Alcuni giorni fa è circolata (poco per la verità) una notizia circa una strana moria di pinguini in Sudafrica, causata, pare, da condizioni climatiche troppo rigide. Potrà sembrare strano ma non lo è, perché i pinguini sudafricani sono abituati a condizioni climatiche miti, per certi versi simili alle nostre, per cui anche loro possono patire il freddo.
Quello che invece i loro simili che popolano la Penisola Antartica proprio non reggono è il caldo. Già, perché da quelle parti dovrebbe fare piuttosto freddo, mentre si sa che mentre le temperature in Antartide sono stabili o addirittura scese negli ultimi decenni, la punta occidentale del continente si è invece scaldata, con conseguente abbondante di massa glaciale e pericolosa variazione dell’ecosistema ideale per gli animali che la popolano.
Qualcosa mi dice che questa sarà la nuova frontiera della catastrofe climatica, il nuovo flagello su cui si sposterà l’attenzione di quanti presagiscono l’imminente cataclisma, con la stagione calda dell’emisfero settentrionale che non collabora e con quella fredda che ricorderemo per le abbondanti nevicate. L’assalto è già iniziato, e come sempre si mandano avanti le truppe migliori. Esce su Science una nuova ricerca che affronta proprio il problema dei pinguini della Penisola Antartica e, siccome non ne so assolutamente nulla, semplicemente, mi fido.
Ma, un momento, sembra che le difficoltà siano sorte a causa di un riscaldamento dell’area in questione addirittura pari a 6°C e sembra anche che queste temperature tropicali siano state essenzialmente causate dal riscaldamento del mare che circonda la penisola. Un’enormità, addirittura cinque volte quanto è accaduto per le temperature medie superficiali globali. Possibile? No, si tratta della solita esagerazione che farà di questo articolo un ghiotto boccone per i media, come ci spiega bene Willis Eschenbach su WUWT, in un’analisi che vi riassumo.
La Penisola Antartica, essendo la parte più accessibile del continente, ha una buona copertura di stazioni di osservazione. Naturalmente però il termine accessibile deve essere preso con le pinze, perché comunque nella stagione invernale ci sono pochissimi insediamenti presidiati, sicché le trenta stazioni di osservazione disponibili, hanno una copertura molto disomogenea. Quasi nessuna serie copre l’intero cinquantennio cui fanno riferimento gli autori della ricerca, tutte hanno delle oscillazioni molto accentuate e molto sospette, molte hanno una distribuzione temporale così malmessa da impedirne l’inserimento in un dataset che possa chiarire la situazione.
Nonostante ciò, inevitabilmente, tutti i maggiori dataset di temperature globali hanno in qualche modo tentato di risolvere il problema, stiracchiando, interplando, trattando i dati in qualche modo pur di tirar fuori una copertura di quella zona. Un lavoro non facile e per nulla scontato nei risultati, visto che la tanto decantata “similarità” tra i dataset, che dovrebbe essere di conforto quando ci si interroga sulla consistenza reale del riscaldamento del pianeta, quando si arriva da quelle parti cessa platealmente di esistere. Però, per quanto si voglia prendere questo o quel dataset a riferimento, non c’è verso di tirar fuori un riscaldamento di 6°C. Il massimo che si può avere, dopo aver rilevato che ci sono differenze anche di 1°C tra un dataset e l’altro proprio nel periodo dell’anno in cui sarebbe massimo il riscaldamento, sono 4°C, stimati dal DB della East Anglia.
Ma pare che il riscaldamento arrivi dal mare, per cui si può provare a controllare cosa sia accaduto sull’acqua. Niente da fare, anche quando si includono le SST, la musica non cambia. Le differenze tra i dataset aumentano e il riscaldamento è comunque inferiore (circa del 50%) a quanto affermato nell’articolo.
Ma la parte interessante arriva quando si prende a riferimento un periodo più breve e si fa il confronto anche con le serie di temperatura provenienti dalle sonde satellitari, le quali, pur tra i mille problemi che hanno specie a quelle latitudini, di sicuro non soffrono dei problemi di trattamento dati cui sono soggette delle serie terrestri di fatto impossibili da trattare. E così viene fuori che vista dal satellite la temperatura della Penisola Antartica nel pur breve periodo di riferimento ha un trend assolutamente piatto, la differenza tra questo e gli altri dataset è ovviamente molto ampia e il mese che si è scaldato di più non è più agosto ma è maggio.
Sicché è ora chiaro che quella contenuta nell’articolo è un’esagerazione, e visto che su Science si pubblica dopo il processo di revisione paritaria, sarebbe interessante sapere se qualcuno è andato a controllare su quali basi fosse fondata. E’ anche chiaro che i dataset di temperatura non sono affatto omogenei, per cui se anche globalmente giungono a risultati simili, differenze così importanti in zone chiave come quella antartica fanno pensare molto più al caso che a una reale rappresentatività. Infine, sia per prendersi cura dei pinguini, sia per definire le politiche energetiche mondiali o sia per salvare il mondo dalla catastrofe climatica, sarebbe forse opportuno concentrare gli sforzi per costruire un sistema di osservazione e un dataset di temperature che chiarisca veramente qual’è lo stato termico del pianeta prima di fare proclami assurdi e prima ancora di fare qualsiasi altra cosa.
Le temperature di oggi in Antartide
da:
http://www.antarcticconnection.com/antarctic/stations/vostok.shtml
le più lontane dal polo
(su isole o nella penisola antartica)
fate caso alla latitudine:
Macquarie (54° 30′ S) non disponibile
Bellingshausen (62°12′ S) 0°C
Palmer ( 64°46′ S) 0°C
Rothera (67°34′ S) -2°C
sulla costa del continente antartico:
Casey (66°17′ S) -19°C
Davis (68°35′ S) -20°C
Dumont d’Urville (66°40’S) -15°C
Halley (75°36′ S) -20°C
Mawson (67°36′ S) -14°C
McMurdo () -24°C
Mirnyy () -21°C
Neumayer (70°39’S) -28°C
Sanae IV () -14°C
Scott (77° 51´ S) non disponibile
all’interno del continente antartico:
South Pole (90° S) -71°C
Vostok (78°27’51″S) -71°C
e da:
http://www.aad.gov.au/weather/aws/dome-a/index.html
Dome A (80°22′ S) -71.4°C
Quello che intendevo far notare è che il clima del continente antartico è, secondo me, una cosa, quello della penisola antartica occidentale è un altro.
Il continente è, per esempio, di forma compatta, mentre la penisola è stretta ed allungata tra gli oceani pacifico e atlantico, e a latitudini più “calde”.
ps
per completezza ecco i dati della stazione italo-francese di Concordia (75° 06′ S)
da:
http://www.concordiabase.eu/component/content/article/12-contenuti-statici/1-benvenuto-a-concordia.html
Temperatura media dell’aria: -50.8 °C
Temperatura minima -84.4 °C
Temperatura media mensile dell’aria in estate: -30 °C
Temperatura media mensile dell’aria in inverno: -60 °C
Concordo circa l’estrema peculiarità della Penisola antartica rispetto al resto del continente.
Ciò nonostante ho scorso or ora la serie storica 1944-2008 (fonte: NERC) delle temperature medie annue di Bellinghauser, stazione posta sulla Penisola Antartica, ed ho potuto verificare che la serie è sostanzialmente stazionaria. Ad esempio la media 1957-2008 è di -2.5°C mentre la media 2001-2008 è di – 2.0°C.
Inoltre se si va a vedere il “massiccio scioglimento” dei ghiacci nell’area della Penisola Antartica da più parti sbandierato (si veda in proposito Pritchard, H.D., Arthern, R.J., Vaghan, D.G., and Edwards, L.A. (2009, September 23). Extensive dynamic thinning on the margins of the Greenland and Antarctic ice sheets. Nature, doi.10.1038/nature08471) si scopre che i dati disponibili ci rendono una visione molto poco univoca, con aree in cui il ghiaccio si ispessisce alternate ad aree in cui lo stesso si riduce.
In altri termini la realtà pare ahimè non piegarsi con facilità agli slogan, il che mi pare un bene per la tranquillità degli amici pinguini, che per inciso sono molto ma molto più simpatici di quei mascelloni degli orsi polari.
Luigi Mariani