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Tag: Cambiamenti climatici

Let the sky fall

Ho aggiunto un’imamgine al post, andate sotto.

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Let the sky fall è il titolo del brano di Adele inserito nella colonna sonora dell’ultimo film di James Bond, decisamente appropriato all’argomento di questo post. Il primo verso recita “This is the end” e mi immagino moltitudini di “esperti climatici” costernati che lo intonano malinconicamente guardando l’orizzonte di una catastrofe climatica che si allontana.

Siamo ancora nell’ambito della bozza del prossimo report IPCC pubblicata da WUWT. E il cielo cade. Cade sulla catastrofe climatica, cade sulla sua trasposizione nella realtà, gli eventi estremi, cade su quel mostro senza forma e senza sostanza che qualcuno chiama politiche climatiche, cade – e forse qualcuno chiederà indietro il maltolto – sulla valanga di soldi che sono stati buttati al vento negli ultimi anni.

La bozza del quinto report IPCC, riprendendo quanto riportato nell’altro report espressamente dedicato agli eventi estremi (SRREX), rovescia completamente le affermazioni del quarto report IPCC del 2007. Trend non significativi o assenti per siccità, alluvioni e cicloni tropicali, trend assenti o non significativi per i cicloni extra-tropicali intensi e così via. Ma l’aspetto più interessante è che queste affermazioni sono in linea con la letteratura scientifica ad oggi disponibile. Il problema è che quelle contenute nell’AR4 non lo erano e sono anni che ne discutiamo. Ognuno la veda come crede, anche perché c’è da scommettere che qualcosa cambierà nella versione finale, come proprio l’IPCC fa sapere commentando il rilascio di queste indiscrezioni, ma il clima pare sia tornato ad essere quello di sempre, pericoloso per definizione, non per mano maldestra dell’uomo.

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Finalmente hanno visto la luce

Folgorata come i fratelli “Joliet” Jake e Elwood Blues dell’indimenticabile capolavoro di John Landis. La scienza del clima ha visto la luce, anche se, come accade ormai da anni, riesce a farlo solo attraverso il buco della serratura. In questa materia si continua a procedere infatti più per atti più simili allo spionaggio ed al controspionaggio che ad un sano e aperto dibattito che aiuti ad aumentare il livello di conoscenza del funzionamento del sistema. Questo accade perché gli aspetti politici delle ipotizzate conseguenze di una deriva anomala delle dinamiche climatiche pesano ormai come macigni su ogni livello di discussione.

Ipotesi di future Carbon Tax, impiego di immani risorse finanziarie in politiche di mitigazione e di revisione dei sistemi di approvvigionamento energetico, aspetti puramente politici, la fanno da padrone in quello che invece dovrebbe essere un puro e semplice scambio di opinioni scientifiche. Del resto, l’organismo per eccellenza cui è delegato il compito di riassumere le posizioni che dovrebbero definire i confini dello stato dell’arte della conoscenza scientifica, l’IPCC, è a tutti gli effetti un organismo politico.

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Cicli e risorse, per riflettere un po’.

di Guido Botteri

Le risorse NON si distruggono, ma sono (generalmente) cicli.  Tutta la nostra vita è piena di cicli, come diceva qualcuno due mila anni fa, parlando del seme che dà vita alla pianta e della pianta che fa nascere i semi.

Le risorse sono anche il lavoro dell’uomo, le sue tecnologie (che sono sempre in evoluzione), i suoi strumenti, sempre nuovi man mano che il progresso avanza.

Le risorse NON sono dunque qualcosa che esista di per sé stesso, e che venga dissipato dall’uomo, come pensano i maltusiani,

ma

sono (anche) un prodotto dell’uomo. Come i prodotti agricoli. Se l’uomo non ne producesse in quantità con le sue tecnologie e i suoi strumenti, la produzione spontanea di prodotti agricoli sarebbe minima e non potrebbe sfamare che un piccolissimo numero di uomini.

Non è quindi la “distribuzione” dei prodotti agricoli il più importante dei nostri problemi, ma la loro produzione.

La carica elettrica era conosciuta fin dai tempi dei Greci antichi (da loro viene il nome “elettricità”), ma finché l’uomo non ha capito quello che poteva dargli, l’elettricità ha continuato a scorrere senza che l’uomo l’usasse. Né finirà perché l’uomo la usa, perché l’elettrone è un costituente dell’atomo. L’energia elettrica è dunque una costituente dell’universo non eliminabile, non consumabile (come fonte). Al solito, quello che conta nelle fonti energetiche non è che esista l’energia, ma i costi per renderla utilizzabile dal consumatore.

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Anatomia di una notizia seria e di come la stessa sia stata deformata da una testata di divulgazione scientifica

di Luigi Mariani

Il caffè arabica (Coffea arabica L.) costituisce il 62% circa della produzione mondale di caffè, il resto essendo rappresentato dal suo parente prossimo caffè robusta (Coffea canephora Pierre ex A.Froehner). Della produzione mondiale di arabica l’85% è di origine sudamericana (di cui Brasile=39%, Columbia=18%) mentre solo il 10% è di origine africana ed il 5% di origine asiatica (info qui). Il centro genetico del caffè arabica si colloca sugli altipiani dell’Africa equatoriale orientale (soprattutto Etiopia e Kenya), ove è ancor oggi diffuso il progenitore selvatico delle varietà coltivate.

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La forzante solare è in grado di influenzare il clima terrestre?

Una delle discussioni più appassionanti nell’ambito del dibattito sul clima, riguarda l’influenza del Sole sul sistema climatico terrestre. In particolare si dibatte circa l’influenza sul clima terrestre dell’intensità dei massimi solari e della profondità dei minimi solari. Secondo alcuni la PEG o LIA, cioè il periodo freddo che ha caratterizzato gli anni compresi grossomodo tra il 17° secolo e gli inizi del 19° secolo, fu originata da una lunga serie di minimi solari meglio conosciuti come Minimo di Maunder.

Molti climatologi danno poco credito a questa attribuzione e, probabilmente a ragione, chiamano in gioco molte altre cause. Alcuni hanno cercato addirittura di negare l’esistenza della PEG o di ridimensionarla a fenomeno locale e, quindi, di scarso interesse globale. A mio modesto parere “in medio stat virtus” che, tradotto, significa che la PEG ha avuto molte concause tra cui anche il Sole. Dello stesso avviso, per esempio, sono gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista THE HOLOCENE lo scorso mese di ottobre:

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Modello N°5: Sandy

Nell’indimenticabile film di Roberto Benigni non era Sandy ma Giuditta, ma sempre di geniale parodia della moda si trattava. La moda, da non crederci, è l’ultima frontiera dell’attivismo climatico. Attenzione, non parlo di tessuti ecocompatibili, riciclaggio di materiali o altri stratagemmi comunicativi molto chic per alzare l’appeal della produzione, parlo di moda del linguaggio.

Da Science Daily:

Climate Science: Trends in Use of Words in Scientific Studies May Impact Public Perceptions.

E’ un commento ad uno studio pubblicato su PLOS ONE, rivista scientifica open access ad ampio spettro:

Word Diffusion and Climate Change (pdf)

La prima firma è Alexander Bentley (non ha niente a che vedere con le auto, purtroppo), docente di archeologia e antropologia all’università di Bristol. L’abstract recita così:

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Uhm…Qualcuno si sentirà molto stupido

Non facciamo nomi, per decenza e perché non basterebbe lo spazio che dedichiamo ai nostri post. Ma sappiamo che CM viene letto da tanti che la pensano come noi e tanti altri che invece hanno altre opinioni. Tra questi, molti chiacchieroni di professione, proprio come quelli che negli ultimi giorni si sono stracciati le vesti – e ci hanno letteralmente torturato  – con iperbolici collegamenti tra la tempesta tropicale, poi uragano, poi post-tempesta tropicale e infine ciclone extra-tropicale Sandy e il riscaldamento globale.

Il comune denominatore delle iperboli di cui sopra è molto semplice: da un mare più caldo nascono tempeste più forti e più distruttive; la colpa, ovviamente, è del riscaldamento globale.

Non c’è bisogno di essere un esperto per saperlo, la temperatura delle acque di superficie e di quelle nello strato immediatamente inferiore deve raggiungere valori prossimi a 27°C per costituire una delle condizioni per la formazione di un ciclone a cuore caldo, cioè di una tempesta tropicale che eventualmente può evolvere in un uragano.

Beh, magari arà stato così per tutte gli altri soggetti a cuore caldo degli ultimi anni, ma per Sandy, originatasi nel Golfo del Messico e mossasi attraverso i Caraibi lungo la costa est degli USA prima di toccar terra nei pressi di New York, l’intera area di oceano interessata dalla sua traiettoria, non ha subito alcuna variazione di temperatura per gli ultimi…70 anni. Sono tanti, sono quelli che separano Sandy dal grande uragano di categoria 3 (vale a dire tre gradini sopra Sandy) che fece 600 morti a New York.

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Monsoni e global warming, un futuro oscuro ma anche no

Direttamente dal “Dipartimento catastrofi in agguato ma anche no”, un paio di input di letteratura scientifica in materia di monsoni.

Al primo sono arrivato due giorni fa attraverso Science Daily, un paper uscito su Environmental Research Letters:

A statistically predictive model for future monsoon failure in India

Mentre il secondo, appena più datato, l’ho trovato sul blog di Roger Pielke sr e viene dai PNAS:

Indian Ocean warming modulates Pacific climate change

Scopriamo subito le carte del primo. Dalla fine di questo secolo (ancora in fasce) e per tutto quello che seguirà, si potrà dire addio al monsone indiano, con tutto quello che questo comporta in termini di impatto per la popolazione del continente asiatico. Infatti, notoriamente, la parola monsone riferita ai mesi estivi, quelli che caratterizzano la stagione piovosa e la separano da quella invernale arida e fredda, significa “ritorno alla vita”. Perciò, niente monsone, niente vita.

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E…hop, California Dreamin’ sul carro dell’AGW!

E’ incredibile quanta gente possa contenere il carro del maltempo. Da quando l’uragano Sandy si è formato a quando ha toccato con precisione svizzera la costa orientale USA in forma di Tempesta Tropicale, praticamente tutti i clima-catastrofisti del pianeta hanno sgomitato per dire la loro. Naturalmente senza aggiungere neanche un grammo di grano salis alla discussione, ma certamente acquisendo grande popolarità in un contesto mediatico sempre più schizofrenico e sempre più povero di contenuti.

Nessuna meraviglia ovviamente, ma che qualcuno potesse ‘soffrire” dei complessi di inferiorità per non essere esposto ad eventi come quelli recenti sinceramente mi pare un po’ troppo. Succede in California, la terra del surf e della bella vita, ma, purtroppo, non è di questo che ci tocca parlare.

In California c’è una università e, malgrado qui nella vecchia Europa l’informazione possa sfuggire ai più, ci sono anche delle belle montagne. Si chiama Sierra Nevada la catena montuosa in questione e il nome la dice tutta: malgrado la latitudine non proprio altissima, su quelle montagne ci fa parecchia neve. Questa è da sempre una fortuna, perché quella neve costituisce una riserva d’acqua che con la buona stagione si rivela preziosa per territori altrimenti piuttosto aridi.

Ebbene, su questo argomento su Science Daily si comincia così:

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L’esercizio (dannoso) del consenso

Alcuni giorni fa si è tenuto presso l’Università di Lecce il primo di una serie di tre seminari organizzati nell’ambito di una iniziativa dell’associazione “Formicaio”. Obbiettivo dichiarato quello di fare comunicazione scientifica su di un ampio spettro di argomenti tutti riconducibili al tema dei cambiamenti climatici.

Il primo evento, che non ho avuto il piacere di poter seguire, è stato pubblicizzato on line dalle pagine di Sud News, con un articolo che ha tutta l’aria di essere un comunicato stampa. Dato che non sono riuscito a trovarlo ingiro però, è necessario partire dal presupposto che si tratti piuttosto di farina del sacco di chi lo ha firmato. E questo è un bene, perché in realtà si tratta di una comunicazione di grande effetto ma di scarsissimo contenuto – eccezion fatta, ovviamente per le coordinate dell’evento, unica informazione solida rilasciata.

Prima di continuare per cortesia andate a leggerlo.

Fatto?

Bene, come avrete visto c’è proprio tutto, dallo scenario spaventoso, al collegamento con gli eventi estremi, ai temi della decrescita (incarnati dall’associazione proponente), al dito puntato contro il genere umano e contro il bieco negazionismo. Ma, soprattutto, c’è il consenso: “La comunità scientifica ha riconosciuto la responsabilità principale di questi fenomeni nell’antropizzazione dell’atmosfera“.

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