Il legame fra optimum climatico medioevale e NAO1 è l’ipotesi avanzata da un gruppo di studiosi che hanno raccolto la loro analisi in un originale lavoro uscito su Science: Trouet et al., 2009. Persistent Positive North Atlantic Oscillation Mode Dominated the Medieval Climate Anomaly , Science, 3 april 2009, Vol. 324. Si tratta a mio avviso di un lavoro affascinante per i ponti che stabilisce fra climatologia statica e dinamica lo scopo di porre nella dovuta luce un periodo climaticamente complesso come quello del medioevo, sul quale la discussione in ambito climatologico è oggi più che mai aperta.
Per comprendere appieno contenuto e portata del lavoro di Trouet e collaboratori è necessario un breve antefatto riferito proprio all’indice NAO, uno dei tanti indici messi a punto da Sir Gilbert Walker negli anni ’20 del ‘900 e che in genere è espresso come differenza di pressione al suolo fra due stazioni, una collocata nel Nord Atlantico (di solito in Islanda) e una nel sud Atlantico (di solito a Gibilterra o a Lisbona).
In sostanza se la pressione è molto bassa in Islanda e molto alta a Lisbona (figura 1 – a) l’indice NAO è molto positivo e le correnti occidentali sono forti, apportando sul nostro continente aria umida e mite; viceversa se la differenza di pressione fra le due stazioni è scarsa il NAO sarà positivo ma prossimo a zero e le correnti saranno deboli; infine se a Gibilterra la pressione è più bassa che in Islanda (figura 1 – b) il NAO sarà negativo e la circolazione sarà invertita, e cioè da est verso ovest, il che in inverno comporterà l’irruzione sull’area europea di gelide masse d’aria siberiane. Questo indice illustra in sostanza la robustezza delle grandi correnti occidentali (westerlies ) ed è in grado di descrivere la componente longitudinale (zonale) della circolazione delle medie latitudini.
Per inciso occorre dire che:
- il NAO è un indice invernale, nel senso che la correlazione con le temperature e le precipitazioni sull’area europea è robusta in inverno e assai meno in estate.
- un indice analogo al NAO è usato per descrivere invece la componente latitudinale. Si tratta dell’indice EAWR (East Europe-Western Russia) le cui fasi positive e negative espongono rispettivamente l’Europa ad apporti di fredda aria artica o di torrida aria subtropicale (figura 1 – c,d).
- NAO ed EAWR sono descrittori per l’area europea del comportamento del grande vortice polare, ai cui capricci è legato a corda doppia il clima del nostro emisfero alle latitudini extra-tropicali.
Ricapitolando, negli inverni con NAO positivo si assiste a:
- anomalia negativa delle precipitazioni sul Mediterraneo e sull’area alpina
- anomalia positiva delle precipitazioni su Scozia e Scandinavia
- anomalia positiva delle temperature sull’area europea in generale.
E’ proprio da tali evidenze che prende le mosse il lavoro del gruppo di Trouet che analizza i seguenti proxies di temperatura e precipitazione:
- precipitazioni invernali in Marocco (desunte da cerchie di crescita di alberi)
- precipitazioni invernali in Scozia (desunte da speleotemi)
- temperature invernali in area alpina (desunte da speleotemi).
Tali proxies sono utilizzati per ricavare un descrittore dell’indice NAO per gli ultimi 1000 anni, con un metodo che è stato calibrato su dati del 20° secolo. Il NAO “sintetico†così ottenuto (NAOms) si caratterizza in particolare per la sorprendente anomalia positiva durante l’Optimum Medioevale che è illustrata in figura 2. Dall’articolo emerge da un lato la robustezza in termini di grande circolazione dell’Optimum Medioevale e dall’altro il fatto che l’Optimum stesso fu accompagnato da estese anomalie termiche invernali positive cui si associarono sensibili negative delle precipitazioni sul Mediterraneo.
Ma cosa ha originato tale fase di persistente NAO alto? Trouet et al. scrivono che “la persistente fase positiva ricostruita per l’Optimum Medioevale pare associata a condizioni prevalenti di tipo La Niña, forse innescate da una accentuata attività solare e/o da ridotta attività vulcanica e prolungata e amplificata da un accentuata anomalia delle temperature oceaniche”. I ricercatori concludono il loro scritto osservando che “il passaggio da tale particolare stato dell’atmosfera a quello proprio della Piccola Era Glaciale pare essersi svolto contemporaneamente in tutto il globo, il che suggerisce una consistente e persistente riorganizzazione delle strutture circolatorie atmosferiche e oceaniche”.
Ci si domanda se tali considerazioni non possano risultare valide anche per la presente fase climatica, nella quale l’aumento delle temperature globali che ha caratterizzato il ventennio 1977 – 1998 è stato accompagnato da NAO positivo, elevata attività solare e scarsa attività vulcanica. In complesso dunque esprimo un’impressione positiva sul lavoro svolto da Trouet e collaboratori. Tale impressione tuttavia dev’essere a mio avviso moderata dal fatto che si tratta di ricostruzioni basate su proxies che da un lato presentano sensibili livelli di incertezza intrinseci e dall’altro, per la loro natura puntuale, rendono ragione non solo di fenomeni a macroscala (NAO) ma anche di fenomeni a meso e microscala. Importante può allora risultare il confronto dei risultati ottenuti da Trouet e collaboratori con quanto ottenuto da lavori scientifici indipendenti. In proposito segnalo che concordano con quanto ottenuto da Trouet:
- Le indagini svolte negli anni 30 in area alpina dall’illustre geomorfologo Umberto Monterin che sfociarono nello scritto “Ha mutato il clima delle Alpi in epoca storica?†(CNR, Comitato nazionale di geografia fisica, Bologna, 1937) nel quale sono presentate innumerevoli prove della potenza dell’Optimum medioevale e delle anomalie termiche e pluvimetriche che ne conseguirono (per inciso essendo tale lavoro ormai introvabile sarebbe quantomai auspicabile che Climate monitor lo mettesse a disposizione degli interessati in versione pdf).
- I più recenti studi condotti dal professor Ortolani2, il quale studiando le dune fossili presenti nel bacino del Mediterraneo ha posto in luce l’esistenza di estesi fenomeni di desertificazione nel sud Italia nel periodo medioevale.
Purtroppo, come anticipato, siamo costretti a chiudere i commenti a questo articolo perchè, inspiegabilmente, è stato preso di mira da spammer di provenienza quasi sicuramente russa.
Non concordo con nessuna delle sue affermazioni!
Mi scusi, ma non posso argomentare oltre.
Non mi sembra di aver detto che le caratteristiche del Sistema Climatico siano modificate dalla Circolazione Atmosferica nel senso che è questa a dettar legge nel sistema in oggetto, semmai il contrario ovvero che ciò è vero solo con un mutamento dei forcings esterni (solare) e questo applicando il semplice principio di conservazione dell’energia per un sistema fisico, che di per sè ha un suo preciso bilancio energetico.
In sostanza quindi il Sistema è effettivamente invariante alla circolazione, rispetto alle medie globali, in assenza di variazioni di forcings, e quindi non sempre le caratteristiche del Sistema Climatico sono modificate dalla circolazione.
Se poi lei per “tanti altri processi che si frappongono alla radiazione solare entrante nel sistema Terra” intende riferirsi al ‘feedback delle nubi’ questo non sempre è in grado di ostacolare il forcing solare, come ad esempio è accaduto con le variazioni orbitali terrestri che hanno innescato e contribuito alle Glaciazioni e Deglaciazioni.
Altri processi, che io sappia dai miei studi, non ce ne sono perchè l’atmosfera è trasparente alle radiazioni entranti a meno di scattering, rifrazione, riflessione, fenomeni quasi del tutto ininfluenti al successivo assorbimento al suolo e trasformazione in calore.
Sig. Galati,
purtroppo non riesco a seguire il suo discorso.
La sua domanda iniziale nel suo primo intervento ha avuto risposta.
Le caratteristiche del sistema climatico sono modificate dalla circolazione, come lei ha riconosciuto. Ne segue che il sistema non è invariante alla circolazione come lei argomentava all’inizio e, forse, anche alla fine.
Per quanto riguarda la fonte primaria se non unica, il Sole, questo è pacifico. Ma prima che la radiazione solare giunga ad entrare nel sistema come calore, ci sono tanti processi in mezzo che non è scontato, come crede lei, che questa arrivi in quantità immutabile nel breve periodo. Dipende tutto dalla caratteristica del sistema, istante per istante.
Beh, quando si è in fase Nino il sistema perde si energia, ma prima di perderla definitivanmente verso lo spazio la cede all’atmosfera soprastante tramite l’interfaccia, riscaldandola.
D’accordo sul fatto che un’anomala copertura nevosa, o nuvolosa, invece costituiscono un forcing del sistema, ma per quanto riguarda i pattern atmosferici questi sono principalmente anomalie di geototenziale prima che coperture nuvolose e non certo coperture nevose.
In fondo basta rispondere ad una semplice domanda: da dove prende l’energia un pattern atmosferico che fa aumentare in maniera anomala la temperatura su un dato territorio se non in qualche modo da una altra fonte primaria di energia qual’è il forcing solare, operando poi una diversa redisdtribuzione del calore stesso?
E’ evidente dunque che un pattern è una specie di trasformazione di energia da altra fonte che non può che essere o il forcing solare o il forcing oceanico, altri forcing non ce ne sono.
Insomma tutto viene dal Sole: se questo ha attività costante tramite la ‘costante solare’ il Sistema Climatico, visto come una ‘black box’, non può variare la sua energia interna, ma solo redistribuirla diversamente a meno di eventuali altre ‘dispersioni’ da precedenti accumuli quali, a mio avviso, i cicli oceanici.
Per motivi a noi sconosciuti, questo articolo è sotto un attacco di spammer da almeno 24 ore. Se la situazione dovesser diventare insostenibile, saremo costretti a chiudere i commenti.
Lo staff
Siamo alle solite: può un pattern o una serie di pattern atmosferici locali modificare il bilancio radiativo globale (causa di cambiamenti climatici globali) senza introdurre una forzante energetica globale, ma apppunto solo locale?
Di primo acchitto no, ovvero le cose al massimo potrebbero essere a scala continentale; se aggiungessimo invece le vere forzanti naturali endogene ovvero quelle oceaniche dovute agli omonimi cicli allora forse potrebbe anche essere. Ma è difficile dimostrarlo.
Credo che quella di Trouet et al, per quanto affascinante, sia da considerare un’ipotesi di lavoro ancora da confermare. Non deve infatti sfuggire che tutte le considerazioni degli autori si fondano sui dati di tre punti, il che mi sembra un pò poco. Inoltre la O di NAO sta per Oscillation: che razza di Oscillation è una cosa che resta su valori positivi per 400 anni?
Ad ogni buon conto ribadisco che la concordanza dei risultati ottenuti da Trouet con quelli di Monterin e Ortolani dovrebbe farci meditare, spingendoci ad una più stringente validazione con proxy indipendenti di altra origine.
Avrei bisogno di un chiarimento sul concetto di globale, sig Galati.
“Globale” è un insieme di regioni o un’entità a sè stante?
“Globale” è l’insieme di TUTTE le regioni.
I pattern agiscono a scala continentale o subcontinentale e la loro “somma”, in quanto variabilità climatica, non costituisce un forcing sul ‘bilancio radiativo globale’, cosa che invece potrebbe essere per i ‘cicli oceanici’ dove masse d’acqua calda riaffiorano dagli strati non superficiali.
Non vorrei andare fuori tema.
Non capisco perché se in una parte di oceano, metti il Pacifico orientale, riaffiora acqua calda questo diventa un forcing globale e, invece, un pattern atmosferico che regala mesi in più, o in meno, di copertura nevosa sulla Siberia, questo rimane locale.
Qualcosa mi sfugge, ancora.
Per come fisicizzo io il problema i pattern sono solo degli ‘shift’ della circolazione atmosferica ovvero quindi una diversa redistribuzione del calore (invariante) sul globo: a zone che si riscaldano ce ne sono altre che verosimilmente si raffreddano con variazioni della media termica globale nulla. In altri termini quindi non è che un pattern genera calore (e quindi un forcing), ma al più lo sottrae ad altri. La circolazione atmosferica inoltre è una conseguenza del forcing solare (che è praticamente costante), non il forcing stesso.
Invece nel caso dei cicli oceanici del calore può essere intrappolato più in profondità dal mancato rimescolamento superficiale come ad esempio nell’accumulo di acqua calda nell’Oceano Pacifico Occidentale durante la fase Nina dell’ENSO: con l’avvento della fase Nino l’acqua calda tende a distribuirsi (spalma) su una superficie oceanica maggiore permettendo così il rilascio di più calore nell’unità di tempo nell’interfaccia oceano-atmosfera. Questo quindi, a mio avviso, può considerarsi a tutti gli effetti un forcing sia pure in primis ‘locale’, ma con influenze alla fin fine globali per ‘somma’ di energia nell’intero Sistema Climatico.
Poi ognuno è libero di vederla come vuole.
Qui non si tratta di vederla come si vuole, non è un tema a libera interpretazione.
ENSO, essendo in prima battuta una ridistribuzione di calore, è, per definizione, a somma ZERO “nell’intero Sistema Climatico”.
Un’anomala copertura nevosa, o nuvolosa, invece è, per definizione, a somma NON ZERO poiché altera una caratteristica del sistema.
Se poi vogliamo andare sullo specifico di ENSO, la fase negativa, anomalo riscaldamento del Pacifico, è una fase in cui il sistema va perdendo energia e non acquisendola.
La circolazione generale è, nella sua forma, essenzialmente dovuta alla Terra rotante ed alla distribuzione delle figure geografiche.
Il forcing solare stabilisce, in pratica, solo dove si solleverà l’aria anche se, poi, è la geografia a stabilire che questa si sollevi in massima parte sopra il continente marittimo.