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Tag: Fonti fossili

Le transizioni energetiche: sogni e realtà.

Dopo aver letto il post di G. Guidi “Protocolli, emissioni e crisi, se vi piace così…” del 22/04/2014, ho avuto occasione di leggere un interessante articolo a firma di Vaclav Smil pubblicato sul numero di “Le Scienze” di aprile 2014. Vaclav Smil è professore emerito presso l’Università di Manitoba ed è uno dei maggiori esperti mondiali di problemi energetici e non solo (chissà perché le voci fuori dal coro del consenso sono quasi esclusivamente di professori et similia “emeriti”: forse perché non hanno più necessità di pubblicare o chiedere contributi? 🙂 )

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La ‘Passione’ delle rinnovabili

Finalmente si sta capendo perché le fonti energetiche alternative a quelle tradizionali siano definite rinnovabili oltre al fatto di non essere derivate da materie prime ‘finite’. Si chiamano così perché rinnovano per l’ennesima volta un problema. Il mercato ha le sue regole, prima tra tutte quella della domanda e dell’offerta. Spesso ci si arriva attraverso percorsi tortuosi e tutt’altro che privi di furbi nascosti dietro l’angolo, ma alla fine il conto deve tornare, non si può pretendere di imporre al mercato di assorbire qualcosa che è diversamente disponibile a costi inferiori e che, per di più, non garantisce il risultato finale. Se si contravviene a questa regola c’è un problema.

 

Questa regola è stata – ed è – largamente disattesa nel settore delle rinnovabili e nelle norme di legge che ne hanno incoraggiato e sostenuto l’esplosione. E ora il mercato si riprende il maltolto. Qualche giorno fa dalle pagine della GWPF è stato rilanciato un commento uscito sul Financial Post:

 

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Diavolo di un Hansen, e adesso?

La notizia è di pochi giorni fa, James Hansen, il controverso scienziato a capo da anni del team della NASA che gestisce il dataset delle temperature medie superficiali globali per conto dell’agenzia, ha deciso di andare in pensione. Tuttavia, nonostante i 46 anni di lavoro alle dipendenze del governo federale, non sembra sia stata l’anagrafe a dettare la scelta. Le ragioni sono infatti deontologiche. Da anni Hansen ha deciso di indossare un doppio cappello, il primo, quello da scienziato, gli stava evidentemente troppo stretto, e così ha deciso di calzare quello dell’attivista, del sostenitore senza se e senza ma della guerra al riscaldamento globale e al clima che cambia e, quindi, a tutto ciò che produce CO2, in primis l’odiato carbone che garantisce energia abbondante ed a basso costo a gran nparte del mondo, USA compresi.

 

E così, dopo anni vissuti sul filo del rasoio, con non poche accuse di scarsa imparzialità nelle sue determinazioni scientifiche e dopo numerosi arresti in seguito alla partecipazione a manifestazioni di protesta ambientale di vario genere, Hansen ha finalmente deciso di essere un attivista a tempo pieno. Dal punto di vista etico la scelta è sacrosanta, tardiva forse, ma sacrosanta. Quando si crede tanto intensamente in qualcosa è giusto cercare di perseguire i propri obbiettivi e per farlo bisogna essere liberi da fardelli isituzionali se questi si scontrano così spesso con le stesse istituzioni che ti pagano lo stipendio.

 

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Problemi spinosi spiegati male

Qualche giorno fa, riprendendo una pubblicazione dell’Earth Policy Institute, l’Ansa ha lanciato l’agenzia che segue:

 

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A fossili fondi 3 volte superiori a rinnovabili

Epi, nel 2011 ben 620 miliardi di dollari contro appena 88

ROMA – Troppi fondi alle energie fossili: secondo l’Earth Policy Institute (EPI), che si basa sui dati della International Energy Agency (IEA) nel 2011 alle fonti convenzionali sono andati ben 620 miliardi di dollari, mentre alle rinnovabili appena 88. L’Epi nel sottolineare come i combustibili fossili godano di aiuti pubblici tre volte superiori alle energie alternative, punta il dito contro le politiche dei governi che a parole combattono il cambiamento climatico e nei fatti erogano sussidi alle fonti maggiormente responsabili.

Secondo le indagini gli Stati, con in testa Iran, Arabia Saudita, Russia, India e Cina, avrebbero aumentato nel 2011 del 20% i sussidi pubblici ai combustibili fossili a 623 miliardi di dollari, di cui 100 alla produzione e 523 al consumo. I sussidi alle fossili hanno assunto varie forme riconducibili a due tipologie: gli incentivi alla produzione (franchigie e altri sgravi fiscali a chi estrae petrolio, gas e carbone ad esempio) e incentivi al consumo (sconti sulle bollette o sul pieno alla stazione di rifornimento). Resta il petrolio la fonte piu’ ”sostenuta” con 285 miliardi di dollari. Segue il gas con 104 miliardi, mentre si conferma la ”cenerentola” il carbone con 3 miliardi di dollari. In testa ai paesi mecenati delle fonti sporche sono gli stessi produttori, Emirati arabi, Kuwait, Katar e Arabia Saudita in testa.

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Abracadabra

Lo scorso 29 novembre Roberto Vacca ha affibbiato l’etichetta (motivandola) di “wishful thinking” (pensiero distorto per confermare desideri di eventi improbabili), alla proiezione del World Energy Outlook dell’IEA in cui, tra le altre cose, si prospetta un ricorso alle risorse rinnovabili pari al 33% del fabbisogno globale per il 2035.

Qualche giorno fa è uscito su Science Daily il commento ad uno studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato sul Journal of Power Sources con questo titolo:

Cost-minimized combinations of wind power, solar power and electrochemical storage, powering the grid up to 99.9% of the time

Ci vogliono quasi 40 dollari per leggere il lavoro, per cui, dati i tempi di magra, per ora ci dobbiamo accontentare di quanto riportato su SD. E pare proprio che il wishful thinking continui, perché il limite temporale è addirittura più breve di quello prospettato dall’IEA, si parla del 2030, ma le mirabilie delle risorse rinnovabili sarebbero triplicate. Il segreto sarebbe nell’uso di reti interconnesse su ampia scala spaziale – nella fattispecie il modello impiegato lavora su di un’area che copre circa 1/5 del fabbisogno energetico degli USA – nel mix di risorse rinnovabili impiegato – eolico off-shore, eolico sulla terraferma e fotovoltaico – ma, soprattutto, in una acquisita capacità di immagazzinamento dell’energia che può essere ricavata dalle fonti rinnovabili, per loro natura fonti discontinuee, in batterie o in celle a combustibile, cioè serbatoi di idrogeno.

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Mirror posting – Fotovoltaico, il grande inganno

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Questo articolo è uscito in originale su “La Nuova Bussola Quotidiana“.

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di Fabio Spina

La notizia di questi giorni è che il progetto faraonico dei pannelli solari nel deserto nord africano, detto Desertec, deve far fronte a sempre maggiori difficoltà e le illusioni dell’esordio sembrano dover cominciare a fare i conti con la realtà. A gelare l’entusiasmo dei suoi partecipanti sono la crisi economica mondiale, i cambiamenti politici seguiti alle rivoluzioni della ex-“primavera araba” ed il mercato dell’anidride carbonica in agonia.

Si è ritirata per prima la Spagna, lo stato delle casse sembra non permettere l’assorbimento dei costi derivanti dal passaggio di ulteriore capacità sull’elettrodotto sottomarino esistente (capacità tra 400 e 1000 MW) che collega Marocco e Spagna, attraverso lo stretto di Gibilterra.  Su tale elettrodotto avrebbe dovuto passare tutta l’energia prodotta da Desertec. Più recentemente si è ritirato il gruppo industriale tedesco Bosch, seguendo di qualche settimana l’uscita di scena del conglomerato Siemens, tedesco pure lui, che ha previsto di mettere in liquidazione tutte le sue attività legate al settore solare. “Abbiamo deciso di non portare avanti la nostra partecipazione in Desertec l’anno prossimo (…) a causa di una situazione economica più difficile”, ha spiegato un portavoce del gruppo Bosch. Desertec ora si ferma e sta cercando nuovi soci, spera che i cinesi si facciano avanti.

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