All’inizio della settimana scorsa, partendo da uno spunto piuttosto casuale, siano tornati a parlare del rischio che si corre basando le policy su ipotesi non verificate che quando queste ultime si rivelano errate. Nei prossimi mesi con una cadenza che sarà attentamente studiata in termini di efficacia della comunicazione, saranno pubblicate le varie parti del nuovo report dell’IPCC, il quinto. E’ qualcosa che abbiamo già visto, molti ricorderanno infatti che nel 2007 sono usciti via via i summary for policy makers delle tre parti del 4AR e poi è uscito il report per intero.
Sebbene quelli che contano siano gli approfondimenti scientifici contenuti nel corpo del volume, è chiaro che la maggior parte degli interessati leggeranno soprattutto, ove non esclusivamente i sommari per i decisori, quelli con i numeri più significativi e con le immagini più esplicative. Per esempio come i numeri e le immagini che nel 4AR furono dedicate alla trattazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacciai dell’Himalaya, dati per defunti nel 2035 e successivamente resuscitati almeno fino al 2350 in quella che si è rivelata essere una dei più terribili passi falsi in cui si è imbattuto il panel ONU per i cambiamenti climatici. Ad uno scioglimento repentino dei ghiacci dell’Himalaya, si associavano infatti vari presagi di sventura per le popolazioni dell’area la cui disponibilità idrica è strettamente legata proprio alle dinamiche dei ghiacciai. Da notare, inoltre, che le proiezioni dell’IPCC andavano nella direzione di una drastica riduzione della portata dei fiumi successiva allo scioglimento pur in un contesto generale di tendenza all’aumento delle precipitazioni. Di per se questo già introduceva all’epoca qualche dubbio circa l’affidabilità di queste proiezioni, sebbene il tutto sia stato poi sovrastato dalla querelle sorta intorno all’errore più marchiano, appunto quello relativo al periodo in cui tutto ciò sarebbe dovuto accadere.