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Tag: Eventi intensi

Che succede se qualcuno cambia idea?

Già, cosa succederebbe se dovessimo scoprire che il clima è molto meno sensibile alle ‘spallate’ dell’azione antropica e se questa convinzione dovesse far presa sul mainstream? Domanda del secolo, probabilmente, ma non così peregrina.

 

Mettiamola in questo modo. Negli ultimi anni si sta assistendo all’implementazione o, molto più frequentemente alla progettazione, di massicce politiche di mitigazione del riscaldamento globale. Il tutto assumendo, probabilmente erroneamente o quanto meno perché in possesso di informazioni parziali, che questo sia stato interamente di origine antropica. Nessuna di queste politiche ha avuto successo in termini di riduzione delle emissioni a livello globale. Alcuni, pochissimi, le hanno appena scalfite, altri, quasi tutti, le hanno aumentate. Nonostante questo, con grande perplessità da parte del mondo scientifico, che ha evidentemente riposto un po’ troppa fiducia nelle simulazioni e proiezioni climatiche, le temperature hanno smesso di crescere.  Di conseguenza, sebbene con fatica, è nato un dibattito piuttosto acceso circa le origini di questo sia pur temporaneo possibile ridimensionamento del problema.

 

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Uragani, statistiche e classifiche

L’immagine in testa a questo post rappresenta un collage dell’attività dei cicloni tropicali nel corso del 2013. Dati preliminari e passibili di modifiche, che tuttavia difficilmente potranno alterarne il significato in modo consistente. Viene dal blog di Roger Pielke jr che, sempre con gli stessi dati preliminari, ha aggiornato quanto pubblicato l’anno scorso sulla stessa materia. In pratica, il dataset e le dinamiche dell’attività dei cicloni tropicali che hanno ‘toccato terra’ dal 1970 si arricchisce di un anno. La notizia è che quello che si avvia a conclusione è stato a livello globale e per questi specifici eventi un anno sostanzialmente nella media (15 ‘atterraggi’, media 14.7 e 5 di eventi intensi, media 4.7).

 

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Atlantico: Uragani non pervenuti

“E’ stata davvero un tipo di annata molto strana nell’imprevedibile mondo dei cicloni”. Così tal Jeff Masters, esperto di uragani a Weather Underground. Ad appena un mese dalla fine della stagione degli uragani in Atlantico, stagione che nominalmente termina il 30 novembre, una sola tempesta tropicale è arrivata ad interessare la Florida e in atlantico si è visto un solo uragano, giunto appena all’intensità della categoria 1, ossia il primo gradino della scala di riferimento.

 

Per cui, a meno che l’ultimo mese della stagione, statisticamente quello meno significativo, non presenti delle sorprese, il record di giorni ‘a secco’ di uragani per le coste USA è destinato a salire come prima non era mai accaduto. Eventi meno frequenti ma più intensi? Non si direbbe, dato che anche l’indice normalmente utilizzato per valutarne la potenza (Accumulated Cyclone Energy – ACE), è appena al 33% della norma.

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Una semplice domanda…a cui non giungerà risposta

L’amico Fabrizio Giudici mi ha segnalato un articolo uscito tra le inchieste del quotidiano la Repubblica. Nel pezzo si lamenta l’arresto dei provvedimenti normativi con cui si dovrebbe cercare di fronteggiare il disfacimento climatico giudicato ormai in atto sul nostro territorio.

 

Uragani nel Mediterraneo e alluvioni lampo Senza fondi il piano per il clima impazzito

 

E’ un classico caso di consulenza scientifica verso i decisori, ossia nei confronti di chi fa le policy. Nell’occhiello una parte ‘saliente’ del pezzo. Vediamola:

 

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Riflessi incondizionati…glaciali

Agosto, sole, mare, caldo (e temporali!). Il pensiero va inevitabilmente a qualcosa di rinfrescante, possibilmente con ghiaccio. Dev’essere per questo che negli ultimi giorni si fa un gran parlare di ghiaccio negli ambienti meteo-climatici. Qualche giorno fa è entrata in campo anche la NASA, con il suo solito stile, ovvero, un comunicato stampa:

 

Arctic Sea Ice Update: Unlikely To Break Records, But Continuing Downward Trend

 

Cioè, difficilmente vedremo un altro minimo storico come quello del 2012, ma la tendenza alla diminuzione nel lungo periodo continua. Di questi tempi anche due granitiche certezze a buon mercato come queste hanno il loro pregio. Infatti, che il l’estensione del ghiaccio marino artico attualmente sotto la media di lungo periodo ma ben dentro le due deviazioni standard possa “crollare” nel giro delle 2/3 settimane che ci separano dal minimo annuale è quasi impossibile; che il trend sia immutato è scontato, perché gli esperti di clima e dintorni ci insegnano che anche se il ghiaccio quest’anno avesse fatto il botto, magari tornando in media o addirittura superandola, il trend di lungo periodo sarebbe stato immutato, sia per definizione che per la matematica.

 

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vorrei trovare / parole nuove ma piove piove (Piove ‘Ciao Ciao Bambina’- Domenico Modugno 1959)

Il maggio più freddo dal 1991” titola il “Corriere della Sera” cercando di far notizia. Notizia che non dovrebbe esserci visto che ormai anche alle elementari si dice che il clima si calcola su almeno 30 anni. Si prevedeva che le precipitazioni per il “global warming” dovevano aumentare d’intensità e diminuire nei valori cumulati, tropicalizzazione e desertificazione erano i termini giornalistici per descrivere i due fenomeni. Ora che invece sono aumentate le cumulate, la colpa non è più del “global warming” ma del “climate change”?

 

Per chiarezza diciamo che a livello di cambiamento climatico globale la rara primavera di quest’anno non significa nulla come non avrebbero dovuto significar nulla le ondate di calore dello scorso anno. Ma ormai l’informazione è un prodotto, e allora sotto con la prossima catastrofe per richiamare il lettore. La prossima è “Europa sott’acqua”,  il Danubio rischia di esondare catastroficamente a causa di una primavera pazza. Molti penseranno: certo che la concentrazione di CO2 a 400 ppm ne sta creando di problemi, come saranno stati belli i periodi in cui l’industrializzazione non aveva rovinato il clima, periodi in cui la frequenza di tali fenomeni era minore dell’attuale.

 

Ma sarà proprio così? nel rispetto di quanti stanno subendo la tragicità degli eventi di questi giorni, vale forse la pena cercare di capire se questi sono effettivamente ascrivibili a “fatti nuovi” o piuttosto se siano evenienze con cui purtroppo si è in alcuni casi destinati a convivere. Sulla rivista History of Meteorology è stato pubblicato nel 2005 un articolo molto interessante dal titolo:

 

The Danube Floods and Their Human Response and Perception – (14th to 17th C)

 

Il pezzo, ponendosi l’obbiettivo di indagare proprio il carattere, la frequenza di occorrenza e la gravità degli eventi di piena del Danubio nei secoli per i quali non sono disponibili informazioni oggettive, ovvero misurazioni attendibili, conduce un’analisi anche sociologica della percezione di questi eventi, in particolare per quella che viene definita la piena del millennio occorsa nel 1501. Quel che ne risulta, è che diversamente da quanto riscontrato per altro genere di eventi catastrofici, per gli eventi alluvionali non si riscontrano nei documenti storici spiegazioni di carattere religioso, in qualche modo quindi ascrivibili al soprannaturale, quanto piuttosto un atteggiamento di consapevolezza e di inevitabile adattamento a questi eventi, che dunque – come del resto conferma anche la storia recente – dovevano avere tanto una frequenza piuttosto elevata, quanto conseguenze anche ben più gravi di quelle di questi giorni.

 

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L’umidità fa male alle ossa…dei catastrofisti

Per far camminare le auto ci vuole il carburante, normalmente fossile. Molto più raramente e, più specificatamente negli ultimi tempi, si vedono in giro auto che impiegano la propulsione elettrica. Se ibride, con l’ausilio – e molto minor consumo – sempre di combustibili fossili, se elettriche pure, con energia fossile più o meno pura anche in quel caso, perché l’elettricità deve comunque essere prodotta. Insomma, per avere a disposizione dell’energia di movimento, ci vogliono grandi quantità di energia termica. E, purtroppo, quella immessa nel sistema è sempre molto superiore di quella utilizzata con efficienza.

 

Il clima e il tempo atmosferico funzionano allo stesso modo. Il sistema riceve energia termica e si mette in moto, producendo gli eventi atmosferici. In atmosfera il vettore di questo calore è il vapore acqueo, che però, essendo anche il più potente dei gas serra, ha anche un ruolo determinante nel modulare la quantità di calore disponibile. In modo molto poco ortodosso, si potrebbe dire che il vapore acqueo decide “da solo” quanto calore avrà da trasportare e quanto ne renderà disponibile per far muovere gli eventi atmosferici. Ma, con le temperature che aumentano o, meglio, sono aumentate, in atmosfera c’è maggiore disponibilità di vapore acqueo, quindi più energia disponibile e più effetto serra, quindi anche temperature che dovrebbero aumentare ancora.

 

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Resilienza tempi di ritorno e memoria corta

Su queste pagine abbiamo affrontato il tema degli eventi estremi moltissime volte, forse troppe. Eppure è molto difficile evitare di tornarci su, perché gli input che arrivano sono davvero tanti. Per esempio qualche settimana fa abbiamo visto come si stia iniziando a parlare di obbligatorietà della copertura assicurativa dalle calamità naturali. Un discorso che da noi è veramente in embrione, malgrado qualche operatore del emrcato assicurativo si stia già muovendo e malgrado in altri paesi il percorso, pur difficile, sia in effetti già tracciato.

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Ricevuto da un lettore – Il dissesto idrogeologico

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Giuseppe Gisotti, geologo, mi ha mandato la copertina del suo libro insieme ad una breve nota che ne riassume i contenuti alla quale, con il suo permesso,  ho aggiunto alcune considerazioni in ordine al fattore meteorlogico.

Buona lettura.

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Dissesto Idrogeologico

di Giuseppe Gisotti

Abbiamo ottimi ingegneri, geologi, architetti, agronomi, progettisti e pianificatori, ma ciò non impedisce lo squallore di tante costruzioni, di tanti quartieri urbani, lo sconquasso del paesaggio, il dissesto idrogeologico con frane, alluvioni, subsidenza artificiale, ecc.; il disordine urbano e territoriale è sotto i nostri occhi.
Cosa fare? Cosa suggerire?
Bisogna abbandonare il concetto dello sviluppo per lo sviluppo, della crescita solo economica e abbracciare il concetto della sicurezza e della bellezza innanzi tutto. Rifacciamoci a Vitruvio, il quale diceva che i parametri fondamentali dell’architettura erano la firmitas, la utilitas e la venustas, cioè  la struttura statica, ossia la sicurezza, la funzionalità e l’estetica, ossia la bellezza.
Noi discutiamo di eventi che mietono vittime, provocano danni gravissimi, processi che si ripresentano quasi regolarmente e colpiscono spesso gli stessi luoghi. Eppure si fa poco per prevenirli, per evitarli, o almeno per limitare il numero delle vittime e i danni più gravi.
Perché? Si parla da molto tempo, specialmente dall’alluvione del 1966, di investire più risorse economiche nella prevenzione e riduzione del rischio, ma queste risorse sono sempre insufficienti, come faceva rilevare la Commissione De Marchi nei primi anni ’70.

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Il Mantra (sbagliato) dell’AGW

E’ autunno, cadono le foglie, ma arrivano anche le piogge. Acqua che a quanto pare e per quanto prospettato dagli scenari climatici, dovrebbe essere sempre più irregolare, nello spazio e nel tempo.

Wet gets wetter dry gets drier, riassumono climatologi del calibro di Chou, Trenberth, Held e Soden, ripresi poi anche da Susan Solomon della NOAA, in dichiarazioni che abbiamo anche commentato.

Aumento dunque della variabilità spaziale e temporale delle piogge: siccità, alluvioni, temporali forti et similia. Un’affermazione forte quella riportata sopra, che ha già comunque vacillato anche di recente, in un paper che ha individuato l’inattesa ‘capacità’ delle terre più inaridite nel breve periodo ad attirare le piogge più che ad allontanarla.

Eppure questo mantra, mediaticamente molto efficace, rispunta fuori ad ogni evento piovoso appena più intenso. Studiosi, opinionisti, politici e imbonitori di ogni genere lo sostengono convinti, manifestando quel particolare consenso che si riassume nella frase di Abba Eban: “Consenso significa che tutti sono d’accordo nel dire insieme quello che nessuno individualmente crede”.

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