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Tag: Temperature

Periodicità nei dati NOAA

Ho pensato di calcolare gli spettri di potenza dei dati NOAA (GHCN-M 3.1.0) variabili di mese in mese ( qui e qui) per vedere se le (piccole, ma sistematiche) variazioni dei dati potessero modificare il valore o la presenza di periodi già trovati da Scafetta (2010) di cui riporto la Tabella 1, pag.958, con i periodi su 9 dataset.

 Ho calcolato gli spettri con MEM (Metodo della Massima Entropia, da Press et al., 1986), utilizzando un numero di poli pari alla metà del numero dei dati (Scafetta, 2011, Supplement file, Sect.3) e ho rappresentato i risultati per i dati NOAA relativi a novembre 2011 e marzo 2012(*) su intervalli di periodi 0-300, 0-100 e 0-40 anni.

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Il Contrapasso di Eolo

Su Nature Climate Change è apparso un nuovo paper:

Impacts of wind farms on land surface temperature – Zhou et al., 2012-04-30

Si legge nell’abstract (neretto aggiunto):

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L’industria eolica ha sperimentato una considerevolmente rapida espensione di capacità negli anni recenti e questa veloce crescita si prevede continui in futuro. Nel convertire l’energia cinetica del vento in elettricità, le turbine eoliche modificano gli scambi superficie-atmosfera e il trasferimento di energia, di momento, di massa e di umidità all’interno dell’atmosfera. Tali cambiamenti, se sufficientemente ampi dal punto di vista spaziale, potrebbero avere un impatto notevole sul tempo e sul clima a livello locale e regionale. Si presenta qui una evidenza osservativa di tale impatto, basandosi su analisi di dati satellitari per il periodo 2003-2011 su di una regione nel Texas centro-occidentale, dove sono quattro tra le più grandi centrali eoliche del mondo. I nostri risultati mostrano un significativo trend di riscaldamento di 0,72°C per decade, con particolare riferimento alle ore notturne sulle aree delle centrali rispetto alle zone limitrofe prive di installazioni. Si attribuisce principalmente tale trend alle centrali eoliche dal momento che la sua diimensione spaziale coincide molto bene con la distribuzione geografica delle installazioni.

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Purché l’onda non rompa

Alcuni giorni fa abbiamo ripreso su CM un post di Donna Laframboise. Non tutto però. Avevo deliberatamente scelto di lasciar fuori dal nostro commento il riferimento che in quel post era stato fatto sul narcisismo di un certo ambientalismo militante. Una certa voglia di esserci, di svolgere un compito d’effetto, di primeggiare.

Mi sembrava eccessivo, generalizzante ed eccessivo. Ma devo ricredermi.

Su WUWT è uscita ieri una breaking news: James Lovelock, il ‘padre’ della teoria di Gaia ha riconosciuto di essere stato eccessivamente allarmista. Non starò qui a raccontarvi le decine di frasi ad effetto dense di retorica catastrofista che abbiamo letto negli anni tra virgolette in quanto sue. Chi avesse voglia di rinfrescarsi la memoria può leggere il post di Watts.

‘Gaia’ scientist James Lovelock: I was ‘alarmist’ about climate change

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Come ti aggiusto il clima

Sulle nostre pagine, così come sulla maggior parte dei siti web specializzati in discussioni sul clima, si fa sempre un gran parlare di temperature globali. Del resto lo spauracchio dei nostri tempi è il global warming, un fenomeno appunto globale. Il problema, come molti sanno, è che la temperatura è di per se un fattore misurabile solo in un dato luogo e in un dato momento. Perché si possa ampliare la scala spaziale di riferimento occorrono quindi molti di questi luoghi adibiti alla misurazione. Se poi si vuole conoscerne l’evoluzione nel tempo, occorre ripetere l’operazione a intervalli regolari per procedere poi a comporne la media.

Quanti di questi luoghi ci sono al mondo? Moltissimi. Quanti di questi sono effettivamente utilizzati e/o utilizzabili per monitorare l’andamento della temperatura? Molti meno. Dove sono questi sensori? Quasi tutti sulla terraferma, ovviamente e, altrettanto ovviamente, quasi tutti nelle zone ad alta densità urbana dei paesi più avanzati. Gli Stati Uniti e l’Europa fanno la parte del leone.

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Tutta colpa di quei dannati vulcani!

La Piccola Età Glaciale (LIA), un periodo di significativo raffreddamento del Pianeta durato alcuni secoli a partire dalla fine del 1200 sarebbe stata innescata da un periodo di intensa attività vulcanica, con massiccia espulsione di solfati, schermatura dei raggi solari e conseguente diminuzione delle temperature. A seguire, ovviamente, aumento dell’estensione dei ghiacci, feedback positivi (cioè di ulteriore raffreddamento) dovuti all’albedo e alla circolazione oceanica e persistenza del freddo fino all’insorgere della rivoluzione industriale. Termine questo da ricordare, il perché ve lo dico alla fine del post.

Per cui, niente minimi di Maunder e Dalton nel numero delle macchie solari, niente riduzione dell’attività solare, niente forcing astronomico quindi a determinare il raffreddamento. Le cause sono state stocastiche, appunto, vulcaniche.

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Il Pianeta perde calore, ma non la CO2

Ma quanto manca alla conferenza di Rio? Due mesi? Per la miseria, sarà una fatica arrivarci. Ogni giorno ne esce una nuova a causa dei lavori preparatori all’ennesimo annuncio di disastro imminente. Nature, (ex)autorevole rivista scientifica (ex almeno in termini climatici), è in prima linea.

Alcuni giorni fa è uscito un articolo di quelli destinati a far saltare il banco.

Global warming preceded by increasing carbon dioxide concentrations during the last deglaciation – Shakun 2012

Che cosa? L’aumento della CO2 ha preceduto l’aumento delle temperature alla fine dell’ultima glaciazione? Questa sì che è una notizia, dai proxy delle carote di ghiaccio antartiche si era sempre visto il contrario, prima la temperatura e poi, solo poi la CO2, anche con un ritardo di centinaia d’anni. E invece, collezionando ben 80 serie di dati proxy di vario genere, gli autori di questo articolo giurano di aver scoperto esattamente il contrario, sovvertendo una delle più solide critiche mai fatte all’ipotesi delle origini totalmente umane del riscaldamento globale. Se infatti la CO2 ha preceduto le temperature vuol dire che ne ha più probabilmente causato l’aumento.Vale la pena investigare.

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Due parenti stretti, ghiaccio artico e oscillazione artica

La misura dell’estensione del ghiaccio marino alle latitudini artiche è uno dei topic della discussione sulle dinamiche del clima degli ultimi anni. Più caldo uguale meno ghiaccio, un’equazione che si sente ripetere spesso che risulta vera a scala geologica, come insegna la storia del Pianeta, ma di cui spesso si abusa, dal momento che mal si attaglia alla descrizione di quanto accaduto in tempi recenti.

Il ghiaccio artico è in declino, questo è incontestabile. Più o meno da quando si è iniziato a misurarlo con metodi oggettivi, sebbene ad esempio appena qualche giorno fa abbiamo pubblicato un post in cui si parla di dati un po’ più vecchi ma normalmente non impiegati per rappresentarne l’andamento, che rendono la realtà di questo declino meno decifrabile.

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Dibattito sui blog e scienza ufficiale: chi è che bara?

Uno degli argomenti più gettonati di quanti sostengono l’ipotesi delle origini antropiche del riscaldamento globale – si noti che non ho scritto cambiamenti climatici perché il clima è sempre cambiato – e delle eventuali sue conseguenze, è quello che vedrebbe la conoscenza scientifica già definita. Al massimo ci sarebbe da discutere sui dettagli. Basta discussioni infinite e poco scientifiche sui blog, bisogna concentrarsi su quello che dice la scienza, quella vera.

Già, perché un concetto astratto come quello del clima ha bisogno di essere trasposto nella realtà attraverso i dettagli. In genere questo avviene cercando di collegare ogni sorta di evento atmosferico – meglio se intenso – ad una presunta modifica intercorsa ultimamente. Sappiamo bene che il livello di comprensione scientifica di questo collegamento è assolutamente basso, come ha avuto modo di farci sapere ad esempio l’IPCC con l’ultimo report specificatamente dedicato a questo argomento. Sicché c’è bisogno d’altro. Va molto di moda la disponibilità idrica, si parla spesso di energia, ma questi aspetti, avendo già i loro bei problemi, non sono molto utili alla bisogna. Meglio, molto meglio parlare di risorse alimentari.

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I dati NOAA aggiornati a febbraio 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale scaricabili dal server ftp della NOAA sono state aggiornate con i dati relativi al mese di febbraio 2012. Ho descritto l’aggiornamento di gennaio 2012 in questo post su CM.

La mia speranza era quella di utilizzare le pagine di CM per poter affermare che le variazioni di anomalie da un mese all’altro erano frutto di aggiustamenti dovuti alla revisione del dataset e che i dati si andavano stabilizzando verso una forma qualsiasi di equilibrio. Le differenze di anomalia tra novembre 2011 e febbraio 2012 soddisfano parzialmente questa speranza: i dati più recenti (da circa il 1930 in poi) mostrano una stabilizzazione mentre i precedenti presentano una dispersione grande abbastanza da toccare e superare il centesimo di grado.

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I conti tornano, basta farli in casa

Alcuni giorni fa abbiamo parlato di uno studio di recente pubblicazione in cui sono state riviste le misurazioni dellla radiazione totale uscente dal top dell’atmosfera (TOA) e i dati provenienti dalla rete osservativa oceanica ARGO, stabilendo che l’incertezza delle misure di fatto autorizza a credere che il mare abbia stabilmente continuato ad immagazzinare quella quantità di calore che necessariamente deve essere nel sistema in base all’alterazione del bilancio radiativo causata dal forcing antropico.

Climate change e oceani, niente ‘calore scomparso’ o niente calore?CM 30 gennaio 2012

L’assorbimento consisterebbe in 0,50 ± 0,43Wm2. Nonostante l’incertezza sia pari quasi alla misura, aspetto questo che dovrebbe di per se invalidare le conclusioni, questa quantità di calore riporterebbe la situazione in pareggio, giustificando l’assenza di riscaldamento misurato negli ultimi 10/15 anni nonostante la forzante antropica non abbia perso un colpo.

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Geomagnetismo, oceani e climate change

Non passa giorno che non si affacci sul panorama delle infinite dinamiche del sistema Pianeta qualcosa di nuovo. Ogni volta il pensiero corre alla ormai celeberrima quanto risibile affermazione “The science is settled”, il karma del movimento salva-pianeta.

L’argomento che proponiamo oggi è intrigante, proprio come lo definiscono gli autori della ricerca oggetto del nostro commento.

Geomagnetic South Atlantic Anomaly and global sealevel rise: Adirect connection? – De Santis et al., 2011 – Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics

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Niente minimo solare, siamo inglesi!

Alcuni giorni fa, abbiamo pubblicato un post dal titolo un po’ drammatico:

Se il Sole muore – CM 25 gennaio 2012

Già dalle prime righe, tuttavia, ci siamo anche affrettati a specificare che non c’ea alcun bisogno di essere tragici, piuttosto che di una dipartita, per la nostra stella si potrebbe trattare di poco più di un raffreddore.

Lo spunto alquanto criptico in realtà, serviva per introdurre il commento ad un paper di recente pubblicazione in cui si presagisce una decisa diminuzione dell’attività solare per il prossimo ciclo, il 25°. In calce al commento, che se volete potete rileggere, una breve considerazione: se davvero dovesse andare così, si potrà definitivamente dire addio al Periodo Caldo Moderno, cioè al global warming ruggente.

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Climate change e oceani, niente ‘calore scomparso’ o niente calore?

Alcuni giorni fa i blog meteo-climatici si sono animati attorno ad una annosa discussione circa il contenuto di calore degli oceani. A suscitare questo ritorno di attenzione è stata la pubblicazione di un paper su Nature Geoscience:

Observed changes in top-of-the-atmosphere radiation and upper-ocean heating consistent within uncertainty – Loeb et al., 2012 (qui il commento su Science Daily)

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