Fortunatamente le tecnologie odierne ci consentono di porre rimedio ai forzati silenzi, dovuti agli impegni di lavoro. E così in questi giorni, se non altro, sono rimasto in contatto con molti lettori di CM via email o direttamente su Facebook (amore-odio). Nelle ultime settimane mi è stata posta più volte la medesima domanda, sull’efficacia delle tasse ambientali.
Ovviamente la gamma dell’approfondimento richiesto è molto varia: si va dal lettore attento, al tesista di economia ambientale. Come al solito, lo sforzo principale sarà scrivere in modo interessante e leggibile per tutti. Innanzitutto parliamo di tasse ambientali, argomento in ogni caso molto discusso e ormai molto studiato anche in Economia. Sicuramente è molto conosciuto.
Se la teoria è ormai consolidata, ci si chiede, allora, se vi siano dei riscontri sull’efficacia di queste tasse. Ovvero, più semplicemente: funzionano? Qualche centinaio di articoli fa, qui su CM abbiamo diffusamente parlato della teoria economica che risiede dietro i concetti di Carbon Tax e di Emission Trading.
Sull’efficacia, tuttavia, cosa possiamo dire? Seguendo le parole del Prof. Kalle Määttä1 , 2 :
[…] in a large number of cases there is no empirical evidence about the environmental effectiveness and other properties of the taxes […]
Ovvero, in molti casi non vi è alcuna evidenza empirica dell’efficacia delle tasse ambientali. In realtà disponiamo solo di alcune stime grezze, e negli ultimi anni gli studi in tal senso stanno aumentando: sicuramente è un campo che, vista la centralità della sua importanza, merita di essere ulteriormente approfondito. Per verificare l’efficacia di una tassa bisogna seguirne gli effetti nel tempo (follow-up) in modo sistematico e questo, per le tasse ambientali, non è avvenuto. Abbiamo solo valutazioni sommarie, ma non sistematiche. Vi è poi un fattore, estremamente attuale, che rende ancora più difficile tali considerazioni: l’andamento generale dell’economia. In presenza di fluttuazioni del sistema economico è infatti molto complessa l’operazione di individuazione ed estrapolazione degli effetti delle singole tasse ambientali. Lo stesso prof. Määttä affronta tale argomento dal punto di vista teorico, per quanto articolato.
Perchè le tasse, o un apparato di tassazione in ambito ambientale siano così importanti è chiaro: al crescere delle preoccupazioni circa il riscaldamento globale antropico, cresce anche la necessità di trovare strumenti per contrastarlo. Qui ovviamente parliamo di strumenti economici e politici. Una tassazione ambientale ci aiuta a ridurre l’inquinamento? E ancora, risulta in qualche modo efficace nel modificare le abitudini di consumo dell’energia a nostra disposizione?
Un recente studio condotto dal Prof. Morley, presso l’Università di Bath tenta di dare una risposta, questa volta utilizzando un approccio empirico e, in questo modo, differenziandosi dall’approccio di Määttä.
In generale, la maggior parte degli studi condotti è concorde sugli effetti benefici che una tassa ambientale possa esercitare sull’ambiente, si veda ad esempio Baranzini3 .
Esiste un legame tra il Prodotto Interno Lordo (PIL) e il livello di inquinamento? Questo aspetto è molto importante ed è altrettanto discusso. Da un punto di vista meramente empirico sembrerebbe esistere una relazione lineare che leghi questi due fattori. In altre parole, al crescere del PIL pro capite assistiamo ad una riduzione dell’inquinamento. Non per tutte le forme di inquinamento però questa osservazione è vera, la cosiddetta curva di Kuznet4 è stata osservata, per esempio, per l’anidride solforosa, gli ossidi di azoto e il particolato. Non così per altri fattori inquinanti. Possiamo quindi affermare che la curva di Kuznet non sia una legge universale, ma sicuramente trova un concreto riscontro nella realtà (nasce da una osservazione empirica). Vale la pena sottolineare che molti fenomeni sono legati da una relazione con andamento monotono, piuttosto che parabolico.
Ad ogni modo, lo studio del Prof. Morley mira a costruire un modello che riesca a tenere conto delle tasse, del livello di inquinamento (nel senso espresso sopra) e del consumo di energia. In sintesi ecco il modello riassunto nella seguente equazione5 :
[pmath size=16]pcpoll_it = alpha_0 + alpha_1 pcy_it + alpha_2 {pcy_it}^2 + alpha_3 pck_it + alpha_4 tax_it + u_it[/pmath]
Dove:
pcpoll = inquinamento pro capite
pcy = è il PIL reale pro capite
pck = è la formazione del capitale, pro capite
tax = l’insieme delle tasse ambientali
Senza soffermarci troppo sull’aspetto matematico, possiamo sintetizzare in poche parole, dicendo che le tasse ambientali hanno sicuramente un effetto negativo sull’inquinamento totale pro capite.
Utilizzando un approccio dinamico, la possiamo risolvere nella seguente forma:
[pmath size=16]pcpoll_it – pcpoll_{it-1} = lambda (pcpoll_it * pcpoll_{it-1})[/pmath]
Va detto, altresì, che tale effetto negativo (di riduzione quindi), è seriamente inficiato da eventuali deroghe concesse ad alcuni settori industriali (ad elevato consumo di energia e con elevati tassi inquinanti). Questa situazione è tutto fuorchè remota, si pensi a quanti sussidi vengano distribuiti (anche in seno ad un sistema di emission trading). Se andiamo indietro con la memoria, possiamo ricordarci del grande dibattito intorno proprio alla distribuzione “gratuita” di titoli di emissione all’industria americana, in previsione del nascente mercato delle emissioni. In Europa invece è già realtà.
Questa serie di deroghe, dal punto di vista economico, non fa altro che andare a ripartire le tasse ambientali o i costi di transazione sui prodotti/beni a basso consumo energetico e basso inquinamento.
L’equazione presentata sopra è molto efficace, in quanto è possibile risolverla a partire da livelli prefissati di inquinamento, ovvero pcpoll (per esempio inserendo livelli indicati dal protocollo di Kyoto & similia).
I risultati di questo studio, ottenuto inserendo i dati reali all’interno del modello, sono estremamente interessanti. Il primo punto fermo è che una tassa ambientale porta ad una riduzione dell’inquinamento, ma non ad una riduzione dell’utilizzo di energia. Questo significa che il minor inquinamento è ottenuto tramite nuove tecnologie meno inquinanti e non per via di una riduzione nell’utilizzo di petrolio e derivati. Tutto ciò è assolutamente logico e in perfetto accordo con quanto detto prima circa le deroghe concesse ad alcuni settori della produzione industriali. Tali deroghe e concessioni, a conti fatti, non fanno altro che ridurre considerevolmente l’efficacia delle tasse ambientali.
E’ comunque da tenere in considerazione la necessità di erogare tali sussidi, in quanto la stessa struttura manifatturiera potrebbe decidere di muoversi verso paesi con legislazione ambientale meno stringente, ottenendo un doppio effetto negativo: da un lato la perdita di capitale e di lavoro, dall’altro un aumento complessivo dell’inquinamento. A fronte di questo duplice rischio, si accettano, e anzi si rendono necessari, i sussidi all’industria più inquinante.
Tutti i modelli utilizzati nello studio portano allo stesso risultato: le tasse ambientali hanno risultati efficaci solo sulla riduzione dell’inquinamento ma non sull’utilizzo dell’energia e in particolare degli idrocarburi.
- http://www.joensuu.fi/oikeustieteet/henkilokunta/maattak.html [↩]
- http://www.amazon.com/Environmental-Taxes-Introductory-Kalle-Maatta/dp/1843766698 [↩]
- Dall’abstract: Carbon taxes have been frequently advocated as a cost-effective instrument for reducing emissions. However, in the practice of environmental policies, only six countries have implemented taxes based on the carbon content of the energy products. In this paper, we evaluate carbon taxes with regard to their competitiveness, distributional and environmental impacts. The evidence shows that carbon taxes may be an interesting policy option and that their main negative impacts may be compensated through the design of the tax and the use of the generated fiscal revenues. Baranzini, A., Goldemberg, J., Speck S., 2000, “A future for carbon taxes’ Ecological Economics” [↩]
- Si legga ad esempio: http://tierneylab.blogs.nytimes.com/2009/04/22/happy-earth-day/ [↩]
- Environmental Taxes and Economic Growth: Evidence from Panel Causality Tests; Eq. 1, Pag. 6 [↩]
Grazie per le tante informazioni, per me che sono uno sperimentale si potrebbero analizzare come esempio due casi: l’effetto della tassa ambientale sulle buste di plastica che scandalosamente ancora sono in commercio (e noi paghiamo), le tasse quasi del 70% sui carburanti.
Quali benefici hanno prodotto all’ambiente oltre agli introiti per lo Stato?
Esempio buste di plastica: in Italia se ne producono 10-15 miliardi l’anno, i problema sarebbe stato facilmente risolvibile senza sfruttarlo per mettere nuove tasse ad effetto nullo sull’ambiente.
Purtroppo invece la discussione, specie negli ultimi anni, non ha fatto altro che riparlare dei catastrofici cambiamenti climatici ed, udite udite, le buste di plastica debbono essere eliminate perché nella loro fabbricazione si producono 400mila tonnellate di anidride carbonica. Visto che fino a poco fa si magnificava la “carbon tax francese” (senza mai però dire le cifre che descrivono la realtà) la usiamo tale importo per fare i conti un conto. La carbon tax di 17 euro a tonnellata, spalmato sui 15 miliardi porterebbe ad un aggravio sul prezzo di ogni busta di 0,0005 euro: un buon introito per le casse dello stato, un costo minimo per l’utente che non ne scoraggia l’uso (e quindi anche l’entrate per lo Stato sarebbero costanti), purtroppo il beneficio per l’ambiente sarebbe nullo e il danno progressivo.Questa è la politica ambientale da proporre? Possibile che attualmente l’unica cosa che interessa agli ecologisti sono i cambiamenti climatici e l’unica soluzione il principio “chi inquina paga”?Non sarebbe più educativo dire che le buste di plastica inquinano più dell’anidride carbonica e debbono essere eliminate perché ormai esistono modi per sostituirle più compatibili con l’ambiente (in realtà esistevano anche prima).
Saluti