Ho letto questo articolo dell’amico Franco Foresta Martin di Paolo Virtuani, giornalista scientifico del Corriere della Sera, e devo dire che sono rimasto alquanto perplesso. Il discorso parte da un nuovo studio pubblicato su Science qualche giorno fa, che avrebbe trovato delle evidenze di un “gigantesco” rilascio di anidride carbonica dalle profondità oceaniche alla superficie e quindi alla libera atmosfera, al termine dell’ultima glaciazione. Tale rilascio, nelle considerazioni contenute nell’articolo del Corriere, sarebbe stato la causa della fine dell’ultima glaciazione, generando il riscaldamento necessario alla transizione.
Ebbene, se c’è una cosa che è assodata e non è mai stata oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori, è l’esistenza di un lag temporale di alcune centinaia d’anni tra le variazioni di temperatura e la concentrazione di CO2 in atmosfera in favore delle temperature, cioè l’aumento/contrazione della concentrazione di CO2, è sempre arrivato prima e non dopo l’aumento/diminuzione delle temperature. Del resto, leggendo l’abstract dell’articolo di cui parla Foresta Martin Virtuani, si capisce che ci sarebbe stato un immagazzinamento della CO2 nelle profondità oceaniche durante la glaciazione ed un successivo rilascio nella primissima fase di riscaldamento. Se non è stato sovvertito quanto sin qui scritto in centinaia di articoli scientifici, non credo si possa asserire che questa “digestione” di anidride carbonica operata dagli oceani possa essere considerata la causa scatenante del riscaldamento.
Nel pezzo leggiamo anche il paragone tra la quantità di CO2 rilasciata all’epoca e quella immessa in atmosfera dalle attività umane, quantità simili che darebbero origine ad una certa preoccupazione. Manca un pezzo, manca la precisazione che la scala di incremento della capacità dell’anidride carbonica di trattenere la radiazione infrarossa è logaritmica, cioè per basse concentrazioni di CO2, quali quelle dei periodi glaciali, l’amplificazione dell’effetto sera per aumento della concentrazione è molto superiore a quello prodotto da un pari aumento di concentrazione che avvenga con quantità già consistenti di questo gas in atmosfera. Il paragone quindi non si può fare, a meno di non quantificare questo riscaldamento, ma questo vorrebbe dire aver trovato la chiave dell’intero problema del riscaldamento globale, cioè aver capito quanto in effetti possa essere sensibile il sistema alle variazioni dei gas ad effetto serra, una sensibilità che non è affatto direttamente proporzionale a queste variazioni -come spesso si scrive erroneamente – ma è legata alle reazioni e controreazioni del sistema stesso, cioè a dinamiche in larga misura non quantificabili con l’attuale livello di comprensione scientifica.
Segue poi un’altra forse più importante ragione di perplessità. Un altro studio citato, quello di Trenberth et al, circa la “scomparsa” del contenuto di calore degli oceani. Dal lavoro di Trenberth, di cui abbiamo parlato qui, viene estratta una curiosa affermazione/preoccupazione: fa meno caldo di quanto dovrebbe. Tralasciando il non trascurabile problema che il caldo che fa, sia poco o tanto è la realtà, mentre quello che secondo loro dovrebbe fare è frutto delle loro simulazioni, che sono comunque nel novero dell’immaginazione e cioè sono fino a prova contraria parecchi gradini sotto al mondo reale, si sottolinea anche come si debba essere preoccupati che il calore scomparso possa essere in agguato nelle profondità oceaniche, pronto a cuocere il mondo quando dovesse saltargli il ghiribizzo di tornar fuori. Ebbene, lì sotto nessuno lo ha mai misurato, quella di Trenberth e del suo collega cofirmatario (che si chiama Joe Fasullo…..vabbè lasciamo perdere) è una pura e semplice speculazione. Quello che invece è stato misurato è il contenuto di calore degli oceani nelle prime centinaia di metri di profondità, e, guarda caso, in quello strato il calore è diminuito, non aumentato. Qualcuno mi può spiegare come potrebbe essere sceso in profondità del calore proveniente dalla superficie senza passare per quello che c’è in mezzo?
E poi, per corroborare la tesi del presunto agguato calorifico di cui sopra, c’è il collegamento ad un’altra ricerca fatta da due spagnoli nel Mediterraneo occidentale. I risultati del loro lavoro? La temperatura delle acque di profondità del mare nostrum è aumentata tra il 1943 e il 2000 di ben due millesimi di grado all’anno, totale, 134 millesimi di grado. Ne siamo certi. Sulla calcolatrice del mio sistema operativo, posso arrivare anche a decine di numeri dopo la virgola, peccato che non esistano termometri che possano arrivare a questa precisione di misura, né per l’acqua delle profondità oceaniche, né per l’aria. Siamo ancora nel campo dell’immaginazione, un foglio che possiamo colorare come ci pare, ma che continua ad essere (per fortuna!) ben lontano dalla realtà.
Apro una piccola parentesi, trovo sconfortante che un “giornalista scientifico” sembri sostenere una tesi per cui “meno anidride carbonica nell’acqua c’è, più l’acqua è acida”. (vedi sottotitolo e vari passaggi oscuri nell’articolo)
Disciogliendo CO2 in acqua la si acidifica, non togliendola!!!
o ho inteso male?
Mattia
In effetti quello che Trenberth sottolinea in quell’articolo (e nella sua versione estesa dell’agosto 2009, ben prima del famigerato CRU-hack) è la variazione del rateo di riscaldamento degli oceani. E’ questo ad essere diminuito, no il calore. Quello continua ad aumentare. Se si fosse letto l’articolo si sarebbe visto che T. dice che quantità piccole come il valore assoluto dello sbilancio radiativo al top dell’atmosfera non lo si riesce a misurare (stimato in grossomodo 0.9 W/m2), ma variazioni nel bilancio in-out si. Tuttavia vedo che, in contraddizione con l’apprezzamento per l’articolo di Panebianco, si fa ancora fatica ad apprezzare uno scienziato che si dice dubbioso e affronta apertamente i problemi che frontaggia (e non per “spiegarsi” dopo la raccolta delle ciliegie).
I 2 millesimi di grado l’anno del mediterraneo sono un trend, omogeneo e robusto….puo’ fare anche ridere, ma rappresenta una frazione importante (sui 0.3+-0.2W/m2) dello sbilancio che si associa alla forzante umana. Pur nell’incertezza della misura, tuttavia torna col computo aspettato anche a livello oceanico. Da fastidio che ci siano cose che tornano nel discorso? O che qualcuno stia rubando soldi per fare misure inutili?
P.S. Credo che l’articolo non sia di F.Foresta Martin, pur nella sua rubrica….
Alessio, grazie per la correzione, ho stupidamente associato il nome di Foresta Martin all’articolo perché nella stessa pagina compare il link al suo blog sul Corriere. Non mi è molto chiara la tua precisazione sulla faccenda della rubrica, Franco è un amico, e benché si abbiano opinioni spesso difformi si riesce a confrontarle sempre serenamente. Qualora ne avessi la possibilità puoi chiedere a lui.
Ti ringrazio anche per la segnalazione del lavoro esteso di Trenberth, però in quello uscito dopo il CRUhack, parla espressamente di calore, parametro che NON continua ad aumentare, e i dati ARGO lo mettono bene in evidenza. Mi sarebbe piaciuto che questi “apprezzabili” dubbi uscissero prima della pubblicazione della famosa e inutile mail. Dico inutile perché ormai è assodato che i nostri chiacchieravano amabilmente tra loro dell’ultima partita di calcetto che avevano fatto e non della loro materia di applicazione, per cui avremmo fatto bene a non leggerle affatto quelle comunicazioni.
Circa la robustezza del rateo, quando qualcuno ci farà vedere un termometro in grado di arrivare a quella precisione “al di là dell’incertezza nella misura” potremo prendere questi dati in considerazione. Non credo che nessuno abbia rubato soldi, ma che se ne siano usati molti male sì.
Forse non ti è chiaro un concetto: personalmente non c’è nulla che mi dia fastidio, ma pretendere di far tornare i propri conti con misurazioni al millesimo di grado notoriamente impossibili è una presa in giro, e rientra perfettamente nel discorso fatto da Panebianco.
gg
Ah non ho nulla con la rubrica di F.F.Maritn: dicevo solo che probabilmente il nome era stato erroneamente associato all’articolo.
Nell’articolo di Science il grafico fa chiaramente riferimento al rateo di riscaldamento confrontato con il rateo di variazione del bilancio radiativo al top dell’atmosfera. Il grafico mostra che l’oceano si sta ancora scaldando, ma, cosa interessante, ad un rateo inferiore.
Non nascondo che la perplessità che ha colpito Trenberth non mi lascia inerte, ma trovo interessante la sfida a cercare di capire che non conosciamo ancora (o che ci sia di sbagliato, se qualcosa c’è, nel post processing dei dati satellitari. Ho lavorato un po’ tra satelliti e cloud remote sensing e non mi sorprenderebbe che ci siano problemi non ancora a galla). Ci sono studi che arrivano fino a 2000m di profondità (http://www.agu.org/pubs/crossref/2009/2008JC005237.shtml) ma ancora col bilancio non ci siamo…interessante. Tra l’altro, nella chiusa dell’articolo Trenberth spara contro i progetti di geo-engineering (a ragionr a mio parere) data la nosta incertezza sul fondamentale problema del bilancio radiativo globale.
Pensare di misurare un trend mi suona un po’ strana….neanche un trend di 0.74 ± 0.18 K/100yr lo si puo’ misurare con un termometro (7.4 millesimi di grado all’anno)..pure, spero sia assodato questo sia il rateo di crescita delle temperature globali nel 20imo secolo (qualunque ne sia la causa e qualunque significato vogliamo associare al concetto di temperatura media globale).
Essendo questi due parametri, quantità di gas disciolto e temperatura, strettamenti correlati (legge di Henry), come può cambiare “prima” uno e “poi” l’altro????
Non dovrebbero cambiare più o meno contemporaneamente??
Tutt’al più si deve capire qual’è la causa che influenza direttamente l’uno o l’altro fattore, che una volta sbilanciato, sposta l’equilibrio, per esempio le influenze sulla temperatura dei cilci solari.
Lucas non funziona così. Il lag temporale tra le temperature e la concentrazione di CO2 si spiega con il rilascio di CO2 conseguente al disgelo e con la diminuita capacità di assorbimento sempre della CO2 da parte degli oceani all’aumentare della temperatura di superficie, per cui è chiaro che le due cose non possono essere contemporanee. Con riferimento poi al termine ed all’inizio delle fasi glaciali, mentre grazie al Milankovitch analogue sappiamo che i fattori di forcing sono soprattutto astronomici, non si sa quali possano essere i fattori di triggering, ovvero quelli che innescano il processo in presenza di condizioni favorevoli alla transizione. Può essere un minimo solare prolungato, possono essere eventi stocastici particolarmente intensi (asteroidi, vulcani, terremoti, alterazioni delle correnti marine etc etc), ma siamo ancora comunque nel campo della speculazione. In qualche modo, c’entra di sicuro anche l’effetto serra, ma la relazione diretta tra temperature a concentrazione di gas serra da sola non basta a giustificare cambiamenti così epocali. Ci vogliono i feedback, cioè quei meccanismi che possono amplificare o mitigare la minima porzione di riscaldamento iniziale, e anche su quelli si sa pochino.
gg