Il titolo di questo breve post può essere letto in due modi. Il primo è facilmente riferibile al fatto che le fonti rinnovabili che vanno per la maggiore, solare ed eolico, hanno un rendimento molto variabile in funzioni delle condizioni atmosferiche. Un anno piovoso è infatti deleterio per la produzione di energia solare, mentre un altro anno ventoso è certamente favorevole all’eolico. Qualcosa mi dice che in futuro dovremo imparare più che mai a fare i conti con le bizze del tempo.
Il secondo è invece meno intuibile ma molto più attuale. Sono infatti incappato in una serie di articoli che sollevano il problema della rapida variazione di destinazione d’uso che sta subendo il territorio per effetto della corsa alla realizzazione di impianti per la produzione di energia, sia solare che eolica.
E così, se da un lato ci sono grandi gruppi industriali che stringono sodalizi un tempo impensabili al fine di accaparrarsi l’uso di infrastrutture ormai improduttive, dall’altra pianori e colline, una volta destinati alla coltivazione, si preparano ad accogliere file di pannelli solari e schiere di torri eoliche.
Già, perché sembra che la terra malgrado tutto continui ad essere bassa, e quindi faticosa e difficile da coltivare, mentre i profitti che questo genere di impianti possono garantire sono decisamente alti, naturalmente grazie ai generosi incentivi concessi al settore. Il tutto con una legislazione all’acqua di rose, che considera queste installazioni di pubblica utilità e assicura loro la precedenza, senza distinzioni di merito tra un impianto installato con funzione di servitù per le attività agricole, o uno realizzato al posto delle stesse. Del resto, 500 Euro l’anno di rendita per ettaro, sono decisamente peggio dei 5.000 che si possono ottenere affittando lo stesso ettaro ad un imprenditore che voglia realizzare un parco solare o eolico.
Certo, l’energia serve, ma serve anche il territorio. Ma tutto questo non lo facevamo per l’ambiente?
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