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Nell’ambito di una discussione più che mai viva circa l’opportunità di tornare all’implementazione delle tecnologie nucleari per la produzione di energia, si sente molto spesso parlare di impianti di nuova o vecchia generazione, di prototipi promettenti e di altri già abbandonati. Con quanto segue cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sull’argomento, concludendo (per ora) la serie di articoli che hanno affrontato questo argomento.
Le diverse generazioni di reattori
I reattori nucleari vengono convenzionalmente divisi, al giorno d’oggi, in 4+1 generazioni, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale:
- I generazione: essa comprende i primi esempi di reattori funzionanti e connessi alla rete elettrica (locale o nazionale), anche se di bassa potenza e spesso solo al livello di prototipi; esempi sono i reattori tipo Dresden o Magnox;
- II generazione: è quella che ha avuto finora il maggior sviluppo commerciale, con reattori costruiti dagli anni ’60 sino ai ’90, ed in gran parte ancora operativi;
- III generazione: comprende i reattori “avanzati” (advanced) rispetto alla II generazione; pur essendo progetti recenti e rispondenti alle specifiche richieste in materia di sicurezza, non hanno avuto molta fortuna, per ragioni sia economiche che tecniche;
- III+ generazione: sono i reattori “evoluti” (evolutionary design) rispetto alle generazioni II e III; il loro rapido sviluppo ha messo fuori mercato i reattori di III generazione, ed è su questa categoria di impianti che si basa e si baserà il “rinascimento nucleare” in atto, Italia compresa;
- IV generazione: essa comprende diversi tipi di progetti e prototipi, in buona parte reattori veloci, anche molto diversi tra loro, che avranno l’ambizioso obiettivo principale di produrre più combustibile per trasmutazione di quanto ne brucino per fissione; altri obiettivi sono la sicurezza, la sostenibilità economica ed ambientale (sono al vaglio anche reattori “bruciatori” di scorie), e di evitare la proliferazione nucleare (intesa in senso militare); sostanzialmente, però, non esistono ancora reattori commerciali di questo tipo, né si prevede che entreranno in funzione prima del 2030.
I diversi tipi di reattori
I reattori nucleari vanno innanzitutto distinti in due tipologie, dipendenti dal comportamento dei neutroni di fissione:
- reattori termici, quelli di gran lunga più comuni, dove i neutroni vengono moderati per permettere la fissione nucleare;
- reattori veloci, dove i neutroni non subiscono moderazione, e che sono stati fino ad ora raramente costruiti.
Nei reattori termici, gli elementi fissionabili sono più limitati rispetto ai reattori veloci; tuttavia, la moderazione (rallentamento) dei neutroni permette un maggior numero di interazioni con i nuclei del combustibile, per cui quest’ultimo viene usato con arricchimento basso se non a livelli naturali. Gli elementi non fissionabili possono subire comunque una trasmutazione, a volte interessante a scopi energetici o militari (come U238 ? Pu239 e Th232 ? U233).
Nei reattori veloci, si ha una gamma più ampia di elementi fissionabili (lo diventano anche l’U238 ed il Th232); ma lo spettro veloce dei neutroni impattanti, meno energetico, richiede un arricchimento assai superiore del combustibile, dal 15-20% fino al 90% (quest’ultimo è praticamente quasi una bomba nucleare). Siccome la principale finalità di tali reattori è di produrre più combustibile di quanto ne brucino, diventa importante il “fattore di conversione”, che deve essere FC > 1 (per i reattori termici FC = 0.5-0.7): quindi, il parametro ? dell’elemento fissile deve essere ? > 2, 1 per sostenere la reazione ed 1 per produrre combustibile (più le piccole perdite). Si può dunque compilare una tabella degli elementi fissili e della loro efficacia per questi scopi:
dalla quale, come si vede, risulta conveniente il passaggio Th232 ? U233 in zona termica, e quello U238 ? Pu239 in zona veloce. Quest’ultima trasmutazione, con minore vantaggio energetico, è stata largamente usata in passato a scopi militari, in reattori termici cosiddetti “plutonigeni”, come il britannico Magnox ed il sovietico RBMK.
Fra i reattori termici, possiamo poi distinguere tre grandi categorie: i reattori ad acqua leggera, che utilizzano normale acqua demineralizzata (H2O); i reattori ad acqua pesante, che usano appunto D2O; ed i reattori a gas.
I reattori ad acqua leggera (detti anche LWR, Light Water Reactor) sono e sono stati di gran lunga i più usati nel nucleare civile. L’acqua viene utilizzata sia come fluido termovettore, che come moderatore neutronico. L’efficienza termodinamica del ciclo a vapore è di circa il 30-33%. Essi si dividono a loro volta tra:
- reattori ad acqua pressurizzata (PWR, Pressurized Water Reactor), in cui il recipiente del reattore (vessel) oltre al nocciolo contiene acqua alla pressione di 155bar e temperatura di circa 330°C, la quale alimenta il circuito primario, che scorre nella sola “isola nucleare”, senza alcun contatto con l’esterno; in un generatore di vapore, viene quindi ceduta energia all’acqua del circuito secondario (isolato dal primario) che alimenta la turbina a vapore per la produzione d’elettricità; il raffreddamento dell’acqua in uscita dalla turbina avviene infine grazie ad un terzo circuito, sempre alimentato ad acqua, ma stavolta presa e reimmessa in una fonte esterna (fiumi, laghi, mare);
- reattori ad acqua bollente (BWR, Boiling Water Reactor), che si differenzia dal PWR soprattutto perché contiene due e non tre circuiti, dato che l’acqua bolle a contatto con il reattore, producendo così il vapore che va ad alimentare direttamente la turbina; la pressione nel vessel è inferiore, attorno ai 75bar, ed anche la temperatura è leggermente più bassa, sui 290°C; il circuito secondario ha le stesse caratteristiche di quello terziario sopra accennato.
I reattori ad acqua pesante pressurizzata (PHWR, Pressurized Heavy Water Reactor) utilizzano come detto l’acqua pesante, cioè quella frazione di acqua che in natura è costituita con atomi di deuterio (D o H2), un isotopo stabile del comune idrogeno (H). L’acqua pesante funge sempre sia da moderatore neutronico che da fluido termovettore, ma permette di usare uranio naturale (cioè con solo lo 0.7% di U235, e non arricchito al 3-4% come negli LWR): infatti questa tecnologia fu sviluppata nel secondo dopoguerra, quando gli USA si rifiutarono di condividere tecnologie che potevano portare alla proliferazione nucleare militare. Tali impianti appartengono essenzialmente alla filiera CANDU (CANadian Deuterium-Uranium), sviluppata come dice il nome in Canada e continuamente aggiornata nel corso dei decenni. Un progetto simile in Italia fu il Cirene, che però era un reattore ad acqua pesante bollente (BHWR, Boiling Heavy Water Reactor); ma esso fu poi abbandonato.
I reattori a gas sono un tipo di impianto oggi poco utilizzato, ma che ebbe una certa fortuna nel passato in Europa, soprattutto nel Regno Unito. Come i PHWR furono sviluppati per supplire alla necessità di utilizzare solo uranio naturale. La moderazione è assicurata dalla grafite, mentre il fluido termovettore è costituito da un gas ad elevata temperatura (fino a 600-800°C), come l’anidride carbonica o l’elio.
I primi reattori del tipo furono i britannici MAGNOX, la cui sigla indica l’uso di ossido di magnesio per l’incamiciatura delle barre di uranio; furono seguiti dai ben più prestanti AGR (Advanced Gas Reactor), che però utilizzavano uranio debolmente arricchito. Il progetto seguente, denominato HTGR (High Temperature Gas Reactor), che utilizzava uranio fortemente arricchito (addirittura fino al 93%), ottenne ottimi risultati ma non ebbe successo industriale. L’efficienza degli impianti AGR ed HTGR arrivava intorno al 40%.
I reattori della generazione III+
I reattori della generazione III+, o “terza avanzata”, sono quelli che saranno protagonisti del “rinascimento nucleare”, come viene chiamato negli USA: cioè della fase, partita da pochi anni, di costruzione di un grosso numero di centrali, dopo gil periodo difficile seguito a Three Mile Island e Chernobyl.
L’impianto AP-1000, dell’americana Westinghouse (legata alla giapponese Toshiba), ma su cui lavora anche l’italiana Ansaldo Nucleare, ha una potenza di 1154MWe, ed è di tipo PWR. Si caratterizza principalmente per alcune innovazioni tecniche rispetto ai reattori precedenti dello stesso tipo, per una maggiore compattezza di progetto, ma soprattutto per l’approccio di sicurezza: esso utilizza infatti un sistema cosiddetto “passivo”, cioè basato su forze “naturali” (come gravità o pressione) invece che su attuatori elettro-meccanici, nonché il concetto della “difesa in profondità” (diversi livelli di sistemi di sicurezza, in modo da evitare che il fallimento di uno porti ad un grave incidente). Questo ha consentito di ridurre, rispetto ad altri impianti, del 50% le valvole, del 35% le pompe, dell’80% le tubazioni “safety-grade”, del 45% gli edifici anti-sismici, del 70% i cavi: la semplificazione dell’impianto ha portato ad una netta riduzione dei costi. La costruzione, inoltre, avviene in maniera modulare: il progetto è unico per tutte le centrali, e gli edifici sono costituiti da moduli pre-fabbricati ed assemblati in loco, con un’ulteriore riduzione dei costi. I primi sono in costruzione in Cina e negli USA.
Il reattore EPR, cioè il reattore europeo ad acqua pressurizzata (European Pressurized Reactor), della francese Framatom, è un PWR di grande potenza, circa 1600MWe: la riduzione del costo del kWh avviene attraverso l’economia di scala; mentre l’approccio di sicurezza è legato prevalentemente alla ridondanza di sistemi “attivi”. Questo tipo di impianto è quello delle prime quattro nuove centrali nucleari italiane, almeno secondo gli attuali progetti ed accordi internazionali. Esso è comunque già in costruzione in Finlandia, Francia e Cina.
L’ESBWR (Economic Simplified Boiling Water Reactor), dell’americana General Electric (legata alla giapponese Hitachi), derivato dall’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor) che ha avuto molto successo in Giappone negli ultimi anni. Esso si basa su tecnologie “passive” ed ha una potenza di 1600MWe.
Il VVER-1200 (Vodo-Vodyanoi Energetichesky Reactor, reattore energetico ad acqua-acqua) è l’ultima evoluzione della filiera russa (ex-sovietica) degli impianti VVER; con una potenza di 1200MWe, esso soddisfa i requisiti di sicurezza occidentali. Una centrale prototipo, con due unità reattore, è in costruzione in Russia.
L’ACR-1000 (Advanced CANDU Reactor) è l’ultima evoluzione dei sistemi CANDU. Esso usa ancora l’acqua pesante come fluido moderatore, ma il fluido termovettore è acqua leggera; inoltre l’uranio è debolmente arricchito. La potenza dell’impianto è di 1200MWe.
Infine l’APWR (Advanced Pressurized Water Reactor), della giapponese Mitsubishi Heavy Industries, è un impianto approvato in Giappone e negli USA; nella versione APWR+ raggiunge la potenza di 1700MWe.
I reattori della generazione IV
I reattori di quarta generazione sono attualmente oggetto di studio e, più raramente, di sperimentazione; essi, come precedentemente detto, hanno come principale obiettivo la produzione di combustibile nucleare in misura superiore a quanto ne usino per produrre energia termo-elettrica.
I reattori che utilizzano metalli liquidi come fluido termovettore sono stati finora ampiamenti studiati, ma hanno sempre presentato grossi problemi sia tecnici che di sicurezza, dovuti alle particolari condizioni di servizio dell’impianto (corrosione dei materiali di contenimento, attivazione del metallo liquido, interazione refrigerante-aria nel caso del sodio, punto di ebollizione del metallo nel caso di fermata del reattore ecc.); gli impieghi non-sperimentali sono stati rari, e prevalentemente confinati al mondo sovietico, dati gli elevatissimi costi in tempo e denaro dello sviluppo di questi impianti. Questo nonostante tali reattori siano stati storicamente tra i primissimi al mondo. Per questi impianti, che sono reattori veloci, si usa spesso l’acronimo FBR, Fast Breeding Reactor (reattore veloce fertilizzante).
I reattori al sodio sono stati studiati largamente, con la costruzione di alcuni importanti prototipi. L’impianto giapponese di Monju aveva una potenza di 280MWe (rendimento del 39%), ed utilizzava un combustibile misto di PuO2 e UO2 (in cui la percentuale di arricchimento, con Pu239, era del 16-21%); aperto nel 1994 e chiuso nel 1995, è stata riaperto nel 2008. L’ancora più famoso ed ambizioso impianto francese (con una forte partecipazione italiana) denominato SuperPhenix, con una potenza di 1174MWe (rendimento del 41%), arricchito al 15% con Pu239, fu aperto nel 1985 ma spento nel 1998, e successivamente smantellato; la temperatura del sodio in uscita dal nocciolo era di 545°C. Attualmente sono attivi progetti sia europei che americani a tale proposito, spesso però ancora senza alcun prototipo, e con notevoli problemi per passare le obiezioni tecniche degli enti preposti alla sicurezza nucleare. Invece, nell’ex-URSS sono state attive due centrali nucleari alimentate da simili reattori: una prima da 150MWe, spenta; ed un’altra da 600MWe, ancora in attività, a Beloyarsk.
I reattori al piombo sono spesso associati al mondo sovietico: infatti sono stati ampiamente usati come propulsori per 7 sottomarini nucleari della classe Alfa. In realtà tali reattori utilizzano una miscela eutettica di piombo-bismuto, che offre migliori caratteristiche tecniche (come un punto di ebollizione nettamente inferiore). Un reattore sperimentale è in costruzione attualmente in Russia, e dovrebbe portare in futuro ad un impianto commerciale da 1200MWe. Non vanno però dimenticati gli attuali studi europei nel settore, con il progetto ELFR (European Lead Fast Reactor), a cui si riferisce il progetto italiano ELSY.
Non si può infine non citare lo sforzo indiano per associare, a questa tipologia di reattori, l’uso di Th232 per produrre U233, assieme alla normale produzione termo-elettrica. Nel 2004, infatti, è partita la costruzione di un prorotipo da 500MWe a Kalpakkam, arricchito con plutonio e dotato di una camicia di torio per la “fertlizzazione”; esso dovrebbe essere operativo dal 2010.
Un altro tipo di reattori veloci è quello a gas, GFR (Gas-cooled Fast Reactor), con una tecnologia simile al già citato HTGR, con la differenza che quest’ultimo non era progettato per “fertilizzare” il combustibile nucleare. La ricerca in tale campo è attiva o è stata attiva in numerosi paesi, come USA, Giappone, Germania, Cina, Russia e Sud Africa.
Il reattore a sali fusi è un progetto molto vecchio, risalente addirittura agli anni ’50 e ’60 del XX secolo, ma che non ha finora ottenuto il successo tecnico sperato, a causa delle serie difficoltà incontrate nel suo sviluppo. In esso il combustibile è disciolto nel fluido termovettore, un sale fuso, ad esempio sotto forma di UF4; in un nucleo di grafite avviene la moderazione, e quindi la fissione (si tratta dunque di un reattore termico). Tuttavia esso si presenta particolarmente adatto per l’uso del Th232. La ricerca nel campo è guidata da USA, Giappone e Russia.
Il reattore ad acqua supercritica (SCWR, SuperCritical Water Reactor) è un’evoluzione degli impianti LWR (quindi sempre un reattore termico): similmente ai PWR, esso utilizza H2O nella sola fase liquida, all’interno del reattore nucleare; ma, come nei BWR, essendo l’acqua in condizioni di supercriticità, esso manda direttamente tale fluido termovettore nella turbina per la produzione d’elettricità. La possibilità di operare a più elevate temperature e pressioni che negli LWR promette un rendimento nettamente maggiore, circa il 45%, ed un impianto nettamente più compatto. Tuttavia, emergono anche i diversi e gravi problemi legati allo sviluppo di nuovi materiali per poter rendere operativo un simile reattore, nonché ai problemi legati sia all’instabilità del fluido che alla sua attivazione.
Il reattore a temperatura molto elevata (VHTR, Very High Temperature Reactor) è un altro tipo di reattore termico, il cui primo sviluppo fu l’HTGR, ma che presenta anche progetti più avanzati. Il moderatore è costituito da grafite, mentre il fluido termovettore può essere elio (con una temperatura di 1000°C) o sali fusi (LS-VHTR). Anch’esso pone notevoli sfide e difficoltà tecniche, ma reattori sperimentali sono stati costruiti nel passato in Germania, Regno Unito e Giappone; e più di recente sono in via di costruzione o in progetto in Cina e negli USA.
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Aggiornamento
Il reattore IRIS
Il progetto IRIS (Innata atomica vis Renovata tutaque Ingenti necessitati Sine proliferatione succurrit, o anche International Reactor Innovative and Secure), attualmente in via di sviluppo, sfrutta il concetto del PWR integrale: cioè, tutti i sistemi del circuito primario sono posti all’interno del contenimento del nocciolo, garantendo una maggiore compattezza, una minor presenza di tubazioni ed altre componenti, e l’uso di sistemi di protezione passivi. Tutto questo va in vantaggio sia della sicurezza che del costo di ogni unità.
Esso nasce dalla collaborazione di 10 nazioni e 19 organizzazioni, e dovrebbe essere pronto alla commercializzazione nel 2015. La bassa potenza, circa 335MWe, lo rende adatto sia ai piccoli impianti che, costruito in più unità, alle grandi centrali. I vantaggi sono inoltre di un bassissimo irraggiamento del recipiente, una costruzione modulare, manutenzione e smantellamento semplificati, e praticamente l’eliminazione del “piano di emergenza” in caso di grave incidente (inoltre la probabilità di danneggiamento del nocciolo e di fuoriuscite radioattive scende a 10-8 – 10-9 anni per reattore).
Il progetto ADS
Il principale fine dell’ADS (Accelerator Driven System) è quello di trasmutare i prodotti di fissione più pericolosi e meno utili in altri elementi, quantomeno di minore pericolosità, dando così un importante contributo allo smaltimento delle scorie. La trasmutazione avviene grazie ad un acceleratore di protoni, che bombarda il bersaglio costituito dai suddetti elementi.
Tale progetto è associato ai reattori di IV generazione, in quanto se ne ipotizza l’uso all’interno di un reattore veloce, con il triplo fine di generare energia, produrre combustibile nucleare e “bruciare” le scorie peggiori.
In Europa sono stati presentati tre progetti denominati XADS, per dimostrare la fattibilità del “bruciatore”:
- XADS raffreddato a gas da 80MW (francese);
- XADS a piombo-bismuto da 80MW (italiano);
- XADS a piombo-bismuto da 50MW (belga) detto MYRRHA.
Attualmente il progetto MYRRHA è il più avanzato, ed il primo pronto a partire; mentre quello francese pare non avere grandi speranze.
All’XADS seguiranno, in caso di successo, l’XT-ADS come dimostrazione della possibilità di trasmutazione su larga scala, e per lo studio del comportamento dell’ADS. Ed infine il progetto EFIT, per la trasmutazione su scala industriale.
Gent.mo Filippo Turturici,
sono uno studente di ingegneria e ho trovato interessante la panoramica che hai fatto sull’incidente; sto scrivendo un capitolo della tesi che riguarda l’incidente giapponese. Ti volevo chiedere se gentilmente ti ricordi le fonti da cui ha preso per scrivere il report su Fukushima e se eventualmente potresti inviarmene qualcuna.
Ti ringrazio
Per me l’unico modo per disfarsi delle scorie nucleari in maniera sicura e permanente sarebbe seppellirli nel mare nelle zone di subduzione (esempio: a ovest del Cile), in maniera che i movimenti geologici li portano verso l’interno della terra. Solo così è prevedibile che non tornino nella biosfera finchè sono pericolosi.
Ci vorrà un po di ricerca geologica per stebilire dove e in che profondità vanno seppelliti.
Con le due miniere di sale, usate in Germania, i geologi non hanno avuto successo. Il governo tedesco circa due anni fa ha dichiarato che il problema non è risolto.
Brevemente, ho raccolto qualche informazione sul nettunio 237.
La sua pericolosità è da valutarsi sul lungo termine: essendo prevalentemente un emettitore alfa ed avendo un’emivita di circa 2miliardi di anni, radioattivamente non è tra i nuclidi più pericolosi; si teme però che, a causa della sua forte “mobilità” chimica, esso (in tempi >10mila anni) possa produrre un indesiderato inquinamento radioattivo nei depositi di scorie e di qui all’ambiente circostante (per questo vanno attentamente selezionati i siti, con caratteristiche geologiche adeguate).
Il suo utilizzo in armi nucleari è teoricamente provato, ma non si hanno notizie certe di ordigni fabbricati e sperimentati; tuttavia, l’elevata massa critica, unita alla scarsa produzione di tale isotopo nei reattori, non ne fanno un elemento militarmente molto appetibile.
E’ invece largamente usato ad esempio nei dosimetri, in campo civile.
Rimane comunque uno degli attinidi “candidati” ad essere “bruciati” in futuro (ved. l’ADS).
La sua produzione, da dati del 2003, a me risulta inferiore a 300tonn: dai reattori civili, erano state fino ad allora prodotte circa 54tonn di nettunio 237; nei reattori militari, si ipotizzavano 1.6-3tonn (contro 278tonn di plutonio). [Albright e Kramer, 2005, reperibile in rete]
Tutto ok a parte l’emivita del nettunio che dovrebbe essere di circa 2 milioni (non 2 miliardi)di anni, il che spiega la scarsità di questo elemento in natura.
Comunque anche con l’uranio si fabbricano bombe anche se il processo di arricchimento è difficile da tenere nascosto (vedi iran).
Leggevo che a cavallo tra gli anni 50 e 60 abbiamo avuto una vera e propria guerra nucleare. Infatti, sono state fatte esplodere in atmosfera più di 2000 bombe nucleari, alcune mostruose (100 megaton).
Vi risulta o la cosa è esagerata?
Bombe nucleari si possono fare con un sacco di elementi ed isotopi…. anche se dal punto di vista tecnico ed economico è sensato utilizzare solo uranio (U235) o plutonio (Pu239) almeno al 90%. Volendo si può utilizzare anche il plutonio che esce da un reattore civile ma costruire una bomba con questo plutonio diventa estremamente più difficile, costoso, pericoloso e la ‘resa’ dell’ordigno è meno certa.
Andando a memoria la bomba più potente l’hanno costruita i russi ed era intorno ai 50 Megaton… così potente da essere praticamente inservibile… comunque visto che i russi hanno sempre costruito missili balistici di scarsa precisione compensavano con testate estremamente potenti… fortuna che quei tempi sono finiti và…
Sì mi scuso io, nella fretta avevo letto 10^9 dove era 10^6…
La bomba “Zar”, fatta esplodere dai sovietici in un test il 30 ottobre 1961 sopra la Novaja Zemlja, aveva una potenza di circa 57 megatoni.
Il programma però prevedeva la possibilità di raggiungere i 100 megatoni.
Per altre curiosità rimando qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar
Ogni anno accettiamo che alcune migliaia di persone muoiano a causa della necessità di muoversi, sia per lavoro che per svago (solo in Italia, a livello mondiale sono due ordini di grandezza in più).
Ogni anno, in compenso, si producono auto più sicure, si fanno leggi più restrittive per migliorare la sicurezza e diminuire l’emissione di inquinanti. Va da sè che se ci fermassimo tutti, vietassimo la mobilità stradale, si salverebbero molte vite umane, ogni anno.
A che prezzo?
La vita prima o poi ti uccide, se non la si vive per paura si è già morti in partenza.
Dunque i rischi vanno calcolati e minimizzati, ma non possiamo pensare di di abolire i coltelli perchè ci potremmo tagliare un dito.
Il fatto che le scorie siano pericolose oggi, non significa che domani lo saranno ancora secondo la stessa prospettiva.
Perchè ogni anno che passa ci saranno nuove scoperte e nuove tecnologie in grado di limitare il rischio connesso all’uso delle fonti energetiche come di ogni altra cosa… (per esempio io ho il “sogno” che tra 10 anni le auto possano muoversi da sole)
Per questo ho fiducia nella tecnologia nucleare e ritengo che sia anche meno “nociva” rispetto ad altre fonti energetiche.
Per esempio, l’idroelettrico, rinnovabile per eccellenza, ha prodotto molti morti (sicuramente più del nucleare) per disastri connessi agli sbarramenti, o dighe che come impatto ambientale non scherzano affatto.
Saluti.
io non sono né ingegnere né fisico nucleare, ma con una banalissima laurea in Geologia, vi chiedo:
sono disposto a credere al 100% che qualunque nuova centrale sia sicura tanto da poterla avere a 50 metri da casa:
ok: le scorie (per quanto poche in termini quantitativi) in Italia dove le mettiamo?
e non tiratemi fuori le storielle di Scanzano e simili, i siti di stoccaggio non si decidono a tavolino guardando una carta geologica a scala 1:100.000 nemmeno aggiornata;
e non fatemi paragoni con la Finlandia, o Usa e Canada: geologicamente parlando, è come paragonare stracchino a pecorino stagionato…. 😉
Essendo ingegnere e non geologo, devo rimettermi a quest’ultima categoria: tocca a noi (ed ai fisici) indicare le necessità, ed ai geologi individuare i siti. Certamente sarebbe folle decidere un sito senza le dovute ricerche e perizie.
La questione in Italia è ancora aperta, ma andrà affrontata non solo nella prospettiva di nuove centrali: già ora, la Francia riprocessa le nostre scorie radioattive, ma non è disposta a stoccare quelle inutilizzabili, il che diventerà un nostro problema (per ora si sta cercando di individuare il sito dove costruire un deposito temporaneo, per poi poter lavorare a quello “definitivo”).
Personalmente, credo che la questione dell’intero ciclo delle scorie dovrebbe essere affrontata e risolta a livello europeo, ma le resistenze nazionali sono forti anche in questo campo (potremmo fare a meno del Regno Unito in questo caso, ma non della Francia).
@elmar. come al solito in questi blog gente senza nessun titolo
affronta argomenti decisamente troppo complessi per loro. si rassegni, qui come in altri siti analoghi non fanno altro che autocelebrarsi nella speranza di trovare qualcuno che approvi quel che dicono.=====
Lei che i titoli li ha, invece, si sforzi di dire qualcosa di sensato, ogni tanto.
L’Admin.
caro amministratore, è curioso come usate la censura qui da voi.
E’ chiaro che se ci fosse qualcosa di meritevole nei vostri articoli, troverebbero canali più adeguati ed istituzionali per diffondersi. Ma voi pensate ci sia un enorme complotto contro chi la pensa come voi….
un pò d’autocritica è chiedere troppo? L’inquisizione si rivolgeva contro scienziati e pensatori veri. Voi non sarete bruciati sul rogo sarete semplicemente ignorati.
Sono fisico nucleare. Ho collaborato allo sviluppo dell’energia nucleare (al “Kernforschungszentrum Karlsruhe”, Germania). Conosco molto bene i rischi. E sono contrario all’energia nucleare. Senza far parte di una qualsia direzione politica.
Potrei chiederle quale è, secondo lei, vista la sua preparazione professionale, il maggior rischio dell’energia atomica?
I rischi li conosciamo bene tutti, e nessuno li ha mai negati.
Gli articoli che però li riguardano sono:
http://www.climatemonitor.it/?p=10210
http://www.climatemonitor.it/?p=10222
http://www.climatemonitor.it/?p=10224
e su questi può fare rilievi puntuali ed argomentati, anche se sono più vecchi ed hanno dunque meno visibilità; non questo articolo, dove invece si parla dei tipi di reattori, e la discussione sulla sicurezza in generale è un po’ fuori tema.
Sarebbe in ogni caso interessante sapere in quale “settore” ha compiuto studi e ricerche (intendo: reattori commerciali, di ricerca, flussi neutronici, materiali e qualunque altra cosa), a quali rischi si riferisca (ma, se non sono riferiti al progetto di uno specifico reattore, tali dubbi andrebbero appunto manifestati in quei 3 articoli) e perché Lei sia contrario all’energia nucleare, pur se al momento e per i prossimi decenni essa rappresenta l’unica reale alternativa al petrolio ed al carbone (nessuno potrebbe negare i vantaggi di un’energia in grado di garantire il nostro fabbisogno energetico ma anche assolutamente sicura e pulita, se essa esistesse).
Ho lavorato all'”Institut fuer angewandte Kernphysik” nel “Kernfroeschungszentrum Karlsruhe”.Ho misurato le sezioni di fissione del Plutonio 239, del Plutonio 240; del Plutonio 241 con neutroni veloci fino a 1 MeV. Ho sviluppato una nuova tecnologia per misurare le fissioni del plutonio contro il “pile up” degli alfa emessi dal plutonio.
I dati servivano per la costruzione del reattore autofertilizzante veloce di Kalkar. I risultati sono stati pubblicati in “Nuclear Science and engineering”.
Ho comiciato ad avere paura del plutonio. Più tardi mi e venuta la paura anche degli altri transuranici tipo nettunio 237 e americio 241.
Negli elementi esauriti di nettunio 237 dopo un milione di anni ce n’è di più che dopo l’estrazione. Il nettunio è solvibile e va dappertutto.
Credo che solo un pazzo potrebbe non aver paura di simili elementi! Ed infatti si va sempre verso una maggiore sicurezza nel loro trattamento e stoccaggio, non il contrario. Inoltre, la quantità non è un fattore secondario: la pericolosità chimica e radiologica di un qualunque elemento è data anche dalla sua concentrazione; che, per tali elementi, è vero che è molto bassa per risultare pericolosa, ma è anche vero che si fa di tutto per renderla ancora molto più bassa, o per confinarla efficacemente (per questo i siti di stoccaggio vengono attrezzati a centinaia di metri di profondità, in appositi siti geologici, e non lasciati sulla superficie dentro piscine o magazzini).
Grazie per aver risposto alla mia domanda , posso chiederle anche quanto nettunio 237 produce un reattore di 3° generazione come quelli che probabilmente sorgeranno in Italia,visto che forse il suo post si riferiva a reattori del tutto particolari, dico forse perchè ahime non sono un fisico nucleare ma ho tanta voglia di capire….
La produzione di nettunio 237 negli reattori di terza generazione è grossolanamente uguale a quella dei reattori di seconda generazione. Forse un po’ di più, dato che il burn-up dei reattori di terza generazione è intorno a 60 – 70 GWd/To invece dei attuali 40 GWd/to.
Grossolanamente finora sono state prodotte circa 300 tonnellate di nettunio 237.
Il nettunio 237 è usabile per la produzione di bombe nucleari.
Sottoscrivo i commenti e i miei complimenti per l’articolo.
All’epoca anche il sottoscritto, fresco di laurea in ingegneria Elettrotecnica, rimase semplicemente stupefatto dalle scemenze che si leggevano sui giornali…senza possibilità di replica!
Adesso le cose sono diverse, ed e’ con sommo piacere sbertucciare, grazie ad Internet, i tanti presunti esperti del settore…che continuano a confondere kWh con kW.
Ancora una volta grazie per i complimenti immeritati!
E’ anche questo un grosso problema, e pure questo non limitato al campo nucleare: l’informazione scientifica in Italia (ma a volte anche nel resto del mondo) è spesso mal gestita; per alcuni divulgatori e giornalisti, più o meno famosi, ma meritevoli, si riscontrano tante inesattezze se non vere e proprie “bufale”, spesso smascherabili da chi abbia almeno una minima preparazione di base (e intendo liceale, anche classica, o di scuola tecnica).
Per puro caso oggi anche su NIA é stato pubblicato un interessante articolo riguardante le centrali nucleari.
Ottimi sia il Vs. che quello di NIA.
http://daltonsminima.wordpress.com/2010/06/25/perche-e-difficile-variare-l%E2%80%99energia-di-una-centrale%C2%A0nucleare/#comments
Ho letto l’articolo: il senso è più che corretto, la “modulazione” dell’energia di un reattore nucleare è una cosa teoricamente fattibile ma di assai difficile realizzazione, per cui le centrali nucleari sono particolarmente adatte a fornire quello “zoccolo” di consumi elettrici che deve essere costantemente garantito.
Mi lascia un po’ perplesso, però, il passaggio in cui dice che “Reattori veloci invece possono esplodere in maniera notevolmente efficace”, facendo poi l’esempio di alcuni reattori di ricerca: forse è frutto di una cattiva traduzione, ma questo non corrisponde ad una realtà fisica. Non basta infatti che ci sia “abbastanza materiale” per fare una bomba: deve essere anche nella giusta concentrazione. Un reattore come Superphenix, ad esempio, conteneva abbastanza plutonio 239 da impiantare non una bomba, ma un intero arsenale nucleare tattico (intendo proprio svariate tonnellate di Pu239): tuttavia, se l’arricchimento non supera il 90%, è fisicamente impossibile raggiungere l’esplosione atomica. Infatti, bisognerebbe separare il suddetto materiale fissile dal resto del materiale presente nel combustibile nucleare, per ottenere una simile concentrazione (il citato S. era arricchito “solo” al 15%).
[questo punto è comunque considerato nell’articolo, quando parlo dei reattori veloci]
P.S. intendo ovviamente che, se il reattore fosse arricchito >90%, allora ci troveremmo una bomba davanti, come infatti ho scritto nell’articolo (paragrafo sui reattori veloci); ma che, nei reattori finora costruiti, tali percentuali non si sono mai registrate.
Anzi, a quel che so, simili percentuali d’arricchimento sono ipotizzate solo in reattori nucleari molto compatti e di piccola potenza, per uso spaziale (cinicamente parlando, nel caso di esplosione sulla Terra non vi sarebbero né danni né ricadute radioattive).
Apprezzo l’articolo del dott. Turturici e condivido in pieno le considerazioni di Angelo (nel periodo in cui egli era studente di ingegneria io seguivo il dibattito da ingegnere fresco di laurea e ne condividevo lo sconcerto). Peccato che le ragioni della scienza siano sempre poco ascoltate dalla politica! Un mio professore universitario sosteneva che le cose, in Italia, andavano (e vanno) male perché quasi tutti i nostri parlamentari sono avvocati o, come diceva lui, “letterati”. A distanza di quasi trent’anni mi sa che, mio malgrado, devo dargli ragione. Il problema, però, non riguarda tanto la tipologia di laurea dei politici quanto la loro “preparazione” scientifica. E’ facile, per qualche scalmanato ben introdotto nel mondo dell’informazione, modificare di qualche punto percentuale l’indice di gradimento di questo o di quel politico e, si sa, i politici sono sempre molto sensibili agli esiti dei sondaggi. Purtroppo viviamo in un mondo in cui le scelte si fanno a furor di … televisione e questo manda a farsi benedire ogni forma di razionalità. Tutti gli spazi televisivi nelle ore di maggior ascolto sono occupati da reality, talk-show in cui si dibatte di carriere di magistrati, di intercettazioni telefoniche e di fatti di cronaca più o meno nera, partite di calcio (pardon, commenti delle partite di calcio), ecc. ecc.. I problemi energetici, compresi tutti gli annessi e connessi (GW, inquinamento ambientale, sottrazione di risorse e di terreni alla produzione agricola alimentare e via cantando) sono relegati in trasmissioni di nicchia in onda in orari impossibili o a volenterosi blogger. Io, all’epoca, fui uno dei pochi a votare no al referendum sul nucleare (e me ne vanto), ma oggi il dibattito su questo tema andrebbe riaperto altrimenti gli articoli come quello che stiamo commentando circoleranno tra pochi interessati senza riuscire a vincere i timori e le paure dell’opinione pubblica. Il nucleare, infatti, deve essere accettato dal popolo. Bisogna che la gente capisca quali sono i rischi reali, i costi ed i vantaggi relativi alla tecnologia specifica e possa scegliere con consapevolezza. In caso contrario quei famosi punti percentuali dei sondaggi impediranno ogni scelta.
Cordialmente, Donato Barone
Il problema della comunicazione è molto ben posto: in questo campo, stati come la Francia sono molto più avanti di noi; e, non solo nel nucleare, un giusto approccio a tale questione (informando il popolo in maniera semplice ma completa) risolverebbe molti altri problemi.
Molto bello questo post, Dott Turturici! Meriterebbe sicuramente qualche approfondimento.
Tanto di cappello!
Mi consola moltissimo il fatto che ci sia ancora qualche esperto di nucleare in questo paese dove “buttammo via il bambino con l’acqua sporca” a fine anni ’80.
Io ero studente di ingegneria elettrotecnica in quegli anni, insieme a qualche manciata di “nucleari” (mi sembra 30 iscritti a elettrotecnica e poco meno di una decina di nucleari), ricordo benissimo la “propaganda” di quel periodo e lo sconcerto, fra studenti e professori, conseguente alla decisione politica in seguito al referendum.
Probabilmente proprio in quegli anni ho iniziato a diffidare del mainstream mediatico.
Siamo forse l’unico paese in cui la politica è riuscita a fare danni incalcolabili ai cittadini senza che questi ne fossero coscienti, anzi ci avevano completamente convinti dei vantaggi di tale scelta (mentre io sinceramente ne ho sempre dubitato).
Se avete letto qualche giorno fa, la verde Svezia ha confermato la continuità del proprio programma nucleare, anche i tedeschi fecero il referendum, ma saggiamente la politica disse “intanto quello che c’è si sfrutta, di nuovi ora non ne faremo, poi ci penseremo!”
Dopo qualche anno in Italia si promulgo’ la legge 10/91, in gran parte inapplicata, che fece partire l’attenzione per il rinnovabile.
E gli ambientalisti dissero “ecco il futuro!”.
Poi arrivo’ il 387/2003, ancora in parte inapplicata, proclamata dalla politica come sistemazione definitiva del settore. Questo DLGS si è diluito nelle amministrazioni locali, annacquato nel decentramento amministrativo…
Ora gli stessi ambientalisti si oppongono a tutto, ad ogni forma di rinnovabile. Sì, sì lo so non tutti gli ambientalisti, ma in questo paese basta l’1% che sappiano urlare forte, fare un po’ di casino, gente che normalmente non ha nulla da fare, per mettere in difficoltà una politica debole.
Comunque, scusate lo sfogo e complimenti a Turturici! La prego di darci altri approfondimenti.
La ringrazio per gli immeritati complimenti; approfondimenti ne può trovare in articoli precedenti:
http://www.climatemonitor.it/?p=10210
http://www.climatemonitor.it/?p=10222
http://www.climatemonitor.it/?p=10224
http://www.climatemonitor.it/?p=10682
Sull’abbandono del nucleare, credo che molti non abbiano purtroppo avuto alcun sentore di cosa avrebbe significato: oltre alla completa perdita di migliaia di miliardi delle vecchie lire (ad es. la “riconversione” di Montalto di Castro ha voluto dire edificare ex novo una centrale termoelettrica, salvo i muri, buttando via una centrale termonucleare già pronta), si è perso un patrimonio di conoscenza e ricerca (perché senza la filiera industriale non si può fare un’adeguata ricerca) che potrà essere ricostituito solo in anni di pazienza ed investimenti (cosa che già inizia, ma che necessita della conferma di un serio programma nucleare).