La storia, come tutte le storie che riguardano la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili comincia così:
la […] richiede all’Ufficio Amministrativo Pubblicazione Albo Pretorio del Comune di Acquapendente (Viterbo) di pubblicare un avviso pubblico per un’istanza di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale di un impianto fotovoltaico da realizzarsi in […]
Ma vi rendete conto di come si è complicato la vita il paese di Dante? Ma che accidenti significa? Forse nessuno lo sa, tant’è che, almeno nel caso di cui stiamo per parlare, nessuno si è fatto vivo entro la decorrenza dei termini di pubblicazione. E così, tra sindaci che prima danno il loro benestare e poi lo ritraggono, altri sindaci che lanciano strali e promettono battaglia, scopriamo un caso di ordinaria realizzazione di un impianto fotovoltaico in Italia.
Dove? Acquapendente in provincia di Viterbo, amena località di turismo naturalistico, per sostenere il quale (neanche e dirlo) pare siano anche stati erogati degli incentivi. Da un lato la riserva naturale del monte Rufeno, dall’altro il Parco della Val d’Orcia patrimonio dell’Umanità protetto dall’Unesco. In mezzo il progetto di un parco FV da 5km di lato. Non piace ma fa gola, suscita l’ira dei cittadini ma anche le mire degli investitori e racchiude praticamente tutte le contraddizioni, le virtù e i difetti che questo genere di infrastrutture vantano e palesano.
Dal fumoso iter autorizzativo, sul quale le autorità territoriali dicono di avere pochissimo potere perché queste opere sono considerate di necessità ed urgenza, alle allettanti opportunità di profitto, con la resa per ettaro che dai 500 Euro dell’agricoltura sale oltre i 3.000 Euro (grazie soprattutto agli incentivi), alle opportunità di impiego, con 10Mgw ovvero 20 ettari che possono dar lavoro a 18 persone (ciò significa che in quel parco potrebbero lavorare 2250 persone? Mi pare un po’ di parte come stima), alle politiche incentivanti che distorcono il mercato, alla sindrome nimby degli abitanti, alla corsa al rinnovabile a tutti i costi, alla possibilità di realizzare imponenti infrastrutture su terreni dove i legittimi proprietari non sono autorizzati a spostare neanche un sasso. In questo singolo caso, ben riassunto da questo articolo sul Corriere della Sera c’è praticamente tutto. Da leggere, e tenere a mente.
Caro Guido,
La situazione che tu descrivi, presa dalla cronaca, è quella più diffusa in italia.
Si applicano leggi, imposte da direttive europee, con l’intento di creare un iter autorizzativo “certo e rapido” per evitare inutili spese da parte di operatori del settore energia, come pure altri operatori dell’industria in genere (es.: l’estensione di un impianto di depurazione per una fabbrica manifatturiera).
Purtroppo l’unica cosa di cui hai la certezza è che l’atto di autorizzazione ti costerà un sacco di soldi, e, una volta ottenuto, non hai la certezza di poter eseguire i lavori perché un comitato del NO (che non è intervenuto nei tempi previsti, ma dopo) o un sindaco che ci ripensa perché questa autorizzazione gli costerà la poltrona alle prossime elezioni, faranno sì che di quel pacco di fogli di carta che costituisce l’atto amministrativo, che da’ titolo e diritto ad eseguire i lavori, tu non possa che farne “un uso improprio” (non so se ci siamo capiti!).
Gli ingenui diranno “c’è sempre il ricorso al TAR!”, giusto! ma dopo 5 o 6 anni e magari nel frattempo sono cambiate le leggi. Un altro potrebbe dire “chiedete i danni!”, giustissimo! Un tribunale medio ci mette dai 10 ai 15 anni a trattare una causa civile.
Il nostro è sicuramente un paese meraviglioso, ma gli investitori stranieri, a fronte di queste situazioni, incertezza degli iter autorizzativi, complessità della nostra macchina amministrativa ci assegnano un COUNTRY RISK elevato. Ci hanno dato un country risk come la Nigeria e il Darfur! Sinceramente io un po’ di vergogna la provo…
‘O Sole mio…aggiungo “Nani e Ballerine”. E’ tutto un teatrino!