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Tag: Climategate

Spaghetti galeotti

Ci sono alcune storie che assurgono molto velocemente agli onori della cronaca, altre che ci mettono un po’. Generalmente per quelle del secondo tipo, l’attesa dipende dalla pazienza che i cronisti hanno nel lasciarle sedimentare, nel lasciare che i fatti siano chiariti e che sia uscito tutto quello che deve uscire sull’argomento in questione.

Spesso però si tratta di storie di cui si è già sentito parlare in un modo o nell’altro, argomenti magari sfiorati ma mai debitamente approfonditi. Con riferimento a quello di cui parliamo oggi pare che lo strato di sedimenti sia ormai stabile e si possa fare un’analisi quasi definitiva.

Parliamo di serie storiche di dati di prossimità, di ricostruzioni della temperatura, di climategate, di richieste di informazioni evase solo sotto la minaccia di imminenti decisioni giuridiche sfavorevoli, insomma, parliamo del sottobosco – trattandosi di dati essenzialmente dendrocronologici è decisamente il caso di dirlo – dell’accesa discussione scientifica ma non solo sviluppatasi negli ultimi anni.

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Ipocriclima

La blogosfera climatica (marò com’è antipatico questo modo di dire…) continua ad essere in subbuglio. Nel giro di una settimana si è passati da quella che sembrava dovesse essere un’autentica resa dei conti – sia nel senso figurato che in quello letterale del termine – tra credenti e scettici, con i primi a segnare finalmente il golden gol, al più clamoroso autogol della storia, con il re dei credenti che avendo già perso i vestiti con il climategate, ora più che essere nudo è trasparente.

Di tutte queste polemiche, che con il clima non hanno veramente nulla a che fare, quel che più disturba è la sfrontatezza con cui si riconosce a se stessi l’umana debolezza di lasciarsi condizionare dalla propria ideologia nel compiere attività che dovrebbero essere prive di qualsiasi condizionamento, leggi ricerca scientifica, dichiarando al contempo di farlo per cercare un confronto che si è invece ideologicamente evitato da sempre.

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This is the end

[blockquote cite=”The End – The Doors”]This is the end, beautiful friend / This is the end, my only friend, the end / Of our elaborate plans, the end / Of everything that stands, the end / No safety or surprise, the end / I’ll never look into your eyes Again[/blockquote]

Beh, almeno il Climategate era vero.

Volano gli stracci nel dibattito sul clima. E vola anche la carta bollata. Mail, messaggi, documenti confidenziali e quant’altro poi, volavano già da un pezzo. Da anni si dice che il dibattito sia concluso, pare invece che un dibattito non ci sia proprio mai stato.  E non perché non ce ne sia la sostanza, quanto piuttosto perché si è passati direttamente allo scontro esacerbato. Ne abbiamo avuto prova anche su queste pagine, anche molto recentemente. Una occasione in cui la pubblicazione di un nostro post ha suscitato reazioni a dir poco smisurate degli ambienti mainstream. Accuse, delazioni, derisione, tutto, ma proprio tutto, tranne la discussione sul merito. Cosa che per fortuna è invece avvenuta proprio in calce al post per l’intervento di due delle firme dell’articolo scientifico che si discuteva. E meno male.

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Vince Clouseau, meglio tardi che mai

Ok, la Cop17 di Durban è ormai archiviata. Con il Canada che si è sfilato a soli due giorni dalla chiusura e l’India che ha firmato un documento che non intende onorare, abbiamo almeno sei mesi di tempo per respirare. Sei mesi prima che nell’imminenza della prossima adunata dei salva-pianeta, si debba necessariamente evitare ogni riferimento ad argomenti scomodi. Uno tra tutti, il climategate.

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Climategate 2.0: L’uccello del malaugurio

Diciamo la verità, in fondo, sebbene animati da proprie personali cognizioni di causa, anche gli scettici climatici più impenitenti sperano che i profeti della catastrofe climatica si sbaglino. Ci mancherebbe, come potrebbe essere altrimenti?

E allora perché il profeta di tutti i profeti, l’ottimo Phil Jones, guida carismatica della Climatic Research Unit (CRU), si ritrovava a sperare che i suoi colleghi, improvvisamente colti da un lampo di genio e impegnati a immaginare una pressoché totale assenza di riscaldamento fino al 2020, si sbagliassero di grosso (email 4195.txt)?

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Climategate 2.0, regola numero 1: Divergere in privato, convergere in pubblico

Versione moderna dell’antico detto: i panni sporchi si lavano in famiglia. Quando si tratta di scienza però, specie se di scienza del clima, quella famiglia siamo tutti noi, perché da una non meglio specificata convergenza, ovvero da un consenso scientifico del tutto fittizio, sono scaturiti fior di provvedimenti – e altri si progetta di farne scaturire – che condizionano non poco le nostre vite.

Qualcuno ricorderà che alcuni mesi fa abbiamo parlato su queste pagine di “divergenza”, cioè di quello strano effetto per cui le temperature ricavate dai dati di prossimità degli anelli di accrescimento degli alberi e quelle misurate con il termometro smettono di andare d’accordo. Qualcun altro ricorderà anche che per evitare che questo si notasse nelle ricostruzioni di temperatura, alcuni dataset di dati proxy vennero esclusi dalle ricostruzioni e opportunamente sostituiti con i dati osservati, commettendo così un errore doppio: a) non tener conto che quel disaccordo invalidava potenzialmente anche i dati proxy non verificabili con le osservazioni, b) confrontare le mele con le pere, cioè mettere sullo stesso livello di attendibilità i dati proxy e quelli osservati.

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Climategate 2.0: con una informazione così, dove sarebbe lo scandalo?

Alcuni giorni fa, con l’appoggio del solito server russo irrintracciabile, è comparsa la seconda tranche delle mail trafugate nel novembre del 2009 dai computer della Climatic Reserch Unit (CRU), l’unità di ricerca della Università della East Anglia sede tra l’altro del Working Group II dell’IPCC.

E’ una notizia che ormai dovrebbe essere di dominio pubblico, e invece da noi ne hanno parlato solo l’Ansa, Il Foglio e, naturalmente i blog di settore, tra cui ovviamente anche CM. I media generalisti nostrani non hanno ritenuto opportuno soffermarsi sull’argomento, tutti presi come sono ad accendere i riflettori sulla conferenza di Durban (qui e qui per esempio).

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Tanto per essere chiari

Con oggi cominciamo a commentare in diretta gli sviluppi della COP17 di Durban. Uno degli obbiettivi, anzi, direi che si possa definire l’obbiettivo finale, sarebbe quello di raggiungere un accordo che consenta di portare le emissioni a livelli tali da ‘mantenere’ l’aumento delle temperature medie superficiali entro i 2°C dall’inizio dell’era industriale.

Questo significa che ci sarebbe margine di manovra per ‘gestire’ 1,3°C di riscaldamento, perché 0,7°C ce li saremmo già giocati. Il fatto che manchi all’appello il 40% del riscaldamento che sarebbe dovuto arrivare secondo l’ipotesi antropogenica evidentemente è ritenuto marginale per valutare la validità di quell’ipotesi, ma questa è un’altra storia.

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Le mail della CRU: Un certo numero di parti in commedia

In effetti è così, quella cui stiamo assistendo sembra proprio una commedia. Con un lato comico non indifferente. Prima di riderci su, però, è necessario un po’ di background.

Chi si occupa di vicende climatiche, per professione o per semplice passione, sa benissimo chi è Steve McIntyre. Per tutti quelli che non lavorano o passano il tempo libero alle prese con le bizze del clima potrebbe essere un illustre sconosciuto. Beh, basta poco a chiarirsi le idee. McIntyre è l’uomo che a colpi di verifiche sulle procedure statistiche ha letteralmente sotterrato la ricostruzione delle temperature che Michael Mann, scienziato di punta del clima, ha pubblicato qualche anno fa. Di lì in avanti McIntyre è diventato l’incubo della Climatic Research Unit della East Anglia, perché li ha martellati per anni per ottenere i dati utilizzati anche nei loro lavori allo scopo di riprodurli. Se quei dati fossero stati concessi o ancora meglio pubblicati insieme ai lavori, come vorrebbe la pratica scientifica, la faccenda non si sarebbe ingigantita, e forse McIntyre non sarebbe diventato il paladino degli scettici climatici, con il suo blog, Climate Audit, che conta più click di un quotidiano.

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Parola d’ordine, fare sistema

Messa così potrebbe anche sembrare una cosa positiva. Le menti più capaci nella scienza del clima che si uniscono per seguir virtute e canoscenza, avendo realizzato che tutti gli altri, ma proprio tutti, comprese le altrettanto capaci menti di un certo numero di colleghi, si sono rassegnati a viver come bruti.

Credo sia facilmente intuibile, si parla ancora del secondo round del climategate, delle migliaia di nuove mail diffuse in rete da quello che alcuni pensano sia un ignoto benefattore, altri una autentica jattura.

Il nome del file compresso che contiene le mail è lo stesso dell’altra volta FOIA.zip, i contenuti almeno per la parte che sin qui è stato possibile conoscere – pare ci siano altri 220.000 messaggi protetti da password – sono un po’ diversi. Nessuna traccia di dati o codici stavolta, solo conversazioni, presumibilmente della stessa epoca (e trafugazione) del caso precedente. Un fitto scambio di pareri, opinioni, proposte, accordi o anche semplici valutazioni personali, tutte o quasi con un comune denominatore: abbiamo un nemico e dobbiamo combatterlo. Il clima che cambia? No, quelli che non ci credono, quelli che non la pensano come noi, quelli che – complici i soliti noti dell’industria del petrolio – potrebbero anche riuscire a convincere qualcuno che ci stiamo sbagliando. All’uopo, si curano esplicitamente le pubbliche relazioni con apposito blog, Real Climate, indispensabile strumento nell’era della comunicazione globale.

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