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Tag: Attività  solare

Il Polo Nord si scioglie e la colpa è solo… (parte seconda)

Ieri Riccardo Valente e Andrea Zamboni ci hanno accompagnato alla scoperta delle dinamiche accoppiate oceano-atmosfera che incidono maggiormente nell’evoluzione dell’estensione dei ghiacci artici. Oggi ci mostreranno come, secondo le loro ricerche, quelle dinamiche potrebbero avere un’origine ben precisa. Scommetto che la risposta non vi sorprenderà, ma anche che farà venire il mal di pancia a qualcuno!

 

Dopo aver appreso che l’estensione estiva della banchisa artica  discende  dalle caratteristiche e dall’entità dell’Arctic Dipole (DA), cercheremo di individuare i fenomeni da cui questo dipende.

A tale scopo partiamo facendo delle considerazioni a carattere prettamente intuitivo. Guardando al grafico che rappresenta l’evoluzione nel tempo del DA pattern (Fig. 8 del post precedente)  c’è una cosa che balza subito all’occhio: il mutamento più radicale della circolazione sul polo lo si è avuto a partire dal 2005-2006. Questo ci suggerisce che anche il fenomeno che regola il DA pattern (e dunque la circolazione sul polo) abbia subito un cambiamento consistente proprio a partire da quel periodo. Ora, tra tutti i (pochi) fenomeni in grado di forzare pesantemente la circolazione atmosferica a scala emisferica (e dunque anche polare), ce n’è uno in particolare ha subito un pesante stravolgimento nel periodo di riferimento: l’attività solare. Questo fattore potrebbe indurci a pensare che il principale attore in questa commedia sia il sole.  Vediamo ora se riusciamo a trovare delle prove in grado di supportare l’ipotesi dettata dall’intuizione.

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Quando ghiacciava il Tamigi, c’era di mezzo il Sole

Una suggestiva e neanche così vecchia immagine del Tamigi ghiacciato testimonia un evento che negli ultimi 150 anni e, più che mai nelle ultime decadi, è diventato piuttosto raro. Tra le cause probabilmente la costrizione degli argini che accelera il flusso delle acque e il traffico fluviale, ma, certamente, anche l’aumento delle temperature. Almeno fino alla fine del secolo scorso. Le ultime gelate, non a caso, sono arrivate negli anni ’50 e ’60, mentre durante la Piccola Età Glaciale (≈1450-1850) la frequenza degli eventi era decisamente superiore. Quello sotto è il grafico della serie storica più antica di cui si disponga, la Central England Temperature (CET).

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Le strane coincidenze solari

Sulle nostre pagine abbiamo parlato moltissime volte della relazione tra l’attività solare e le dinamiche climatiche. Un argomento controverso e molto dibattuto in ambito scientifico, in cui sussitono molte correlazioni ma poche o pochissime evidenze di relazione causale, cioè dove le ipotesi riescono a trovare una plausibile espressione fisica e matematica. In particolare, con riferimento alle pulsazioni dell’attività solare che modulano il flusso dei raggi cosmici diretti verso il pianeta, quel che manca è l’effetto amplificante, quella dinamica che può trasformare una causa relativamente piccola in un effetto ben più grande. Il discorso è simile a quello delle modifiche che l’aumento della concentrazione di CO2 starebbe imprimendo al sistema, dove il rapporto logaritmico e quindi decrescente negli effetti tra la quantità di anidride carbonica e il calore ritenuto dal pianeta, sarebbe amplificato da una serie di reazioni a catena divenendo assai più consistente.

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Il Sole non scalda il Pianeta, ma, se necessario (per i modelli), lo può raffreddare!

Certo che sul Sole ne sappiamo proprio poco. Soltanto qualche anno fa, per esempio, i massimi esperti di attività solare, stabilmente intensa per buona parte del secolo scorso, immaginavano un nuovo ciclo solare tra i più forti. Ora siamo nel bel mezzo del ciclo solare 24, con un emisfero della nostra stella che ha già virato verso la fase discendente e l’altro che seguirà nei prossimi 12-18 mesi, e le macchie solari le abbiamo sin qui contate sulla punta delle dita, a descrivere un ciclo tra i più deboli che la ricerca moderna possa ricordare.

 

Ma c’è una caratteristica del carattere della nostra stella ancora più oscura. Infatti, malgrado essa costituisca l’unica fonte di energia alla quale può attingere il nostro pianeta, le variazioni della sua attività sono insignificanti quando il pianeta si scalda, mentre divengono decisive quando smette di farlo o, addirittura, si raffredda.

 

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Quando c’era il Sole sul clima

Beh, per la verità il Sole sul c’è sempre stato e, con buona approssimazione, continuerà anche ad esserci al di là della nostra capacità di…previsione. E’ che non si capisce perché ad un certo punto della storia recente qualcuno ha deciso che ne dovesse uscire.

 

Qualche giorno fa su WUWT è uscita una ‘chicca’ climatica, il commento ad un articolo pubblicato su Science nel 2001, quindi neanche così datato, in cui si dimostrava piuttosto efficacemente l’esistenza di una elevata sensibilità del clima dell’emisfero nord ad un forcing solare anche relativamente piccolo. Tale sensibilità ,vrebbe luogo per il tramite di modifiche alla circolazione atmosferica tracciabili negli indici barici più significativi, l’Oscillazione Artica (AO) e la North Atlantic Oscillation (NAO), rispettivamente rappresentativi della tendenza del flusso perturbato principale a disporsi più o meno decisamente lungo i paralleli e della posizione latitudinale dello stesso flusso. Questo ragionamento, i lettori più assidui di CM lo ricorderanno, fa il paio con le discussioni che più volte abbiamo portato avanti circa la posizione media nel lungo periodo del fronte polare, cioè della zona di separazione tra l’aria polare e l’aria delle medie latitudini, unico vero metronomo del tempo nel breve periodo e, a quanto pare, anche del clima per periodi più lunghi.

 

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Poco sole molto freddo

Qualche giorno fa abbiamo fatto quattro chiacchiere con Tore Cocco sul tema delle previsioni di lungo periodo, un tema che presenta molte più ombre che luci. Nel lunghissimo periodo poi, il buio si fa addirittura pesto. Confidiamo comunque che anche queste tecniche progrediscano in futuro, del resto un paio di decadi fa, o anche meno, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’attendibilità mostrata oggi dalle previsioni meteorologiche nel breve e brevissimo periodo.

 

Meteo sì, clima no, quindi, almeno attualmente. Nel settore delle previsioni tuttavia, c’è un campo di applicazione che in quanto ad attendibilità se la passa ancora peggio del clima. No, non è quello finanziario, che pure meriterebbe attenzione, è quello solare. Anche in questo settore sono in molti a cimentarsi con prognosi di vario genere, e conseguono tutti più o meno gli stessi risultati piuttosto deludenti. Basti pensare che solo all’inizio dell’attuale ciclo solare, il 24° da quando li contiamo, le voci erano più o meno concordi circa la possibilità che si ripetesse un ciclo molto intenso, alla stregua di quelli che lo hanno immediatamente preceduto, che hanno fatto tra le altre cose segnare un periodo definito “Solar Grand Maximum”. E invece, come ormai è noto, questo ciclo solare non solo si è rivelato sin qui molto debole, ma anche molto lento, tutte cose che farebbero pensare anche ad una scarsa attività solare piuttosto prolungata.

 

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Spiragli di luce sul clima

Domenica scorsa abbiamo goduto dell’ironia di una delle ultime vignette di Josh in tema di clima. Ad appena un paio di giorni di distanza, non potevo certo immaginare che il protagonista della vignetta potesse diventare quell’unico cervellone in camice bianco che sbircia timidamente a lato della ‘meravigliosa macchina del clima’, dove ci sono i cursori di controllo dell’attività solare, mentre tutti gli altri suoi compari fissano rapiti il bottoncino della CO2.

 

Già, perché, con buona pace di quanti la ricerca sul clima hanno deciso di farla al buio, ovvero ignorando quasi del tutto l’influenza che su di esso può avere il comportamento della nostra stella, per fortuna c’è qualcuno che ogni tanto apre uno spiraglio di luce.

 

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C’è del marcio in Danimarca

Ma che curiosa analogia! La citazione originale dall’Amleto di Shakespeare recita così: “Something is rotten in the state of Denmark”. L’autore all’epoca si riferiva a fatti politici del Regno di Danimarca, ovviamente, ma l’uso del termine “rotten” coincide con l’aggettivo con cui negli ultimi anni è stato definito il ghiaccio artico. Letteralmente si dovrebbe tradurre con “marcio”, che nella fattispecie del ghiaccio indica instabilità piuttosto che compattezza e quindi indebolimento con grande predisposizione allo scioglimento. Ma possiamo andare oltre con il maltrattamento della citazione di Shakespeare. In Danimarca pare ci sia anche del marcio tra quanti si occupano di studiare le dinamiche del ghiaccio stesso. Il rappresentante generico medio del mainstream scientifico, convinto che il ghiaccio marino del Polo Nord sia ormai in una spirale di morte e che questo sia in larga misura da attribuire al contributo antropico alle dinamiche del clima, non esiterebbe a definire rotten quello che abbiamo scovato. Ancora una volta però il marcio si annida in ambienti istituzionali, addirittura nel DMI, il Danish Meteorological Institute, al quale vada come vada, è davvero difficile attribuire un conflitto di interessi con le multinazionali del petrolio.

 

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Ai nastri di partenza una nuova fase climatica? – Parte III

Le due parti precedenti le trovate qui e qui, poi, a breve, sarà disponibile un documento in pdf per il download di tutto il lavoro. Questo post resterà in evidenza per qualche giorno, quelli che seguiranno li trovate subito sotto.

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Nella terza parte ci apprestiamo a ricercare le possibili cause del riscaldamento globale che ha interessato il nostro pianeta a partire dalla metà del 1850 e più segnatamente dai primi anni del XX secolo. Premetto che sono solitamente molto restio nel trattare la variabile temperatura per diverse ragioni. La prima riguarda la non chiara attendibilità oggettiva dovuta al diverso trattamento dei dati, tanto che nei data-set disponibili si riscontrano anche notevoli differenze. La seconda è dovuta alla spesso difforme classificazione secondo gli standard WMO delle stazioni di rilevamento con la loro reale ubicazione, la distribuzione areale delle stesse essendo concentrata in massima parte nell’emisfero boreale e nella fascia delle medie latitudini degli USA, Europa e Asia orientale. Per il resto, in assenza di dati certi, si usano tecniche matematiche di interpolazione e omogeneizzazione.

 

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Il Sole c’è, sopra le nuvole.

Previsioni del tempo su CM? Niente da fare, neanche questa volta ci cimenteremo nell’arte del presagio atmosferico, almeno non su queste pagine.

Però parliamo di Sole, Sole e clima e, come ci succede spesso, prendiamo spunto da qualcosa pubblicato recentemente. Si tratta di un report giunto al termine di un workshop tenuto dal National Research Council americano, del quale troviamo un lungo commento sulle pagine della NASA.

E così, zitti zitti, un folto gruppo di scienziati di varie discipline tutte connesse con le dinamiche solari e quelle atmosferiche tra cui anche parecchi nomi noti, si sono riuniti per discutere dell’influenza del Sole sulla variabilità del clima. Incredibile non è vero?

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Finalmente hanno visto la luce

Folgorata come i fratelli “Joliet” Jake e Elwood Blues dell’indimenticabile capolavoro di John Landis. La scienza del clima ha visto la luce, anche se, come accade ormai da anni, riesce a farlo solo attraverso il buco della serratura. In questa materia si continua a procedere infatti più per atti più simili allo spionaggio ed al controspionaggio che ad un sano e aperto dibattito che aiuti ad aumentare il livello di conoscenza del funzionamento del sistema. Questo accade perché gli aspetti politici delle ipotizzate conseguenze di una deriva anomala delle dinamiche climatiche pesano ormai come macigni su ogni livello di discussione.

Ipotesi di future Carbon Tax, impiego di immani risorse finanziarie in politiche di mitigazione e di revisione dei sistemi di approvvigionamento energetico, aspetti puramente politici, la fanno da padrone in quello che invece dovrebbe essere un puro e semplice scambio di opinioni scientifiche. Del resto, l’organismo per eccellenza cui è delegato il compito di riassumere le posizioni che dovrebbero definire i confini dello stato dell’arte della conoscenza scientifica, l’IPCC, è a tutti gli effetti un organismo politico.

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La forzante solare è in grado di influenzare il clima terrestre?

Una delle discussioni più appassionanti nell’ambito del dibattito sul clima, riguarda l’influenza del Sole sul sistema climatico terrestre. In particolare si dibatte circa l’influenza sul clima terrestre dell’intensità dei massimi solari e della profondità dei minimi solari. Secondo alcuni la PEG o LIA, cioè il periodo freddo che ha caratterizzato gli anni compresi grossomodo tra il 17° secolo e gli inizi del 19° secolo, fu originata da una lunga serie di minimi solari meglio conosciuti come Minimo di Maunder.

Molti climatologi danno poco credito a questa attribuzione e, probabilmente a ragione, chiamano in gioco molte altre cause. Alcuni hanno cercato addirittura di negare l’esistenza della PEG o di ridimensionarla a fenomeno locale e, quindi, di scarso interesse globale. A mio modesto parere “in medio stat virtus” che, tradotto, significa che la PEG ha avuto molte concause tra cui anche il Sole. Dello stesso avviso, per esempio, sono gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista THE HOLOCENE lo scorso mese di ottobre:

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Ciclo 24 : niente di nuovo sotto il Sole

Cari amici e lettori di CM, dopo circa sei mesi torniamo ad aggiornarvi sulla situazione del Ciclo Solare 24, non per ignavia o per disaffezione alla materia ma perchè in questa fase del ciclo solare non si registrano eventi degni di un monitoraggio stretto.

Il sole prosegue il suo cammino in linea con le previsioni stilate circa 18 mesi fa dagli scienziati di NASA e NOAA, i quali dopo aver sovrastimato in maniera netta le potenzialità dell’attività solare in questo ciclo 24 hanno trovato un giusto equilibrio tra i diversi modelli sperimentali impiegati per predire il numero di macchie solari che diverranno evidenti sulla superficie della nostra stella e di conseguenza cercare di stimare il livello di attività del sole.

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