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Tag: riscaldamento globale

Ma che clima insensibile!

L’immagine qui sopra l’avete già vista pochi giorni fa. Per la verità non era esattamente questa, infatti è stato necessario aggiungerle qualcosa. Si tratta per chi non conoscesse l’argomento di un riassunto grafico di tutte le più recenti stime della sensibilità climatica, cioè dell’aumento della temperatura atteso per un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica rispetto ai livelli pre-industriali. Sono tutte stime al ribasso, compresa quella oggetto del nostro post di oggi e che ha reso necessaria la modifica all’immagine.

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La variabilità naturale ed i modelli di circolazione generale CMIP5: confronto tra GCM e modelli armonici

Nei giorni scorsi è esplosa una violenta polemica negli ambienti di discussione climatica in seguito alla chiusura di una rivista scientifica che aveva pubblicato uno Special Issue contenente anche un lavoro di Nicola Scafetta. Non è mia intenzione tornare sull’argomento, se ne avete voglia potete andare a leggere qui il mio post e i commenti dello stesso Scafetta. Vorrei però sottolineare che una delle motivazioni addotte per la chiusura della rivista è stata quella che imputava agli editori un atteggiamento “nepotistico” e quindi potenzialmente condizionato nella scelta dei revisori dei lavori. Nel post di oggi Donato Barone ci parla di un altro articolo di Nicola Scafetta ovviamente soggetto a rigido scrutinio prima della pubblicazione. Il fatto che i lavori di Scafetta siano stati ingiustamente accomunati all’episodio, gettandovi sopra un’ombra che non meritano, sinceramente è per me che conosco Nicola come uomo e come ricercatore inaccettabile. Perciò, come fa lui, continuiamo per la nostra strada, a leggere per cercare di capire ed imparare, con buona pace di chi pensa che evitando la pubblicazione di lavori ‘sgraditi’ si possa mettere un freno alla conoscenza.

Buona lettura.

gg

 

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Chi segue con una certa assiduità questo blog conosce gli studi del prof. Nicola Scafetta e sa che egli ha elaborato un sistema di previsione dell’evoluzione delle principali grandezze fisiche che caratterizzano il clima terrestre basato sull’analisi armonica. Nel 2010 N. Scafetta  pubblicò un interessante lavoro in cui confrontava i risultati dei modelli CMPI3 con le misurazioni reali delle temperature. Il lavoro dimostrava che i modelli GCM non erano in grado di schematizzare l’effettivo andamento delle temperature terrestri come risultavano dai principali set di dati in circolazione. In particolare si faceva notare che nel corpus dei dati erano individuabili delle periodicità tra cui quelle maggiormente degne di nota riguardavano i periodi di circa 9 anni, circa 11 anni, circa 20 anni, circa 60 anni e via cantando.

 

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A volte ritornano

Ci sono cose nel clima del nostro pianeta che a volte ritornano. Non si sa bene né come né perché, ma ritornano. Tra queste, quella appartenente alla scala climatica più breve e responsabile della maggior parte della variabilità interannuale che si conosca, l’ENSO (El Niño Southern Oscillation) è la più affascinante. L’ENSO racchiude fenomeni ciclici ma del tutto aperiodici noti come El Nino e La Nina, rispettivamente fase calda e fredda (o neutra accentuata) delle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico equatoriale.

 

L’enorme quantità di calore in gioco negli spostamenti di acque a diversa temperatura attraverso l’oceano più esteso che identificano queste fasi, sono notoriamente anche associate all’occorrenza  e allo spostamento di eventi atmosferici intensi, specie per le aree a diretto contatto con quella porzione di oceano. Quando l’ENSO è in condizioni di neutralità, c’è una differenza di temperatura tra le acque del settore ovest e quello est dell’oceano accentuata in favore del settore ovest, cioè a contatto con l’India e l’Indonesia. Quando arriva La Niña, questa differenza diviene molto accentuata e con essa si accentuano i fenomeni intensi sulla costa ovest del Pacifico. Quando arriva El Niño, viceversa, questa differenza diminuisce, l’acqua calda, normalmente tenuta a ovest dagli alisei, si estende verso est, e con essa si estendono alla costa est del Pacifico gli eventi intensi. Accade inoltre, che tanto la fase fredda, quanto la fase calda, possano essere più intense di quel che normalmente accade. Ad esempio, nel 1983/85 e nel 1997/98, ci sono stati due tra gli El Niño più forti che si ricordino e che le serie storiche di questi eventi abbiano registrato. Con essi, ovviamente, sono arrivati eventi atmosferici ancora più intensi, sia in termini di precipitazioni, che di temperature, che di siccità, a seconda delle zone.

 

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Nature e climate change, la forza della ragione

Come molte altre parole il termine ‘ragione’ può avere diversi significati. Nella fattispecie di quello di cui parliamo oggi la forza della ragione non è nei contenuti, ovvero nella loro esattezza e corrispondenza alla realtà, questo lo dirà il tempo, quanto piuttosto è nell’ineluttabile destino di una rivista scientifica, forse la più quotata di tutte, forzata dai fatti ad abbandonare la teoria della catastrofe climatica prossima ventura abbracciata da tempo, per tornare a ragionare sulla realtà di quel che accade davvero.

 

E accade ormai da oltre quindici anni che le temperature medie superficiali del pianeta hanno smesso di crescere. Degli 0,2°C di aumento previsto per decade, ne abbiamo visti solo 0,04. Una quantità che per vederla ci vuole la lente di ingrandimento, una quantità che nessun termometro tra quelli usati per raccogliere i dati necessari a comporre quella media è mai stato in grado di misurare. Perciò, una quantità statisticamente non significativa, cioè indistinguibile dal rumore e dal margine di errore che accompagna quei dati.

 

Qualche anno fa si vedeva la pausa, ma poteva essere trascurata perché ben dentro il normale rumore, oggi è qualcosa che bisogna spiegare.

 

Questa frase è di Gabriel Vecchi, climatologo della NOAA, ed è solo una delle cose interessanti contenute in un editoriale uscito su Nature qualche giorno fa:

 

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Il Global Warming c’è, sopra le nuvole

L’immagine in testa a questo post, sebbene piuttosto nota a chi ci segue abitualmente, necessita di una spiegazione per i non addetti ai lavori. Tutte quelle linee colorate si chiamano in gergo ‘spaghetti’ e ognuna rappresenta l’uscita di un modello climatico globale sulle temperature della media troposfera intertropicale. La linea nera un po’ più grande è la media di tutti i modelli. I quadratini sono invece le osservazioni ricavate dai palloni sonda e i cerchietti infine quelle rilevate dalle sonde satellitari.

 

Quelli rappresentati sono i modelli utilizzati per il 5° report IPCC, forzati con uno scenario delle emissioni (rcp8.5) in cui nulla o quasi viene fatto per abbatterle, cioè con un aumento della concentrazione di CO2 molto veloce e significativo (qui sugli rcp). Appare chiaro che non c’è un modello che riesca ad avvicinarsi efficacemente alla realtà osservata, specialmente in questi ultimi tre lustri. Da notare che se la realtà delle temperature globali è ben lontana da quella prospettata dai modelli, la concentrazione di CO2, nonostante i molti sforzi comunque quasi tutti nominali e inefficaci, continua a crescere senza dar segni di rallentamento. L’unica eccezione l’hanno fatta segnare i primi due anni della crisi economica mondiale.

 

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Quando c’era il Sole sul clima

Beh, per la verità il Sole sul c’è sempre stato e, con buona approssimazione, continuerà anche ad esserci al di là della nostra capacità di…previsione. E’ che non si capisce perché ad un certo punto della storia recente qualcuno ha deciso che ne dovesse uscire.

 

Qualche giorno fa su WUWT è uscita una ‘chicca’ climatica, il commento ad un articolo pubblicato su Science nel 2001, quindi neanche così datato, in cui si dimostrava piuttosto efficacemente l’esistenza di una elevata sensibilità del clima dell’emisfero nord ad un forcing solare anche relativamente piccolo. Tale sensibilità ,vrebbe luogo per il tramite di modifiche alla circolazione atmosferica tracciabili negli indici barici più significativi, l’Oscillazione Artica (AO) e la North Atlantic Oscillation (NAO), rispettivamente rappresentativi della tendenza del flusso perturbato principale a disporsi più o meno decisamente lungo i paralleli e della posizione latitudinale dello stesso flusso. Questo ragionamento, i lettori più assidui di CM lo ricorderanno, fa il paio con le discussioni che più volte abbiamo portato avanti circa la posizione media nel lungo periodo del fronte polare, cioè della zona di separazione tra l’aria polare e l’aria delle medie latitudini, unico vero metronomo del tempo nel breve periodo e, a quanto pare, anche del clima per periodi più lunghi.

 

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Ghiaccio artico in recupero, e non solo di estensione

Quest’anno non si è parlato molto dei ghiacci artici. Dopo il minimo storico del 2012 – considerato tale per il periodo in cui si compiono misurazioni satellitari – complice una circolazione atmosferica stagionale favorevole, l’estensione minima della stagione calda 2013 è stata decisamente superiore, pur mantenendosi comunque sotto la media di riferimento. Questo, inevitabilmente, conferma il trend negativo del lungo periodo, sempre considerando come tale quello dell’era dei satelliti. Questo, a quanto pare, non fa notizia.

 

Ora, quando manca davvero poco al termine dell’autunno, escono i dati rilevati dal satellite Cryosat, i cui sensori sono in grado di investigare anche lo spessore e quindi il volume della massa ghiacciata. Sono dati molto sorprendenti, perché rivelano che nel 2013 il recupero non ha riguardato solo l’estensione superficiale, anzi, ad essere aumentato è soprattutto il volume del ghiaccio, specialmente con riferimento al ghiaccio pluriennale, che avrebbe visto un incremento di spessore che varia da 20 a 30cm. In sostanza, al 13 dicembre 2013, sono stati stimati con i dati Cryosat circa 9000 Km3 di ghiaccio, contro i circa 6000 dell’anno scorso.

 

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Il Global Warming c’è ma non si vede

Quando alcuni anni fa abbiamo iniziato a parlare del rallentamento e arresto dell’aumento della temperatura media del pianeta, la prima e immediata reazione dei fedelissimi dell’AGW è stata di scherno. Non capite niente, si diceva, quello che conta è il trend di lungo periodo, cosa volete che siano pochi anni di mancato aumento e comunque tra i più caldi. Poi gli anni sono diventati un po’ di più, e allora sono arrivate delle dotte spiegazioni con le quali, lente di ingrandimento alla mano, si notava comunque qualche millesimo di aumento; bastava, come sempre del resto, scegliere accuratamente l’inizio e la fine del periodo da esaminare. Poi gli anni sono aumentati ancora – per la cronaca lo stop all’aumento delle temperature è ancora in atto – e, seppur controvoglia, sono arrivate spiegazioni altrettanto dotte della fine che potrebbe aver fatto il calore scomparso. Stante la persistenza del forcing, ossia il continuo aumento della concentrazione di CO2, dal momento che la teoria è acquisita, se la temperatura media superficiale non aumenta l’energia deve essersi rintanata da qualche parte, per esempio nelle profondità oceaniche.

 

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Global warming catastrofico: scetticismo analitico e sociologico

Com’è stato il tempo oggi dalle vostre parti, caldo, freddo, così così? Non importa, quali siano state le condizioni atmosferiche della località dove vi trovate, tra le innumerevoli possibilità che la Natura mette a disposizione, non sarà stata colpa del riscaldamento globale. Per molte ragioni. La prima forse la conoscete se siete lettori assidui di questo blog o se semplicemente vi siete soffermati a riflettere: l’aumento delle temperature medie superficiali globali non è in alcun modo percepibile o riscontrabile nella quotidianità alla scala spaziale locale; e nemmeno a quella regionale o continentale. Non a caso la stima delle temperature medie è, appunto, globale. Ad altrettanto ampia scala spaziale sono poi riferite le proiezioni di ulteriore riscaldamento, tra l’altro sin qui largamente disattese, con i modelli di simulazione climatica che, se poco attendibili a scala globale, per spazi più ridotti sono del tutto inutili. Almeno sin qui.

 

Già questo basterebbe a tranquillizzare gli animi di quanti si sentono, come dire, un po’ assediati dai continui avvisi di catastrofe imminente così generosamente diffusi da una certa comunicazione scientifica e dalla grande maggioranza dei media. Ma per essere scettici di ragioni ce ne sono molte altre, anche analitiche e sociologiche.

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