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Tag: Eventi estremi

Bricoclima

Si chiama weather@home il progetto lanciato da un gruppo di entusiasti ricercatori dell’università di Oxford. L’inghilterra è finita sott’acqua questo inverno? Beh, tutti sanno che i singoli eventi meteorologici non si possono collegare alle dinamiche climatiche, ma per loro non è così. In qualche modo, qualunque modo, deve esserci lo zampino del clima che cambia.

 

E così, dopo attenta riflessione, hanno capito che quello con cui hanno a che fare, l’attribuzione del maltempo al malclima, non è un problema di comprensione di come funziona il sistema, ma un problema di capacità di calcolo. Le due cose potrebbero in verità coincidere se si utilizzassero le simulazioni per investigare le dinamiche del sistema, ma quando le si congela nel limbo CO2centrico con la cui logica sono state costruite e le si usa a scopo statistico, si porta il virtuale nel reale attribuendogli un rango che non hanno. Però, vuoi mettere, far girare un modello sbagliato 100 volte è una cosa, farlo girare centomila è sicuramente un’altra. Quel modello diventerà magicamente efficace. Infatti, le pur sconfinate risorse messe a disposizione di quanti si battono da anni per salvare il pianeta pare  non siano sufficienti, così è nata l’idea di coinvolgere i cittadini chiedendo loro di mettere a disposizione i computer di casa. Obbiettivo, mettere in piedi una mega rete su cui far girare, girare, girare e rigirare i modelli climatici.

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Perché aumentano i costi dei disastri naturali?

Ogni volta che capita un evento di forte maltempo si torna a sentire la solita litania dell’aumento degli eventi intensi che accmpagnerebbe i cambiamenti climatici, ovviamente solo quelli che avrebbero origine nelle attività umane. E questo accade nonostante sia ormai noto che l’associazione tra le recenti dinamiche del clima – a prescindere dalla loro origine, e gli eventi meteorologici estremi non è possibile, soprattutto per indisponibilità di dati.

 

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Ri-provaci ancora Sam

Ennesimo tentativo di trasposizione del concetto di cambiamento climatico nel mondo reale, con l’aggiunta del nobile scopo di mettere i decisori di fronte alle loro responsabilità, ovvero di fornir loro informazioni utili al processo decisionale. Piogge intense, giornate roventi e gelo eccezionale, più gli eventuali accessori di vento, mare et similia, tutti equamente distribuiti sul territorio europeo come meglio non avrebbero potuto desiderare i padri fondatori dell’unione.

 

Il progetto è Europeo, appunto, ed è partito nel 2011, con Meteo France a fare da leader. Lo scopo, naturalmente, è quello di far scendere i modelli climatici globali (GCM) alla scala regionale, per capire se in un mondo più caldo (?), con un clima cambiato diversamente dal suo solito cambiare (?), sia lecito o meno attendersi eventi atmosferici più intensi.  

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Disastri naturali e clima che cambia, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

L’argomento di oggi è per noi decisamente fuori stagione. Parliamo infatti di incendi e, salvo casi che sarebbe veramente difficile collegare all’isteria da clima, nei mesi della pioggia normalmente non ci dobbiamo confrontare con questo genere di problemi. Nei mesi più aridi però il problema lo abbiamo eccome, per cui magari affrontare il tema a mente fredda 🙂 potrà tornare utile.

 

Per farlo basta guardare dall’altra parte del pianeta, dove ovviamente sta arrivando la bella stagione, in Australia. Qualche settimana fa sono passate anche sui nostri media parecchie notizie di incendi distruttivi proprio laggiù. Segno inequivocabile del cambiamento climatico, si sono subito affrettati a sentenziare i più bravi. Sicché, dal momento che questa litania comincia anche a diventare noiosa, avevo deciso di non riportare la notizia su CM.

 

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La parola fine, finché dura…

E’ probabile che non duri molto, anzi, a dirla tutta, i soliti noti faranno finta di non essersene accorti. Vi starete chiedendo di cosa parlo. E’ presto detto, tra una presa di coraggio e un ripensamento sull’incertezza e sull’attendibilità delle simulazioni climatiche, tra dichiarazioni altisonanti scientificamente non sostenibili e astruse elucubraazioni climatiche degne del miglior Ugo Tognazzi di “Amici miei”, il report dell’IPCC appena pubblicato ha in effetti messo la parola fine sul collegamento tra gli eventi estremi e i cambiamenti climatici, ove con questi si intenda una modifica alle normali dinamiche indotta da cause esterne al sistema.

 

Il processo, pur lento e laborioso, era iniziato con la pubblicazione dello special report espressamente dedicato all’argomento, dove pur con scarso entuusiasmo e senza troppi clamori, era apparso chiaramente che allo stato attuale non è possibile stabilire alcun rapporto di causa-effetto tra ciò che si intende per dinamiche climatiche, tipicamente definite a scale spaziali e temporali molto ampie e quanto si misura in termini di fenomeni intensi, che prendono vita sempre in tempi brevi ed a scala temporale molto limitata. In particolare, se il livello di confidenza per la connessione tra la temperaura del pianeta che è aumentata e alcuni eventi siccitosi o di ondate di calore è accettabile, per quel che riguarda i cicloni tropicali, i tornado, le piogge alluvionali e i temporali intensi il collegamento non c’è. Il quinto report IPCC non li nomina neanche.

 

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Duri di comprendonio

Non saprei come altro definirli i nostri media. In una delle nostre ultime discussioni è apparso un commento con il link, che definirei molto appropriato, all’ultima prodezza del solito ignoto redattore di corriere.it. Si tratta di poche righe scritte per rilanciare il report dell’OMM, massima autorità meteorologica mondiale, che riassume quanto accaduto dal punto di vista climatico e meteorologico negli ultimi dieci anni.

 

 

Neanche a dirlo, l’accento è andato sul fatto che l’OMM dichiara che gli ultimi dieci anni sono stati i più caldi da quando si fanno misure oggettive e che ci sono state circa 370.000 cadute vittima di eventi atmosferici. Un disastro nel forno praticamente. Forse però, i nostri amici del corriere, così come tutti quelli che riprenderanno entusiasticamente questo lancio nei prossimi giorni, dovrebbero andare a leggere quel report. Così facendo scoprirebbero nell’ordine che l’OMM:

 

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Clima che cambia ed eventi estremi: Una interessante nuova prospettiva

Appena ieri l’altro ho ricevuto da un lettore/amico di CM una segnalazione. Si tratta di questo: Venezia si candida come sede permanente del Tribunale penale europeo per l’ambiente. La struttura non esiste, è più che altro più che altro una manifestazione di intenti e non è mia intenzione discuterne. Salta però all’occhio il fatto che tra le tante problematiche di cui una siffatta struttura dovrebbe occuparsi – ripetiamo, tramite azione penale a livello sovranazionale – ci sia anche il riscaldamento globale.

 

Proviamo a pensarci un attimo. Un reato è tale se c’è una vittima, ovvero qualcuno che ha subito un danno e, in effetti, nell’articolo linkato più su troviamo quelle che molti definiscono “le prime vittime del riscaldamento globale”, cioè gli abitanti degli atolli del Pacifico minacciati dall’innalzamento dei mari. Non so se l’eventuale pubblica accusa prenderebbe in considerazione il fatto che nell’attesa di evacuare le loro terre gli abitanti di quelle isole costruiscono aeroporti con i soldi della World Bank, ma questa è un’altra storia. Quel che ci interessa è sapere chi è il colpevole e in cosa consista il reato.

 

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Il tornado di Monroe ha spazzato via tutto, anche il senso del pudore!

Quello che sto per scrivere non sarà molto educato. A ben vedere, con il mestiere che faccio, sarà anche prevedibile. Come prevedibile era che i soliti noti si sarebbero precipitati a riempire la scena con le loro filippiche la loro prosopopea e le loro palesi bugie.

 

Già, perché non si può pensare che fior di scienziati, esimi ricercatori, abilissimi divulgatori e abituali frequentatori delle riviste scientifiche, nonché, in molti casi, anche titolari di interi capitoli dei report IPCC, non sappiano quale sia lo stato dell’arte della conoscenza in materia di tornado e, più in generale, in materia di eventi atmosferici estremi. Sicché, mentono sapendo di mentire. Sapendo di trovare solido appoggio sulle pagine dei giornali, per l’ignoranza e la fame di scoop di chi li gestisce.

 

La testata protagonista di questo post, come vedremo, è una sola, è vero, ma visto che in uno dei due esempi che farò si riprende pari pari quanto scritto da altri, l’esempio può considerarsi rappresentativo di un mondo della comunicazione e divulgazione scientifica che è diventato come il mercato del pesce alle due del pomeriggio: il meglio se ne è andato e quel che resta puzza da un chilometro.

 

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Moore, Oklahoma, il tornado era un F5

La massima intensità che eventi di questo genere possono raggiungere, almeno con riferimento ai dati disponibili. Il National Weather Service americano ha diramato un comunicato tecnico in cui l’intensità dei venti associati al tornado è stata stimata provvisoriamente in 200-210 miglia orarie, poco sotto 340kmh.

 

La scala di riferimento per valutare l’intensità di questi eventi è applicabile solo a posteriori, ossia dopo la valutazione dei danni. Un sensore che dovesse trovarsi sul percorso infatti non potrebbe davvero riportare alcun dato, anzi, presumibilmente non sarebbe proprio possibile ritrovarlo. Così, come ci racconta wikipedia, si ricorre alla scala Fujita, che prende il nome dello studioso che l’ha definita, analizzando per anni i danni provocati dai numerosi tornado che si svilupparono subito dopo l’esplosioni atomica di Hiroshima.

 

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