Erano i tempi di Martin Lutero e della riforma anglicana quando si parlava di apocalisse. Contestualmente si affermava la prima grande rivoluzione tecnologica in termini di comunicazione: l’invenzione della stampa. Ora siamo sicuramente in un nuovo periodo di rivoluzione tecnologica nel campo dell’informazione e si torna a parlare di apocalisse in tutte le salse. Ci sono canali tv dedicati, laddove sui canali a tema più generalista non manca mai in palinsesto un programma opportunamente apocalittico. Sulla rete non ne parliamo, si formano addirittura delle comunità sconfinate, nascono siti web all’upo nominati, si rilancia il tam tam a più non posso. Un caso banale ma esplicativo per tutti il presunto terremoto di Roma del maggio dell’anno scorso o, se preferite, l’assurda isteria del 21 dicembre 2012.
Sicché la maggior parte della gente ci avrebbe fatto il callo e non ci farebbe più caso, anzi, ogni nuova presunta apocalisse sarebbe occasione per fare spallucce, ove invece i pochi che restano vivrebbero una vita di fobie. Questa abitudine sarebbe all’origine della scarsa propensione dei più – e quindi di chi li rappresenta in sede decisionale – a prendere sul serio il rischio global warmig, la cui derivata apocalisse, ovviamente, sarebbe da annoverare tra quelle reali.