Freddo polare, caldo africano, bombe d’acqua o siccità degne di un deserto, al giorno d’oggi sembra che nella comunicazione meteorologica non esista altro. Con l’aggiunta, che fa molto colore ma anche molta confusione, di nomi epici e spaventevoli affibbiati a questo o quell’evento. Tutto questo, a prescindere dalla caratterizzazione scientifica degli stessi e, ancora più grave, dall’impatto reale che questi possono avere.
Un impatto spesso molto significativo, tanto che nell’attuale contesto di scarsità delle risorse a disposizione, si sta sentendo sempre più spesso parlare di copertura assicurativa contro gli eventi atmosferici obbligatoria, laddove le forme volontarie in effetti già esistono ma in un panorama piuttosto disomogeneo e confuso. A breve dunque avremo un problema, perché quando cominceranno ad esserci di mezzo i soldi, quelli veri, quelli delle multinazionali del rischio assicurativo, in un modo o nell’altro si dovrà fare chiarezza: chi decide quando un evento è estremo e quando non lo è? E chi decide quale parte dei costi deve andare a carico dei singoli danneggiati, quale altra alle compagnie assicurative e, eventualmente, quale altra ancora a carico dello Stato? E, soprattutto, chi decide se il problema è ascrivibile agli eventi meteorologici o se entrano in gioco altri fattori purtroppo noti come il dissesto idrogeologico o l’edilizia speculativa?