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Tag: CRU

Indovina cos’è

Nelle ultime due settimane si è fatto un gran parlare di temperature globali, verrebbe da dire come al solito. E, come al solito, i nuovi dati pubblicati dalla Climatic Research Unit possono offrirsi a interpretazioni di segno opposto.

Il riscaldamento continua o si è fermato? E’ più corretto parlare di attenuazione del rateo di aumento delle temperature o di inversione del segno del trend?

A queste domande non ci sono risposte univoche, perché i dati rappresentati nello spazio e nel tempo dipendono appunto dalla variabile spazio-temporale. In poche parole rappresentazioni grafiche e commenti dipendono fortemente dalle date di inizio e fine del calcolo e dalla dimensione spaziale dell’aggregazione. Ogni discorso insomma va contestualizzato.

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Basta con le chiacchiere, parlano i dati

Avevo pensato e deciso che di questo non avrei parlato più. Mi sembrava – e per molti aspetti é ancora così – che i dati fossero così evidenti (evidence=prova e l’uso del termine non é casuale), da costringere anche i credenti più ferventi ad un passo indietro. Piccolo magari, ma indietro.

Facciamolo noi, così, per dare una mano. Alcuni giorni fa é stato pubblicato l’ultimo release del dataset delle temperature medie superficiali oceano-terre emerse della Climatic Research Unit. Dati incontrovertibili: il trend dal 1997 ad oggi, periodo in cui secondo le proiezioni mainstream il mondo avrebbe dovuto scaldarsi di due decimi di grado per decennio é talmente al di sotto di questa ampiezza da non essere per nulla significativo. Anzi, é un trend di un ordine di grandezza inferiore al margine di errore di questo genere di ricostruzioni. Ergo, il mondo NON si é scaldato, le proiezioni erano e sono in errore.

Ancora, gran parte della comunità scientifica, scettica o credente che sia, é concorde nell’attribuire questi recenti sviluppi alla variabilità naturale. Insieme sconfinato di meccanismi troppo a lungo dimenticati dalla visione CO2-centrica del problema. Ergo, la scienza é tutt’altro che prossima ad essere definita. Se ne facciano una ragione quanti, anche tra le fila dei credenti nostrani, solo pochi mesi fa andavano in giro dicendo che ormai si discute dei dettagli. Su questo tra l’altro, non ho dubbi: che si discutesse sui dettagli ignorando la big picture a noialtri scettici impenitenti era chiaro da un pezzo; come é del resto chiaro che sui dettagli si fanno le regole e sul design di queste ultime le carriere. Peccato che tutto ciò non abbia un accidente a che fare col problema.

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Animo gente, manca davvero poco

Può darsi che la fine del mondo arrivi prima o poi. Sul web per esempio è fissata per il 21 dicembre prossimo, nello stile perfetto ma un po’ retrò delle catastofi solstiziali. Ma queste, per fortuna, sono solo bufale che prima evidenziavano ignoranza e credulità, ora mettono in luce patologie da abuso di social network.

Quella climatica di fine del mondo invece no, pare sia reale, ci dicono. Ci sono le prove, ripetono. E’ solo questione di tempo, ammoniscono. Anzi, può anche darsi lo abbiamo finito il tempo, sentenziano. Il tempo però, è si galantuomo, ma di quelli rigidi. Difficile che sia disposto a concedere deroghe se poi la fine non si presenta per tempo.

E così, accade che tra un tamburellar di dita e l’altro, in attesa ell’ineluttabile catastrofe ritardataria, passino 15 anni senza che il riscaldamento globale si faccia vedere. E sì che di CO2 ce ne abbiamo messa in atmosfera, che diamine! Ma lui niente, non si mostra, se ne sta comodamente nascosto. Forse nell’oceano, dove qualcuno pensa che sia? No, nella variabilità naturale. Incredibile, proprio quella che pensavamo di aver perso, di aver sovrastato, di aver azzerato.

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Le mail della CRU: Un certo numero di parti in commedia

In effetti è così, quella cui stiamo assistendo sembra proprio una commedia. Con un lato comico non indifferente. Prima di riderci su, però, è necessario un po’ di background.

Chi si occupa di vicende climatiche, per professione o per semplice passione, sa benissimo chi è Steve McIntyre. Per tutti quelli che non lavorano o passano il tempo libero alle prese con le bizze del clima potrebbe essere un illustre sconosciuto. Beh, basta poco a chiarirsi le idee. McIntyre è l’uomo che a colpi di verifiche sulle procedure statistiche ha letteralmente sotterrato la ricostruzione delle temperature che Michael Mann, scienziato di punta del clima, ha pubblicato qualche anno fa. Di lì in avanti McIntyre è diventato l’incubo della Climatic Research Unit della East Anglia, perché li ha martellati per anni per ottenere i dati utilizzati anche nei loro lavori allo scopo di riprodurli. Se quei dati fossero stati concessi o ancora meglio pubblicati insieme ai lavori, come vorrebbe la pratica scientifica, la faccenda non si sarebbe ingigantita, e forse McIntyre non sarebbe diventato il paladino degli scettici climatici, con il suo blog, Climate Audit, che conta più click di un quotidiano.

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Parola d’ordine, fare sistema

Messa così potrebbe anche sembrare una cosa positiva. Le menti più capaci nella scienza del clima che si uniscono per seguir virtute e canoscenza, avendo realizzato che tutti gli altri, ma proprio tutti, comprese le altrettanto capaci menti di un certo numero di colleghi, si sono rassegnati a viver come bruti.

Credo sia facilmente intuibile, si parla ancora del secondo round del climategate, delle migliaia di nuove mail diffuse in rete da quello che alcuni pensano sia un ignoto benefattore, altri una autentica jattura.

Il nome del file compresso che contiene le mail è lo stesso dell’altra volta FOIA.zip, i contenuti almeno per la parte che sin qui è stato possibile conoscere – pare ci siano altri 220.000 messaggi protetti da password – sono un po’ diversi. Nessuna traccia di dati o codici stavolta, solo conversazioni, presumibilmente della stessa epoca (e trafugazione) del caso precedente. Un fitto scambio di pareri, opinioni, proposte, accordi o anche semplici valutazioni personali, tutte o quasi con un comune denominatore: abbiamo un nemico e dobbiamo combatterlo. Il clima che cambia? No, quelli che non ci credono, quelli che non la pensano come noi, quelli che – complici i soliti noti dell’industria del petrolio – potrebbero anche riuscire a convincere qualcuno che ci stiamo sbagliando. All’uopo, si curano esplicitamente le pubbliche relazioni con apposito blog, Real Climate, indispensabile strumento nell’era della comunicazione globale.

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