Salta al contenuto

Genoma, pinguini e caldo che verrà

I giorni 24 e 25 maggio si è tenuto al CNR di Napoli un workshop intitolato ” Polar Marine and Lacustrine Organisms: gene and Protein Evolution in a Changing Environment “.

Sono intervenuti ricercatori e scienziati da tutto il mondo, gli inglesi Andrew Clarke, Melody Clark, Lloyd Peck, M. Berenbrink, Katrin Linse, Robert Poole e David Pearce, gli americani Christina Cheng e Arthur DeVries, dalla Germania Hans-O Poertner, gli italiani Eva Pisano, Cinzia Verde, Bruno Tota, Umberto Oreste e Daniela Giordano, l’argentino Dario Estrin, dalla Norvegia Ovind Andersen, il neozelandese Craig Marshall, la “brasiliana” Gannabathula Vani, dal Cile Elie Poulin, e il russo Sergey Bulat.

Il workshop era presentato sotto il titolo di Evoluzione & Biodiversità “Napoli dà una mano ai pinguini” sottotitolo “Gli effetti del riscaldamento al Polo: scienziati a confronto il 24 e 25 maggio”.

Su “Il Denaro” c’era un articolo di presentazione del workshop a firma di Cinzia Verde e Guido di Prisco in cui, tra le altre cose si diceva che il riscaldamento è più forte in Artico, ma che non ne è immune l’Antartide, “continente che determina il clima del pianeta”, e si osservava che la parte ovest della Penisola Antartica avrebbe uno degli aumenti di temperatura più rapidi del mondo (tacendo però di cosa stia succedendo nel resto del continente). L’articolo prosegue affermando che un piccolo aumento della temperatura potrebbe avere conseguenze sulla fisiologia, e che gli organismi marini ne sarebbero vulnerabili, perché poco tolleranti.
Per capire dunque l’evoluzione di questo organismi gli autori ritengono necessaria la conoscenza del genoma, dei meccanismi di espressione genica e della struttura e funzione delle proteine. In pratica si vuole ottenere informazioni utili a prevedere l’impatto del riscaldamento globale a latitudini vicine alle nostre, attraverso la conoscenza delle reazioni al riscaldamento globale di specie polari adattate a condizioni estreme.
Nell’articolo si lamenta anche l’esistenza di “sacche di resistenza”, che deriverebbero, a detta degli autori, da interessi commerciali, ma si afferma che comunque l’opinione pubblica starebbe acquisendo consapevolezza del contributo umano al riscaldamento globale. I cambiamenti climatici, secondo gli autori, sarebbero prevalentemente prodotti o velocizzati dalle attività umane, e ai poli ci sarebbe evidenza scientifica di “amplificazione” dell’impatto umano, rischiando di portare, in un futuro prossimo, le specie ad un “grande evento di estinzione”.
Quanto prossimo ? L’articolo parla di 50 anni, citando l’esempio della prossima estinzione (secondo gli autori) del [solito] orso bianco.
Con tali premesse, avrei voluto seguire il workshop, ma le mie condizioni di salute erano, al momento, proibitive, e ripetuti attacchi convulsivi di tosse mi hanno costretto ad allontanarmi dalla sala (per non disturbare l’ascolto altrui) ogni volta che ho tentato di seguire gli interventi. Così ho chiesto se era possibile avere almeno del materiale, ma mi è stato detto che tutto il materiale era sul computer, e che, appena finiti gli interventi, veniva rigorosamente distrutto la sera stessa. Evidentemente si trattava di prezioso work in progress.
Peccato, non mi è rimasto che fare quattro chiacchere mentre li ho accomapgnati all’albergo, e ho tentato di parlare in portoghese con la Vani, che però mi ha detto che non parla quella lingua. Avrei voluto far notare ai miei amici scienziati e ricercatori che gli orsi nel 1950 erano 5 mila ed ora sono stimati tra i 20 e i 25 mila, e quindi non mi pare affatto che si stiano estinguendo, ma non ho voluto far polemica.
Che dire ? Giusto studiare, in assoluto, le reazioni degli organismi alle variazioni ambientali, per carità, anche se avrei qualche riserva sull’impostazione catastrofista, visto che l’orso si è adattato a tutte le temperature, dal polo alle foreste tropicali, e così ha fatto l’uomo. Certamente, il corpo umano non è insensibile al clima, e come no ? Non ci abbronzeremmo, tanto per dirne una, se non fosse così, ma, io non ne farei una tragedia.
Però, che si studi, va sempre bene, purché poi si rispetti il verdetto del campo, come mi auguro faranno questi valenti ricercatori, e non ho dubbi che sarà così.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inIn breve

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »