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Tag: Piccola Età Glaciale

Tutta colpa di quei dannati vulcani!

La Piccola Età Glaciale (LIA), un periodo di significativo raffreddamento del Pianeta durato alcuni secoli a partire dalla fine del 1200 sarebbe stata innescata da un periodo di intensa attività vulcanica, con massiccia espulsione di solfati, schermatura dei raggi solari e conseguente diminuzione delle temperature. A seguire, ovviamente, aumento dell’estensione dei ghiacci, feedback positivi (cioè di ulteriore raffreddamento) dovuti all’albedo e alla circolazione oceanica e persistenza del freddo fino all’insorgere della rivoluzione industriale. Termine questo da ricordare, il perché ve lo dico alla fine del post.

Per cui, niente minimi di Maunder e Dalton nel numero delle macchie solari, niente riduzione dell’attività solare, niente forcing astronomico quindi a determinare il raffreddamento. Le cause sono state stocastiche, appunto, vulcaniche.

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Naufragar m’è dolce in questo mare

Sembra fosse così nel Periodo Caldo Medioevale. Si poteva anche cadere in acqua senza congelare. Non che adesso le cose vadano in modo diverso, ma a quanto pare, anche le SST – leggi temperature di superficie del mare – un migliaio di anni fa erano un po’ più alte di adesso.

Del resto, se lo era la temperatura dell’aria, poteva essere più freddo il mare? Difficile a dirsi in effetti. Ad ogni modo adesso lo sappiamo. La ricostruzione la dobbiamo ad un paper uscito pochi giorni fa:

Multidecadal variability and late medieval cooling of near-coastal sea surface temperatures in the eastern tropical North Atlantic

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Il Medioevo in Patagonia

Una delle cose che pare siano scaturite dalla rianalisi delle serie di temperatura sulle terre emerse operata dal Berkeley Group, è che in un contesto di trend in aumento a scala globale, le oscillazioni a scala spaziale più limitata appaiono in molti casi in contro-tendenza. Questo non stupisce, dal momento che le dinamiche del clima conservano ancora molti segreti, specie in termini di variazioni di medio periodo.

Il discorso appare ancora diverso a scala locale. Tuttavia, è per certi aspetti stupefacente come, anche con queste premesse, ci siano alcune informazioni tipicamente ‘locali’ che recano indelebili i segni di quelle che si ritiene siano delle variazioni climatiche di respiro globale. E’ il caso del ghiacciaio Jorge Montt in Patagonia. In questo studio

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La moderna ‘piccola’ Età Glaciale

E’ sulle news di Nature Geoscience, e di lì ha già fatto il giro del mondo. Una notizia che naturalmente si è trasformata passando di media in media. C’è chi ne ha sottolineato il rinnovato sapore catastrofico, pur con un intrigante cambiamento di segno rispetto alla norma; chi ha preferito concentrarsi sul fatto che in fondo si tratta di previsioni stagionali o annuali, pratica in cui chi ha diffuso questa news non si è proprio distinto negli ultimi anni; e c’è chi l’ha presa per quello che è, un probabile passo avanti nella direzione giusta per comprendere i complessi meccanismi del clima – o almeno una parte di essi- nel medio e lungo periodo climatico.

Si parla del forcing esercitato dal Sole sul sistema. Finalmente, dopo un lungo periodo di vero e proprio oscurantismo, la possibilità di disporre di misurazioni accurate di una componente importante della radiazione solare, la radiazione ultravioletta, ha permesso che di accendere la luce. Per anni infatti, le simulazioni climatiche sono state fondate sul principio che l’attività solare, intesa esclusivamente come TSI (Radiazione Incidente Totale), non avesse alcun impatto tangibile sulle dinamiche del sistema. Stabile o quasi la TSI, molto variabile il clima, i due sistemi non potevano essere legati.

Di qui la pratica di inserire la componente solare nei modelli di simulazione climatica come costante. Grazie alle misurazioni ottenute dal programma satellitare SORCE, sono state rilevate delle oscillazioni della radiazione ultravioletta che arriva dal Sole cinque volte maggiori di quanto si riteneva possibile. Inserendo questi dati in un modello climatico, ne è venuta fuori una ricostruzione a scala stagionale dei pattern atmosferici dell’area del nord Atlantico molto più fedele alle osservazioni di quanto fosse mai accaduto. In particolare, i periodi di scarsa attività solare e di conseguente forte diminuzione della radiazione UV, riproducono il pattern della circolazione atmosferica della NAO (Oscillazione del Nord Atlantico) negativa, un modello circolatorio che genera l’abbassamento di latitudine della rotta delle perturbazioni atlantiche, con relativo frequente interessamento dell’Europa mediterranea e con aria fredda di origine polare che si spinge con maggiore frequenza sul settore settentrionale del continente.

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