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Mese: Febbraio 2014

Alisei più forti, non, più deboli, no, vabbè, climate change

L’inatteso (?) arresto del riscaldamento globale sta davvero provocando parecchi grattacapi. Arrivano praticamente ogni giorno suggerimenti sulle origini dello strano comportamento di un clima che non segue più le indicazioni del mainstream scientifico. Su WUWT c’è un piccolo elenco: Aerosol vulcanici in eccesso, dinamiche dell’ENSO, calore rintanato nelle profondità oceaniche, raffreddamento degli oceani, scarsa attività solare, misurazioni della temperatura sbagliate in area artica e, per finire, la ola dello stadio. Qualche giorno fa ne è arrivata un’altra, l’aumento dell’intensità degli alisei.

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Inghilterra sott’acqua, analisi in chiave climatica alquanto annacquata

Appena ieri abbiamo commentato l’abbondante piovosità patita recentemente dal nostro territorio. Una situazione difficile ma assolutamente non paragonabile al flagello di vento e piogge alluvionali che ha caratterizzato i mesi di dicembre e gennaio per le Isole Britanniche (qui la BBC sull’ultimo warning emesso appena ieri l’altro). Così, lo UK Met Office ha prodotto un documento nel quale viene contestualizzato il problema, sia in chiave meteorologica, ossia fornendo le spiegazioni per il tipo di circolazione che generato il problema, sia, ca va sans dire, in chiave cambiamenti climatici.

 

The Recent Storms and Floods in the UK

 

Il primo approccio è davvero interessante, perché chiarisce anche ai non addetti ai lavori che l’insolita – ma non senza precedenti – frequenza di occorrenza di tempeste atlantiche degli ultimi due mesi ha avuto origine in parte ai tropici e in parte in alta atmosfera.

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Un mese di meteo – Gennaio 2014

L’elevatissima piovosità sul Centro Nord e la mitezza sono i caratteri salienti del gennaio 2014

 

Andamento circolatorio (**)

Il mese di Gennaio è stato dominato da un regime circolatorio atlantico (lo stesso proprio della seconda quindicina di dicembre 2013) che si è caratterizzato per il passaggio di perturbazioni in forma di saccature (depressioni a forma di V) che per interazione con sistemi montuosi che circondano il bacino (Pirenei, Alpi) hanno generato minimi di cutoff le cui traiettorie hanno localmente interessato anche l’Italia peninsulare e le isole maggiori. In particolare si evidenziano le due saccature maggiori rispettivamente transitate fra il 17 ed il 21 e fra il 29 ed il 31 gennaio e l’unica fase di prevalente stabilità registratasi fra il 6 ed il 13 gennaio. La topografia media mensile del livello barico di 850 hPa rende ragione di tali condizioni evidenziando il minimo depressionario nordatlantico mediamente localizzato a sud dell’Islanda e l’anticiclone delle Azzorre in posizione assai arretrata rispetto al Mediterraneo, con conseguente predominio sul Mediterraneo di un regime di correnti occidentali moderatamente diffluenti, le quali  assumono curvatura ciclonica sull’area italiana.

 

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Potere della desertificazione, è resuscitato il Trasimeno

Semplicemente no comment e occhio alle date. Buona lettura.

gg

 

Il lago Trasimeno diventerà una palude – 06/12/2008

Alle elementari, l’abbiamo tutti studiato. Il Trasimeno è il lago più grande del Centro Italia, il quarto in assoluto. Per ricordarcelo ci hanno ripetuto che è  grande poco meno del lago di Como. Quello che non ci hanno detto è che, nel tempo questo lago, dichiarato parco naturale, sta scomparendo. Oggi è già una specie di nano: più basso di 1 metro e 60 centimetri, al punto che si può andare a piedi a quella che, una volta, era l’isola Polvese. Stando agli ultimi calcoli, fra  ventincinque anni, nel 2032, il lago potrebbe essere morto, definitivamente inquinato, traformato in palude o, peggio, prosciugato. Il lago di Perugia è un malato cronico grave. Per cercare di salvare il Trasimeno i governi che si sono succeduti, soprattutto gli ultimi due, hanno investito oltre cento milioni di euro. Il tutto senza che mai fosse presentato un progetto di salvataggio o un piano d’azione circostanziato per gli interventi. Conclusione: il lago si sta prosciugando.

 

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L’isola che non c’era

di Guido Guidi

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Beh, per la verità c’èe sempre stata, anche se qualcuno ha fatto finta di non vederla. Si tratta dell’Isola di Calore Urbano, tecnicamente nota come UHI e, più volgarmente, nota a tutti come quella cosa che quando d’estate fa molto caldo fa in modo che in città invece ne faccia moltissimo. Non che sia un fenomeno solo estivo, s’intende, asfalto e cemento si scaldano più del suolo nudo sempre, così come il rimescolamento dell’aria generato dal vento  fa comunque fatica a entrare più di qualche centinaio di metri nella cinta urbana.

 

E così, è probabile che se un determinato punto di rilevamento della temperatura si trova in un’area urbana, o che magari lo è diventata nel corso degli anni, il trend di lungo periodo ne possa risentire. Per evitare che questo avvenga, anche in considerazione del fatto che la grande maggioranza dei punti di osservazione sono dentro o prossimi ad aree urbane, esistono delle procedure di omogeneizzazione dei dati, in pratica degli aggiustamenti.

 

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Serie di dati e determinazione dei Break Point

di Franco Zavatti

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In questo post cerco di definire alcune procedure adatte ad identificare i Break-Point (BP) presenti in un dataset. In teoria i BP identificabili sono tutte le situazioni di salto improvviso o cambio di pendenza nei dati ma, con questa definizione, i BP che si possono trovare nei dataset climatici, affetti da forte rumore, sarebbero moltissimi e praticamente inutilizzabili. In realtà si cercano punti di discontinuità “epocale” nei quali le successive condizioni delle variabili climatiche cambiano sostanzialmente e che in qualche modo identificano l’inizio di un regime climatico diverso. Il numero di questi break point che chiamerò “Principali” (BPP) non dovrebbe essere superiore a 3-4 in un periodo di 120-140 anni (circa 1 BPP ogni 30-35 anni, ma dipende dal tipo di dataset).

Usando lo stesso criterio chiamerò i break point identificati tra due successivi BPP, “Secondari” o BPS.
Un esempio di BPP e BPS si vede in Fig.1 (pdf) dove si utilizza il dataset NOAA delle temperature medie mensili globali (terra+oceano) fino ad agosto 2013. Di questo dataset si usano le medie annuali.

 

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Test della MEM e costruzione di dati sintetici

di Franco Zavatti

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Nell’aggiornamento dei dati NOAA a novembre 2013 ho ricalcolato gli spettri mem dei primi tre mesi per i quali dispongo di dati (novembre 2011, dicembre 2011, gennaio 2012) e ho notato che con i nuovi spettri il periodo cresce linearmente mese dopo mese e quindi con il numero dei dati (cioè con il numero di poli npoli che uso come parametro per la MEM). Nasce quindi il sospetto di non poter studiare la supposta evoluzione temporale dei massimi spettrali (sia come periodo che come potenza) perchè in realtà sarebbe dovuta a fattori numerici. Per verificare il sospetto ho costruito un dataset sintetico usando una sinusoide (seno e coseno) + rumore gaussiano normalizzato, a media nulla e varianza unitaria, come nella Fig.1 (pdf)

 

fig1
Fig.1- a) Funzione analitica e rumore mostrati separatamente. b) Dataset sintetico (somma delle funzioni del quadro a) usato nella simulazione.

 

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La natura è in grado di auto regolarsi!

L’affermazione contenuta nel titolo sembra paradossale in quanto ovvia. Questa ovvietà, però, è sempre stata messa in dubbio da coloro che sostengono che il nostro Pianeta, per cause antropiche, è destinato a finire arrosto. Ora sembra che qualcuno stia cambiando opinione.

 

Il prof. L. Mariani in alcuni suoi post ed in molti commenti ha sempre sostenuto che i modelli climatici trascurano gli effetti dell’evaporazione e, quindi, del vapore acqueo nell’atmosfera. Egli sostiene, se non ho mal interpretato il suo pensiero, che una maggiore evaporazione e successiva condensazione del vapore acqueo, sono in grado di mitigare l’effetto riscaldante dei gas serra. Oggi, “passeggiando” in rete mi sono imbattuto in un comunicato stampa della Hebrew University di Gerusalemme ripreso anche da Science Daily  in cui si sostiene il ruolo raffrescante del vapore acqueo.

 

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Fermi tutti, c’è un mondo dal salvare…Ma non lo fate sapere ai suoi abitanti.

Sarai mondo se monderai lo mondo” ammoniva un fantastico Enrico Maria Salerno nell’incontrare gli sventurati dell’Armata Brancaleone. All’epoca, in parodia ma non troppo, si trattava di andare alle crociate, oggi magari è diverso, ma la missione salvifica continua e sa adeguarsi all’esigenza. Il mondo va salvato, non c’è dubbio. Circa i suoi abitanti se ne può parlare, ma i margini sono alquanto ristretti.

 

Mi capita tra le mani questo post di Roger Pielke jr. Il titolo è emblematico: “Ridurre i gas serra o aumentare l’accessibilità all’energia?“. Un bel problema, specie perché interessa qualche miliardo di persone. Da questa analisi che Pielke riprende sul suo blog, si evince che concentrare le risorse messe a disposizione dall’OPIC (principale istituzione finanziaria americana per lo sviluppo estero) per aumentare l’accessibilità all’energia puntando sulle sole fonti rinnovabili (allo stato dell’arte) garantisce accessibilità energetica a 70 milioni di persone in meno di quante ne potrebbero invece beneficiare si ci si concentrasse esclusivamente sulle fonti fossili. In mezzo, naturalmente, varie gradazioni di mix energetico e beneficiati. Il grafico è qui sotto.

 

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Mirror posting: Roma, contro l’alluvione più lavori verdi meno green economy

Questo post è uscito in originale su La nuova Bussola Quotidiana.

gg

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«Una paura particolare sia per il disastro attuale che per il futuro (venne) da un’improvvisa inondazione del Tevere, che con uno smisurato ingrossamento, abbattuto il ponte Sublicio e riversatosi per la rovina della diga contrapposta, allagò non solo le parti basse e piane della città, ma anche quelle sicure contro sciagure di tal genere; molti furono trascinati fuori dalla pubblica via, parecchi furono sorpresi nelle osterie e nelle camere da letto. Fra il popolo dilagò la fame, la povertà e la carestia. Le fondamenta dei caseggiati furono danneggiate dalle acque stagnanti».

 

Sembra un commento della situazione romana attuale, invece si tratta di un resoconto del 69 d.C. dell’autore Tacito. I romani non mancavano di intervenire sulla prevenzione, non solo con interventi di pianificazione territoriale su larga scala, ma anche stimolando nei privati una vera e propria «presa di coscienza collettiva» così da mettere ogni cittadino in condizione di cooperare per quanto possibile all’interesse generale. I romani sapevano che, per contrastare le inondazioni, occorre in primo luogo rimuovere i materiali solidi e la vegetazione dal letto del fiume per il ripristino del suo regolare deflusso. Per questo, come ci racconta Aulo Gellio, un erudito del II secolo d.C., un pretore di età repubblicana diede ai privati la possibilità di agire in giudizio nell’interesse generale contro quell’appaltatore che, nonostante l’impegno assunto verso la collettività, non avesse eseguito il lavoro a regola d’arte (testo integrale qui).

 

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Niente di nuovo sul fronte dei blocchi – Aggiornato

I blocchi sono strutture circolatorie caratteristiche delle medie latitudini e il loro lungo persistere è spesso all’origine di grandi anomalie termiche e pluviometriche. Ciò li pone spesso all’attenzione di tutti noi e sotto i riflettori dei media, i quali tuttavia utilizzano molto raramente il termine “blocco”.

 

Il lavoro di Barnes et al. Exploring recent trends in Northern Hemisphere blocking, apparso di recente sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, analizza i trend temporali nei blocchi per l’emisfero boreale sui tre periodi 1990-2012, 1980-2012 e 1948-2012, evidenziando un’elevatissima variabilità interannuale e l’assenza di chiari trend temporali nel nostro emisfero.

 

Cosa sono i blocchi

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