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Open access o circuito chiuso: dove va la comunicazione scientifica?

C’é qualcuno che ritiene che questo possa essere considerato un frutto del climategate, cioè della magra figura fatta dal gruppo di scienziati inglesi della Climatic Research Unit beccati a ostacolare deliberatamente la pubblicazione di paper non graditi al mainstream scientifico del clima. É questa a mio parere una visione troppo sbilanciata, troppo climacentrica del problema. É pur vero che le vicende ambientali e climatiche tengono banco da anni sui media, nei salotti finanziari (o di quel che ne resta) e in ambito politico, ma é anche vero che il mondo della ricerca é assai più vasto, e la spinta verso una modifica delle regole proviene evidentemente anche da molti altri settori.

Quel che non regge più, ma del resto sta avvenendo in tutti i campi dello scibile umano, é il regime di monopolio. Le riviste scientifiche sono tantissime, ma quelle che contano sono molto poche. Quelle poi che fanno la differenza sono ancora meno. Per diffusione, da cui discende quindi una più vasta possibilità di ricevere una citazione, e per risonanza mediatica, grazie alla quale arrivano le interviste, gli articoli divulgativi, le richieste di opinione e quant’altro. Tutte cose che fanno comodo, specie in un settore come quello accademico, dove a parte pochissime situazioni felici, davvero non é facile mettere insieme il pranzo con la cena.

Un simile cambiamento, quindi, potrebbe avere dei risvolti positivi eliminando situazioni di chiusura e di rigidità, ma al tempo stesso si correrebbe il rischio di gettare via il bambino con l’acqua sporca, perché le riviste scientifiche per come adesso le conosciamo, sono anche i soggetti che garantiscono il processo di peer review, ossia l’esame anonimo e quasi sempre gratuito di pre-pubblicazione operato da soggetti con pari preparazione di chi richiede la pubblicazione, evitando quindi che si metta in circolazione materiale di scarso valore scientifico o, peggio, animato da interessi proprietari. Un processo comunque non immune da rischi, come abbiamo visto proprio nei fatti del climategate.

Ci sono peró alcuni elementi critici da tenere in considerazione. Il primo tra questi é il seguente: quando e se le riviste circoleranno su internet in modo totalmente gratuito, quale sarà la fonte di reddito che consentirà di pagare il personale che opera nel settore? Se il reddito dovesse andare da altre parti, si corre il rischio che una maggiore libertà che in apparenza si determina si traduca in una “non libertà”. Da non trascurare, come già accennato, il fatto che il settore dell’editoria scientifica vive grazie ad una importante dose di contributi volontari nel senso che i referee anonimi operano in modo totalmente gratuito. Si tratta di un sacrifico a cui molti si sottopongono con il solo scopo di far progredire il settore scientifico. Cioé, nonostante le assurde convulsioni dello specifico settore climatico, chi opera silenziosamente nel mondo delle riviste scientifiche internazionali lo fa nella maggior parte dei casi non per affermare l’ortodossia, ma per migliorare quanto sottoposto ad esame.

Ma la pentola bolle e la soluzione, come sempre, sarà nel mezzo, ossia in un cambiamento che pur garantendo la libera e gratuita circolazione delle informazioni, preveda al tempo stesso dei filtri che limitino al minimo le possibilità di inondare di pseudo scienza il settore dell’informazione scientifica, garantendo al contempo risorse adeguate alle necessità. Ci sono già, come si legge sull’Economist, degli esempi abbastanza validi. Chi é del settore lo sa e ne fa già ampio uso. Chi non lo é, ad esempio i media, lo sa molto meno. Capita molto spesso infatti di leggere lanci d’agenzia che si rifanno a pubblicazioni di riviste tradizionali e molto blasonate, come Nature o Science, mentre é rarissimo ove non impossibile leggerne di relativi a lavori pubblicati ad esempio su arXiv, struttura editoriale open access di grande successo, per la quale peró occorre fare una considerazione. Lo strumento in questione é in effetti un po’ “strano” in quanto mette in rete articoli che non sono referati ma per il deposito dei quali si richiede che l’autore riceva un endorsement da parte di altro autore a loro noto e della stessa area disciplinare, il che si puó tradurre in una sorta di catena di Sant’Antonio.

É dunque solo questione di tempo, se c’é infatti un settore che impara in fretta é proprio quello dell’informazione. Non resta dunque che condividere la conclusione dell’articolo dell’Economist, se fossi un editore scientifico, sarei un po’ preoccupato.

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Published inAttualità

5 Comments

  1. […] Vedremo, può anche darsi che il paper appaia sul web, come pare andar di moda recentemente. […]

  2. […] si dice la coincidenza. Soltanto ieri abbiamo pubblicato un post in cui si affronta il tema molto controverso del rapporto tra l’editoria scientifica […]

  3. donato

    Qualche mese fa ho avuto modo di esprimere, in due articoli pubblicati qui su CM, il mio pensiero in merito al futuro della pubblicazione e della comunicazione scientifica: http://www.climatemonitor.it/?p=21585 e http://www.climatemonitor.it/?p=22195 .
    Oggi scopro che il dibattito sulla questione ormai ha travalicato i limiti della discussione tra specialisti ed è approdato nelle Aule legislative nazionali ed internazionali. Ho la netta impressione che la comunicazione scientifica del futuro sarà completamente diversa da quella che conosciamo oggi. Internet ha globalizzato anche il mondo della ricerca scientifica e quello della revisione paritaria. Come scrive l’Economist, in futuro la revisione avverrà alla luce del sole in spazi virtuali completamente diversi da quelli che conosciamo oggi. Non so se questo fatto sarà positivo o negativo, sarà la storia ad esprimere il suo insindacabile giudizio. So solo che dovremo abituarci a questo nuovo modo di procedere. Anche tra gli addetti ai lavori il vento sta cambiando e sono sempre più i ricercatori che reputano positive le discussioni libere, anche sui blogs, in quanto consentono di individuare nelle pubblicazioni gli errori più grossi consentendo di apportare le modifiche necessarie a rendere il lavoro più rigoroso. Ho letto, in particolare, che mille occhi (i lettori dei lavori liberamente accessibili) vedono meglio di due (quelli dei revisori incaricati dalle riviste).
    Qualche giorno fa si discuteva del fatto che il lavoro di D. Koutsoyiannis et al. non era stato assoggettato alla revisione paritaria per cui valeva poco meno di niente. V. Venema, in particolare, lo aveva massacrato nel suo blog. Oggi Fabio ci fa sapere che, in una presentazione alla stampa, altri ricercatori sono giunti quasi alle stesse conclusioni. Un altro lavoro eseguito da una ricercatrice australiana, poco tempo fa, fu ritirato di corsa dalle pagine di una rivista scientifica on-line in quanto dei commentatori (non revisori professionisti) avevano individuato grosse carenze metodologiche e formali. Le critiche più forti e più fondate ai lavori di M. Mann e di altri climatologi sono arrivate da statistici come McIntyre e non dai revisori paritari. Come si vede la “revisione parallela” dei lavori scientifici già opera in modo piuttosto profondo nel mondo della comunicazione scientifica. Io credo che questo modo di procedere prenderà sempre più piede sconvolgendo definitivamente gli equilibri che si sono consolidati. Apprestiamoci, quindi, ad assistere a questa rivoluzione epocale. Sperando che dia buoni frutti, ovviamente.
    Ciao, Donato.

  4. Fabio

    Spero di non essere troppo fuori tema, ma a proposito di comunicazione, anzi divulgazione scientifica:
    il noto blog USA http://wattsupwiththat.com/2012/07/29/press-release-2/
    ha pubblicato un lavoro di revisione delle modalità di elaborazione delle temperature nelle stazioni meteo USA, secondo il quale metà dell’incremento di temperatura rilevato negli Stati Uniti tra il 1979 ed il 2008 è in realtà fittizio, dovuto ad errori vari.
    Errori del genere fanno venire il legittimo sospetto che problemi analoghi si siano verificati anche altrove sul nostro pianeta, ad esempio nella nostra cara vecchia Europa.
    Mi chiedo se ora i mezzi di comunicazione daranno a questa notizia (vera) lo stesso spazio riservato al (fasullo) scioglimento dei ghiacci in Groenlandia.
    Attendo con curiosità anche un vostro acuto (come sempre) articolo di commento.

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