Li chiamano profughi climatici, sono stimati a milioni, sono quelli che a causa del riscaldamento globale saranno obbligati a lasciare le proprie case e i propri luoghi di nascita per trovare scampo da una Natura sempre più ostile, resa folle dalla nostra vita folle. Oggi? No, domani o dopodomani? Nemmeno. Tra cento anni, forse. Almeno così dicono le previsioni a tinte fosche di color che tutto sanno, per cui sotto a spendere fantastiliardi per evitare che accada, poco importa se queste previsioni sono inverificabili e poggiano su basi lacunose. Nel dubbio bisogna agire, dicono sempre loro.
E nella certezza? Beh, nella certezza è diverso. Alcuni problemi il mondo li ha sempre avuti, che so, un po’ di fame (tanta in verità), un po’ di sete (ancora di più), ma soprattutto malattie endemiche. Ma, sapete, su queste cose è difficile mettersi daccordo, ci sono altre priorità, ci sono gli equilibri economici e diplomatici da mantenere, non è così facile.
Ma neanche se questi problemi rischiano di essere accentuati dallo spauracchio del riscaldamento globale? No, neanche per quello, prima di tutto perché probabilmente non è vero, e poi perché ci sono prima da salvare gli orsi polari. Del milione e duecentomila morti all’anno per malaria ci occuperemo subit dopo aver assicurato la salvezza dei simpatici plantigradi. Promesso.
Leggete qui, dal Corriere della Sera di ieri e qui, da Climatemonitor nel settembre scorso.
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