Mentre scrivo questo post la diciannovesima conferenza delle parti dell’UNFCCC sta per chiudere i battenti, quando il post sarà on line li avrà definitivamente chiusi. Si dice sia stata una conferenza stanca, più stanca delle 18 (!) che l’hanno preceduta. Non mi pare ci siano all’orizzonte decisioni rilevanti, anzi, forse non ci saranno proprio decisioni. L’evento più significativo, probabilmente, è stato il suggestivo abbandono delle trattative del gruppo dei ‘paesi deboli’, evidentemente insoddisfatti della piega che stavano prendendo le cose.
E così tra le roboanti dichiarazioni dei protagonisti prima e durante la conferenza, spicca probabilmente quanto segue, che dimostra quanto si tratti per lo più di chiacchiere che di sostanza, sia da parte dei leader politici che non perdono mai l’occasione di apparire nella veste di salvatori della patria in queste occasioni, sia da parte dei burocrati di altissimo livello che dettano l’agenda di questi eventi.
La ragione dell’abbandono della conferenza da parte dei ‘paesi deboli’ è infatti nell’assoluta indisponibilità da parte dei paesi ricchi a introdurre in un (naturalmente) prossimo accordo sulle policy climatiche da intraprendere, un meccanismo automatico di risarcimento per i danni causati dalle catastrofi naturali, come ad esempio quella recente nelle Filippine o, perché no, anche quella che ha riguardato il nostro territorio appena una settimana fa. In queste occasioni, si trova sempre qualche esperto, qualche politico o qualche semplice opinionista, disposto ad attrbuirne l’occorrenza al clima che cambia. Non importa che manchi sempre la spiegazione scientifica di questa o quella attribuzione. Non importa che gli stessi report IPCC dedicati alla materia (compreso l’ultimo) dicano chiaramente che né il singolo evento né le serie storiche degli stessi siano attribuibili al cambiamento climatico. Importa solo che chi parla sa che il pubblico su queste cose ha la memoria corta, per cui sono sempre dichiarazioni che pagano in termini di popolarità.