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Tag: riscaldamento globale

CO2, cibo per le piante ma non solo

L’anidride carbonica è l’elemento chimico alla base della fotosintesi, sia essa prodotta naturalmente o meno, comunque piace alle piante. Tanto da accrescerne notevolmente lo sviluppo all’aumentare della sua concentrazione. Questo è un fatto noto del quale però si sente parlare molto poco. Ancora meno, non è difficile capire perché, si sente parlare del beneficio di cui l’umanità può aver goduto in termini di disponibilità di risorse alimentari primarie proprio grazie all’aumento della concentrazione di CO2 e alla lunga fase climatica favorevole iniziata al termine della Piccola Età Glaciale (1350-1850 circa), giunta per altro ad interrompere soltanto temporaneamente un altro periodo favorevole ancora più lungo innescatosi al termine dell’ultima glaciazione.

 

Molto di più invece si sente parlare del Costo Sociale del Carbonio, ovvero dei costi che potenzialmente l’umanità potrebbe dover fronteggiare a causa dei cambiamenti climatici innescati dall’aumento delle temperature medie superficiali, posto che questo aumento e quei cambiamenti siano per buona parte ascrivibili all’aumento della concentrazione di anidride carbonica.

 

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Il ciclo di 60 anni, i dati NOAA e il mal di pancia dei soliti noti

A maggio 2013 è uscito un lavoro di S. Akasofu (pdf disponibile qui). Sembra essere la stesura finale di una ricerca del 2009, pubblicata in rete (54 MB), seguita da un articolo del 2010 su Natural Science (1.6 MB, qui). L’articolo del 2010 è stato commentato su CM e sulla stessa rivista, da Dana Nuccitelli di Skeptical Science (qui il commento sul blog) e dA altri tre ricercatori che cercano di dimostrare l’impostazione totalmente sbagliata delle premesse e delle conclusioni di Akasofu (tra cui una lezioncina su come un fit lineare sia diverso da un fit parabolico). La pubblicazione ha provocato anche le dimissioni di un menbro del comitato editoriale della rivista, con tanto di giustificazione a mezzo post su Skeptical Science.

 

Akasofu in vari interventi viene qualificato come un “ottuagenario” e “pensionato” che, pur avendo un background fisico (è stato direttore dell’International Arctic Reasearch Center dell’Università dell’Alaska a Fairbanks), ha presentato nel suo lavoro un argomento “very unphysical” affermando che il riscaldamento globale è semplicemente il risultato di un recupero del pianeta dalla LIA. Ancora, si dice che sia riuscito a pubblicare questo lavoro del 2013 dopo che una sua collaboratrice è diventata direttore della rivista; che ha una qualificata reputazione nel campo delle aurore boreali … ma in climatologia …; insomma, le solite cose che, tutto sommato, lasciano il tempo che trovano.

 

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Clima: lo strano comportamento dell’Antartide

Ad una analisi oggettiva e distaccata, i dati sul continente di ghiaccio ci parlano chiaramente di una situazione anomala rispetto al resto del pianeta. Vediamo di capire perché…

 

Una visione oggettiva – Cerchiamo per una volta di guardare alle questioni climatiche in modo distaccato e oggettivo, rimanendo fedeli ai dati piuttosto che alle nostre tesi. Quello che voglio mostrare è una serie di dati relativi al continente antartico, senza tesi preconcette da dimostrare, ma solo uno scenario da svelare. Scenario che sta sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono guardare a occhi nudi, senza gli occhiali della loro idea climatica.

 

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L’allarme climatico? Questione di animazione…

Quella che vedete qui sopra è una gif animata. Sono più frame sovrapposti che aggiungono via via nuove informazioni al contenuto. Tanto per cambiare parliamo di allarme climatico, anzi, di non allarme climatico.

 

Nelle scorse settimane si è fatto un gran parlare dell’uscita della prima parte del nuovo report IPCC, l’AR5. Nella comunità climatica, almeno nella sua componente allarmista, che è anche la più affollata, le conclusioni cui è giunto il panel ONU sono state accolte come la conferma del fatto che nelle dinamiche climatiche più recenti ci sia la mano dell’uomo e che quella mano sia sempre più pesante.

 

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Proprio non ce la possono fare…

Allora, lo avevamo anticipato nei giorni scorsi, il ghiaccio marino dell’Artico ha invertito il trend stagionale. Di qui in avanti potrà solo aumentare, fino al picco invernale. Come già anticipato qualche giorno fa il bilancio di quest’anno è nettamente migliore di quello dell’anno scorso e, per molti aspetti, anche degli anni più recenti.

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Antartide, galeotto fu il vento

Questi di metà settembre sono sempre giorni ‘caldi’ per l’argomento ghiaccio e dintorni. Siamo infatti probabilmente al giro di boa per l’estensione del ghiaccio marino artico, con l’NSIDC che a breve confermerà il termine della stagione di scioglimento. Una stagione con bilancio in positivo perché il ghiaccio, pur mantenendosi ben sotto la media di riferimento, ha fatto segnare una notevole ripresa rispetto al minimo storico della stagione estiva 2012, con un’estensione rimasta praticamente per tutto l’anno, ma soprattutto in queste ultime settimane comodamente dentro le due deviazioni standard.

 

In attesa di mettere il punto al Polo Nord, registriamo anche un altro anno in cui il ghiaccio marino antartico è rimasto saldamente sopra la media di riferimento, confermando un trend di segno opposto a quello del ghiaccio marino artico. Al riguardo su Science Daily è passata qualche giorno fa la notizia della pubblicazione imminente di un nuovo paper con il quale si è cercato di spiegare le origini di questa discrepanza, ossia, tanto per cambiare, si è cercato di spiegare perché il ghiaccio dell’emisfero sud cresce ‘nonostante’ il riscaldamento globale. E’ proprio questo infatti il tono dell’articolo con cui su SD danno conto della pubblicazione, inserendo come sempre ampi virgolettati degli autori del paper. Vediamone qualcuno, ma prima sgombriamo il campo da ogni dubbio.

 

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Vizi pubblici e virtù private

Un po’ di pazienza, prima di leggere fate scorrere la sequanza di immagini qui sopra. Fatto? Ok, proseguiamo. Il titolo che ho dato a questa post necessita immediatamente di un caveat. Che le virtù private si comincino a vedere è un fatto, che continuino ad esserci dei vizi pubblici è da vedersi, anche se a meno di un mese dalla pubblicazione del 5° Report IPCC il sospetto comincia ad essere forte.

 

Già perché ormai una decina di giorni fa, pare abbia circolato per le redazioni di alcune importanti testate una bozza del suddetto report. Secondo il New York Times, per esempio, ripreso anche dal National Geoghraphic, il livello di certezza che una buona parte se non tutto il riscaldamento cui è andato soggetto il pianeta nelle ultime decadi dovrebbe salire dal 90% del 4° Report IPCC al 95% nella futura pubblicazione. Altro caveat. Trattasi di bozza e di un documento che comunque deve ancora essere soggetto agli ultimi ritocchi nella plenary session in cui fra i rappresentanti dei vari governi generalmente volano le sedie, ma è difficile che cambino i numeri, più probabilmente potrà cambiare l’accento in qualche frase.

 

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Se n’è accorto pure lui!

Puntuale come un orologio, anche questo ferragosto ha avuto il suo editoriale di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera. Incredibile a dirsi, anche la penna dai toni più scuri che il panorama giornalistico italiano possieda, si è accorta che la temperatura media del pianeta ha smesso di salire. La citazione è d’obbligo, riga terza:

 

[…] La buona notizia è che a detta dei climatologi il riscaldamento del nostro pianeta sembra che si sia fermato.

 

Attenzione però, trattandosi di potenziale buona notizia alcuni caveat sono d’obbligo per chi normalmente presagisce sfracelli, è un fatto fisiologico. E così scopriamo che le “previsioni sul clima non sono mai certe” (anche questa è una buona notizia in verità) e che comunque prima o poi farà di nuovo tanto caldo, ma nel frattempo la Natura potrebbe metterci del suo.

 

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Se piove forte non c’è il Sole

Tranquilli, non sono stato troppo tempo sotto al sole, è ovvio che quando la pioggia cade copiosa per vedere il sole bisogna andare sopra le nuvole ma, in effetti, è proprio lì che vorrei andare.

 

Passavo dalle pagine di Tallbloke e ho trovato un articolo che collega gli eventi alluvionali sul nord Italia alle fasi di debole attività solare. Il paper ha questo titolo:

 

Orbital changes, variation in solar activity and increased anthropogenic activities: controls on the Holocene flood frequency in the Lake Ledro area, Northern Italy

 

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Il calore che non c’è ma ci sarà

In attesa della prossima ondata di calore estiva – da notare che quella appena passata non è stata una heat wave vera e propria per durata ed estensione -, ci godiamo, si fa per dire, una visita del fronte polare alle medie latitudini a fine giugno. Non proprio un inizio di stagione promettente. Ad ogni modo, ci sta che già entro la prima decade del mese di luglio o giù di lì, qualcuno possa tornare a consultare le pagine dell’Inferno di Dante per celebrare l’ennesimo battesimo dell’anticiclone africano. Quest’ultimo, è probaile, sarà presto vittima di una crisi di identità, diversa da quella dell’anticiclone delle Azzorre che piuttosto sembra proprio aver smarrito la via di casa nostra.

 

Ma non è di questo calore che parliamo oggi, anche perché i nostri lettori sanno che l’attualità meteorologica frequenta davvero poco queste pagine. Parliamo, anzi, torniamo a parlare, del calore in eccesso atteso invano nel sistema climatico negli ultimi tre lustri.

 

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Antartide: Più che l’aria pare possa l’acqua.

E’ una notizia che gira da un paio di giorni, l’avevo già letta durante il solito giro di blog, ma poi mi è stata segnalata anche da due lettori, perché è approdata anche sui nostri media. Per la verità, come spesso accade, su di un solo medium nostrano, l’ANSiA, l’altro, corriere.it, si è limitato a ripeterne una parte pari pari, compreso il curioso titolo “Perdita silenziosa dei ghiacci antartici”. Se qualcuno di voi ne conoscesse una “rumorosa” si faccia avanti, a meno che con questo non si voglia intendere altro.

 

Allora, si tratta ovviamente dei risultati di una pubblicazione scientifica, questa qui sotto, un lavoro uscito appena ieri su Science:

 

Ice Shelf Melting Around Antarctica

 

La lettura è a pagamento, ovviamente, però c’è il comunicato stampa dell’Università della California, l’istituto da cui provengono gli autori dello studio. L’argomento è palese, si parla dello scioglimento dei ghiacci antartici, più precisamente della porzione di ghiaccio a contatto con il mare.

 

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Se Kyoto non è Montreal il riscaldamento globale è finito

I trattati firmati a Montreal nel 1987 e a Kyoto esattamente dieci anni dopo, sono stati i primi, se non unici esempi di global governance che la diplomazia internazionale ha saputo esprimere. Se simili, in quanto di natura ambientale il primo ed essenzialmente focalizzato sul clima il secondo, tra i due trattati c’è di fatto una enorme differenza.

 

Il primo, riguardante la messa al bando dei Clorofluorocarburi (CFC), ritenuti responsabili del depauperamento dello strato di ozono stratosferico, ha funzionato, nel senso che l’uso dei CFC è stato di fatto abolito e, seppur con lentezza e con qualche controversia scientifica, ci sono prove abbastanza evidenti che i loro effetti dannosi si siano attenuati. Il secondo, siglato con l’obbiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica provocate in larga misura dall’uso dei combustibili fossili e ritenute responsabili dell’accrescimento dell’effetto serra e conseguente riscaldamento globale, è fallito in tutte le sue parti. Le emissioni sono aumentate e i fondamenti scientifici su cui poggiava stanno venendo meno, perché nonostante questo aumento la temperatura media superficiale del Pianeta ha smesso di aumentare o, quanto meno, ha assunto un trend molto diverso da quello atteso.

 

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