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Tag: Cambiamenti climatici

Tifoni in aumento, ma anche no.

Ieri l’altro è apparso su Science Daily il commento ad un lavoro di recentissima pubblicazione:

 

Growing threat of intense tropical cyclones to East Asia over the period 1977–2010 – open access, ERL, Doo-Sun R Park et al., 2014

 

Analizzando cinque diverse serie storiche degli eventi del tipo ciclone tropicale (Tifoni per quella parte del mondo) sulle coste asiatiche, gli autori avrebbero individuato un trend positivo nel rischio generato da questi eventi, soprattutto perché sembra si sia avvicinata ad una porzione della costa est dell’Asia l’area in cui questi raggiungono mediamente la massima intensità. Il periodo preso in esame va dal 1977 al 2010. La responsabilità di questo aumento – pur ritenuta indistinguibile tra fattore naturale e fattore antriopico – è stata individuata nell’intensificazione del gradiente termico est-ovest sul Pacifico equatoriale, gradiente da cui si origina la Walker Circulation, le cui vicende sono poi in relazione con le condizioni che favoriscono la nascita e lo sviluppo di questi eventi. Qualora il cambiamento climatico – si legge nelle conclusioni – dovesse risultare in una prosecuzione del rafforzamento di questo gradiente, ne potrebbe risultare un ulteriore aumento di rischio per le aree oggetto di questo studio.

 

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IPCC in retromarcia, se n’è accorto qualcuno?

Anche l’argomento di oggi, tanto per cambiare, non lo leggerete sui giornali. Per diverse ragioni, perché è una cattiva notizia per i sostenitori della catastrofe climatica, perché è vera, perché non fa notizia e perché i giornali normalmente non fanno attenzione a queste cose, neanche nelle pagine scientifiche.

 

Alcuni mesi fa, come forse saprete, è stato pubblicato il Summary For Policy Maker della prima parte del 5° Report dell’IPCC, ovvero il sunto destinato ai decisori del lavoro del WG1, quello che si occupa di fornire le basi scientifiche su cui si articola il report e su cui poggiano le ‘investigazioni’ dell’IPCC in ordine ai cambiamenti climatici di origine antropica. Già, perché per chi non lo sapesse, il mandato che l’IPCC ha ricevuto dall’UNFCCC è quello di occuparsi dei soli cambiamenti climatici riconducibili alle attività umane. Tutto il resto, come diceva il Califfo, è noia evidentemente, anche perché dal momento che il Panel catalizza da due decenni tutta l’attenzione del panorama scientifico che si occupa di clima, sono davvero in pochi quelli che si dedicano ad altro. Ma questa è un’altra storia, della quale magari parleremo in un altro momento.

 

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Il Sole non scalda il Pianeta, ma, se necessario (per i modelli), lo può raffreddare!

Certo che sul Sole ne sappiamo proprio poco. Soltanto qualche anno fa, per esempio, i massimi esperti di attività solare, stabilmente intensa per buona parte del secolo scorso, immaginavano un nuovo ciclo solare tra i più forti. Ora siamo nel bel mezzo del ciclo solare 24, con un emisfero della nostra stella che ha già virato verso la fase discendente e l’altro che seguirà nei prossimi 12-18 mesi, e le macchie solari le abbiamo sin qui contate sulla punta delle dita, a descrivere un ciclo tra i più deboli che la ricerca moderna possa ricordare.

 

Ma c’è una caratteristica del carattere della nostra stella ancora più oscura. Infatti, malgrado essa costituisca l’unica fonte di energia alla quale può attingere il nostro pianeta, le variazioni della sua attività sono insignificanti quando il pianeta si scalda, mentre divengono decisive quando smette di farlo o, addirittura, si raffredda.

 

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World Bank, il clima (e i soldi) nelle mani giuste

Soltanto qualche giorno fa abbiamo rilanciato sulle nostre pagine un articolo apparso sul Il Foglio e firmato da Piero Vietti circa l’ultima fatica della parte più attiva del movimento salvapianeta, ovvero la pubblicazione di uno studio che avrebbe messo a nudo l’esistenza di una cartello di finanziamenti oscuri per sostenere la propaganda anti AGW, una banda di sordidi cospiratori intenzionati quindi a fregarsene del clima che cambia e cambia male per continuare a perseguire i loro loschi affari. Non è mia intenzione ritornare sulla totale assenza di senso del ridicolo del solito ricorso al cospirazionismodi questo genere di approcci, basti pensare per esempio che gli ordini di grandezza tra quanto viene speso per la ricerca e per la cosiddetta lotta ai cambiamenti climatici e quanto impiegato invece per chi sulla faccenda nutre qualche leggittimo dubbio sono talmente tanti da non poter essere calcolati.

 

Nel prossimo futuro, più precisamente a partire dal 27 gennaio e per la bellezza di quattro settimane avremo l’ennesima riprova di questa differenza. La World Bank, istituto sovranazionale che non credo necessiti di presentazioni, ha lanciato una massiccia iniziativa di propaganda climatica, il MOOC (Massive Open Online Course), ovvero un corso on-line appunto di quattro settimane la cui presentazione, rivolgendosi direttamente ai potenziali discepoli, suona così:

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Ri-provaci ancora Sam

Ennesimo tentativo di trasposizione del concetto di cambiamento climatico nel mondo reale, con l’aggiunta del nobile scopo di mettere i decisori di fronte alle loro responsabilità, ovvero di fornir loro informazioni utili al processo decisionale. Piogge intense, giornate roventi e gelo eccezionale, più gli eventuali accessori di vento, mare et similia, tutti equamente distribuiti sul territorio europeo come meglio non avrebbero potuto desiderare i padri fondatori dell’unione.

 

Il progetto è Europeo, appunto, ed è partito nel 2011, con Meteo France a fare da leader. Lo scopo, naturalmente, è quello di far scendere i modelli climatici globali (GCM) alla scala regionale, per capire se in un mondo più caldo (?), con un clima cambiato diversamente dal suo solito cambiare (?), sia lecito o meno attendersi eventi atmosferici più intensi.  

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Sartori, clima che cambia e sovrappopolazione, ora è tutto chiaro

Domenica scorsa Luigi Mariani ha firmato un post su queste pagine per commentare l’ultimo editoriale di Giovanni Sartori uscito sul Corriere della Sera. Non proprio un commento elogiativo ça va sans dire. Se volete conoscerne i contenuti ecco titolo e link:

 

L’apocalisse di Sartori

 

A seguire, anche Fabio Spina ha detto la sua su La nuova Bussola Quotidiana, palesando parimenti un ‘certo disaccordo’ con le opinioni climatico-malthusian-demografiche del noto politologo:

 

Le folli idee del professor Sartori

 

Opinioni, sia quelle di Luigi che quelle di Fabio, che hanno trovato il consenso di quanti partecipano solitamente alle nostre discussioni. Volendo fare della statistica spannometrica, se consideriamo quei commenti un campione rappresentativo, dobbiamo pensare che i lettori di CM abbiano espresso in modo unanime un po’ di malsopportazione per quell’editoriale, forse anche perché il professor Sartori normalmente ci allieta con le sue opinioni sulle materie oggetto di questi commenti il 15 agosto di ogni anno, cascasse il mond…ehm, no, questo lo scriverebbe lui.

 

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Policy cooking

Mentre scrivo questo post la diciannovesima conferenza delle parti dell’UNFCCC sta per chiudere i battenti, quando il post sarà on line li avrà definitivamente chiusi. Si dice sia stata una conferenza stanca, più stanca delle 18 (!) che l’hanno preceduta. Non mi pare ci siano all’orizzonte decisioni rilevanti, anzi, forse non ci saranno proprio decisioni. L’evento più significativo, probabilmente, è stato il suggestivo abbandono delle trattative del gruppo dei ‘paesi deboli’, evidentemente insoddisfatti della piega che stavano prendendo le cose.

 

E così tra le roboanti dichiarazioni dei protagonisti prima e durante la conferenza, spicca probabilmente quanto segue, che dimostra quanto si tratti per lo più di chiacchiere che di sostanza, sia da parte dei leader politici che non perdono mai l’occasione di apparire nella veste di salvatori della patria in queste occasioni, sia da parte dei burocrati di altissimo livello che dettano l’agenda di questi eventi.

 

La ragione dell’abbandono della conferenza da parte dei ‘paesi deboli’ è infatti nell’assoluta indisponibilità da parte dei paesi ricchi a introdurre in un (naturalmente) prossimo accordo sulle policy climatiche da intraprendere, un meccanismo automatico di risarcimento per i danni causati dalle catastrofi naturali, come ad esempio quella recente nelle Filippine o, perché no, anche quella che ha riguardato il nostro territorio appena una settimana fa. In queste occasioni, si trova sempre qualche esperto, qualche politico o qualche semplice opinionista, disposto ad attrbuirne l’occorrenza al clima che cambia. Non importa che manchi sempre la spiegazione scientifica di questa o quella attribuzione. Non importa che gli stessi report IPCC dedicati alla materia (compreso l’ultimo) dicano chiaramente che né il singolo evento né le serie storiche degli stessi siano attribuibili al cambiamento climatico. Importa solo che chi parla sa che il pubblico su queste cose ha la memoria corta, per cui sono sempre dichiarazioni che pagano in termini di popolarità.

 

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Se il clima si raffredda – Prove di catastrofismo climatico negli anni ’70

Nel 1975 il mondo scientifico era lontano 1000 miglia dall’aver preso coscienza dei rischi da global warming ed anzi si stava interrogando circa i rischi del fenomeno opposto e cioè di un incontrastabile global cooling. Di questa temperie ho da tempo per le mani due interessanti testimonianze e cioè:

 

  • uno scritto di Hubert Lamb dall’emblematico titolo “Il clima si raffredda” uscito sul numero di agosto-settembre 1973 della rivista divulgativa “Il corriere Unesco”, di cui posseggo copia cartacea. In tale lavoro l’autore (uno dei più illustri climatologi storici del XX secolo) poneva in luce tutta una serie di sintomi di global cooling scrivendo fra l’altro “…divenne ben presto evidente che l’anidride carbonica non poteva spiegare tutto. Infatti, nonostante l’aumento della sua produzione dovuto alla sempre maggiore industrializzazione ed al crescente consumo di oli e di altri combustibili, la variazione delle temperature si è invertita e negli ultimi 25-30 anni la Terra è progressivamente divenuta più fredda. Il raffreddamento è stato particolarmente intenso intorno al 1960 e vi sono oggi prove di  inversioni nelle migrazioni di uccelli e pesci e di contrazioni nell’estensione delle colture e delle foreste.”
  • l’ottimo testo Climate and rice (IRRI, 1979) liberamente accessibile in google books. In particolare a pagina 46 viene presentata una carta mondiale del global cooling, ampiamente commentata nel testo e che pone in evidenzia i rischi per la coltura del riso derivanti dal raffreddamento globale.

 

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Disastri naturali e clima che cambia, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

L’argomento di oggi è per noi decisamente fuori stagione. Parliamo infatti di incendi e, salvo casi che sarebbe veramente difficile collegare all’isteria da clima, nei mesi della pioggia normalmente non ci dobbiamo confrontare con questo genere di problemi. Nei mesi più aridi però il problema lo abbiamo eccome, per cui magari affrontare il tema a mente fredda 🙂 potrà tornare utile.

 

Per farlo basta guardare dall’altra parte del pianeta, dove ovviamente sta arrivando la bella stagione, in Australia. Qualche settimana fa sono passate anche sui nostri media parecchie notizie di incendi distruttivi proprio laggiù. Segno inequivocabile del cambiamento climatico, si sono subito affrettati a sentenziare i più bravi. Sicché, dal momento che questa litania comincia anche a diventare noiosa, avevo deciso di non riportare la notizia su CM.

 

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Acqua corrosiva o giornalismo arrugginito?

La notizia è apparsa sui media qualche giorno fa. Lì per lì l’avevo lasciata andare, perché mi sembrava la solita solfa ‘aiuto moriremo tutti‘ che tanto piace ai media strilloni e poco porta alla conoscenza delle cose, quindi non volevo farle crescere le gambe.

 

Forse avevo fatto bene, ma sinceramente non resisto, perché all’allarme ingiustificato, come quasi sempre accade, si aggiunge anche l’ignoranza cronica con cui vengono normalmente recepiti e diffusi certi argomenti. E, ancora peggio, a menare le danze sono spesso reporter scientifici, che nuotano allegramente in questa ignoranza, certi del fatto che se amplificano il messaggio di allarme nessuno li correggerà, men che meno i cosiddetti ‘esperti’, che a quanto pare con l’allarme ci campano.

 

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IPCC AR5…che clima farà?

La settimana scorsa è uscito il Summary for Policy Makers del Working Group 1 dell’AR5, cioè il quinto report che l’IPCC ha redatto a partire dalla sua costituzione nei primi anni ’90. A seguire, dopo soli tre giorni, è comparso anche il report vero e proprio, cioè il  mega volume con cui si dovrebbero fornire le basi scientifiche per le conclusioni esposte nell’SPM. C’è l’imbarazzo della scelta, davvero.

 

Si può infatti decidere se considerare questo ennesimo report di dimensioni bibliche come un’ennesima occasione persa, come uno sforzo organizzativo, economico ed intellettuale enorme completamente inutile o, come è più probabile, come un lavoro a scopo esclusivamente autoreferenziale.

 

Occasione persa. Gli elementi c’erano tutti per riportare il dibattito sulle dinamiche del clima ad una dimensione scientifica libera da condizionamenti politici ed ideologici. I ripetuti insuccessi delle kermesse climatiche annuali, l’evidente raffreddamento dell’entusiasmo dei decisori e, più di ogni altra cosa, la brusca frenata della temperatura media globale, che a dispetto di tutte le funeste previsioni, ha smesso di aumentare da tre lustri. Bastava dire siamo scienziati, non indovini, e siccome la scienza non consente attualmente di fare proiezioni perché quelle che abbiamo provato a fare sono fallite, è necessario approfondire le nostre conoscenze prima di emettere un giudizio. E invece no, il giudizio è arrivato, addirittura più certo nelle parole di quello dell’AR4, nonostante i numeri siano molto meno certi di allora.

 

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