenti)
CG