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Mese: Gennaio 2014

Che succede se qualcuno cambia idea?

Già, cosa succederebbe se dovessimo scoprire che il clima è molto meno sensibile alle ‘spallate’ dell’azione antropica e se questa convinzione dovesse far presa sul mainstream? Domanda del secolo, probabilmente, ma non così peregrina.

 

Mettiamola in questo modo. Negli ultimi anni si sta assistendo all’implementazione o, molto più frequentemente alla progettazione, di massicce politiche di mitigazione del riscaldamento globale. Il tutto assumendo, probabilmente erroneamente o quanto meno perché in possesso di informazioni parziali, che questo sia stato interamente di origine antropica. Nessuna di queste politiche ha avuto successo in termini di riduzione delle emissioni a livello globale. Alcuni, pochissimi, le hanno appena scalfite, altri, quasi tutti, le hanno aumentate. Nonostante questo, con grande perplessità da parte del mondo scientifico, che ha evidentemente riposto un po’ troppa fiducia nelle simulazioni e proiezioni climatiche, le temperature hanno smesso di crescere.  Di conseguenza, sebbene con fatica, è nato un dibattito piuttosto acceso circa le origini di questo sia pur temporaneo possibile ridimensionamento del problema.

 

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La variabilità naturale ed i modelli di circolazione generale CMIP5: confronto tra GCM e modelli armonici

Nei giorni scorsi è esplosa una violenta polemica negli ambienti di discussione climatica in seguito alla chiusura di una rivista scientifica che aveva pubblicato uno Special Issue contenente anche un lavoro di Nicola Scafetta. Non è mia intenzione tornare sull’argomento, se ne avete voglia potete andare a leggere qui il mio post e i commenti dello stesso Scafetta. Vorrei però sottolineare che una delle motivazioni addotte per la chiusura della rivista è stata quella che imputava agli editori un atteggiamento “nepotistico” e quindi potenzialmente condizionato nella scelta dei revisori dei lavori. Nel post di oggi Donato Barone ci parla di un altro articolo di Nicola Scafetta ovviamente soggetto a rigido scrutinio prima della pubblicazione. Il fatto che i lavori di Scafetta siano stati ingiustamente accomunati all’episodio, gettandovi sopra un’ombra che non meritano, sinceramente è per me che conosco Nicola come uomo e come ricercatore inaccettabile. Perciò, come fa lui, continuiamo per la nostra strada, a leggere per cercare di capire ed imparare, con buona pace di chi pensa che evitando la pubblicazione di lavori ‘sgraditi’ si possa mettere un freno alla conoscenza.

Buona lettura.

gg

 

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Chi segue con una certa assiduità questo blog conosce gli studi del prof. Nicola Scafetta e sa che egli ha elaborato un sistema di previsione dell’evoluzione delle principali grandezze fisiche che caratterizzano il clima terrestre basato sull’analisi armonica. Nel 2010 N. Scafetta  pubblicò un interessante lavoro in cui confrontava i risultati dei modelli CMPI3 con le misurazioni reali delle temperature. Il lavoro dimostrava che i modelli GCM non erano in grado di schematizzare l’effettivo andamento delle temperature terrestri come risultavano dai principali set di dati in circolazione. In particolare si faceva notare che nel corpus dei dati erano individuabili delle periodicità tra cui quelle maggiormente degne di nota riguardavano i periodi di circa 9 anni, circa 11 anni, circa 20 anni, circa 60 anni e via cantando.

 

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L’AGW fa camminare i treni

Domanda: c’è più energia nel riscaldamento globale antropogenico o nelle fesserie che si raccontano per sostenerlo? Quando sono veramente troppo grosse, delle seconde si dice che facciano camminare i treni, per cui l’analogia con l’energia disponibile regge bene.

 

Piccolo esercizio, leggete il paragrafo qui sotto cronometrando il tempo che impiegate (viene da qui):

 

…il nostro pianeta sta attualmente accumulando calore al ritmo incredibile di circa tre bombe atomiche di Hiroshima al secondo…. i dati per le temperature vanno su e giù, anno dopo anno, con il risultato che è possibile trovare sempre dei brevi periodi parte di una tendenza al riscaldamento a lungo termine in cui si notano brevi periodi di diminuzione delle temperature. Nel frattempo, il pianeta continua ad accumulare calore: equivalente a circa 250 bombe atomiche di Hiroshima dal momento in cui avete cominciato a leggere questo articolo.

 

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Inverno mite…oppure no?

La notizia è ormai di dominio pubblico, nel corso di questa settimana, per la verità già a cominciare da domani, avremo le prime nevicate significative anche in pianura sul settentrione. Non starò qui a descrivere l’evoluzione nel dettaglio perché ci sono già decine di pagine web che lo stanno facendo da giorni e questo basta e avanza, anche se, come spesso accade, la corsa all’annuncio ha già fatto qualche vittima, nel senso che man mano che ci si avvicina all’evento, si scopre anche che non sarà poi così eccezionale. Anzi, con buona approssimazione non lo sarà affatto.

 

La dinamica è quella più classica per il nostro Paese dal clima solitamente mite e benevolo. Dopo una serie di affondi di aria polare marittima pilotata da intense correnti nord-atlantiche si è formato un cuscino di aria fredda in Pianura Padana. Non appena il flusso cesserà di essere nord-occidentale, quindi non appena cesserà l’effetto di sottovento che protegge le regioni settentrionali in questi casi e l’aria tornerà a provenire più da ovest sud-ovest, le precipitazioni al nord dovranno fare i conti con quello strato di aria fredda persistente e ulteriormente alimentato dai venti da est che entrano dal bacino del Po. E quindi sarà neve.

 

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Mirror posting – L’ennesima realtà virtuale

Questo post è stato pubblicato dal prof. Sergio Pinna sulle sue pagine web.

gg

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di Sergio Pinna

I lettori della cronaca di Pontedera de La Nazione  (22 gennaio 2014) si saranno certamente preoccupati leggendo le parole di Francesco Meneguzzo, meteorologo dell’IBIMET di Firenze: «Ci dobbiamo abituare a stagioni estreme che si alterneranno: inverni freddissimi e inverni quasi primaverili. Le ragioni di quest’attuale stagione?    Il riscaldamento globale che non si è mai arrestato e che . . . . .».

 

Anzitutto sarebbe bene spiegare alle persone che le temperature globali sono praticamente stabili da una quindicina d’anni a questa parte e nessuno ne conosce i motivi. In secondo luogo si    potrebbe poi chiarire che non esiste alcuna plausibile teoria che possa mettere in relazione un eventuale futuro incremento delle temperature con un aumento della variabilità climatica, cioè col    verificarsi di oscillazioni (positive e negative) più pronunciate rispetto ai valori di riferimento.

 

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A volte ritornano

Ci sono cose nel clima del nostro pianeta che a volte ritornano. Non si sa bene né come né perché, ma ritornano. Tra queste, quella appartenente alla scala climatica più breve e responsabile della maggior parte della variabilità interannuale che si conosca, l’ENSO (El Niño Southern Oscillation) è la più affascinante. L’ENSO racchiude fenomeni ciclici ma del tutto aperiodici noti come El Nino e La Nina, rispettivamente fase calda e fredda (o neutra accentuata) delle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico equatoriale.

 

L’enorme quantità di calore in gioco negli spostamenti di acque a diversa temperatura attraverso l’oceano più esteso che identificano queste fasi, sono notoriamente anche associate all’occorrenza  e allo spostamento di eventi atmosferici intensi, specie per le aree a diretto contatto con quella porzione di oceano. Quando l’ENSO è in condizioni di neutralità, c’è una differenza di temperatura tra le acque del settore ovest e quello est dell’oceano accentuata in favore del settore ovest, cioè a contatto con l’India e l’Indonesia. Quando arriva La Niña, questa differenza diviene molto accentuata e con essa si accentuano i fenomeni intensi sulla costa ovest del Pacifico. Quando arriva El Niño, viceversa, questa differenza diminuisce, l’acqua calda, normalmente tenuta a ovest dagli alisei, si estende verso est, e con essa si estendono alla costa est del Pacifico gli eventi intensi. Accade inoltre, che tanto la fase fredda, quanto la fase calda, possano essere più intense di quel che normalmente accade. Ad esempio, nel 1983/85 e nel 1997/98, ci sono stati due tra gli El Niño più forti che si ricordino e che le serie storiche di questi eventi abbiano registrato. Con essi, ovviamente, sono arrivati eventi atmosferici ancora più intensi, sia in termini di precipitazioni, che di temperature, che di siccità, a seconda delle zone.

 

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Se vedi qualcosa, dì qualcosa…purché sia quello che vedo io

Nel post di oggi, tra le altre cose, avrei una richiesta da fare alla comunità dei nostri lettori, siano essi occasionali o abituali. Non si tratta di una esigenza strettamente funzionale all’argomento, però in qualche modo mi aiuta ad introdurlo. Qualcuno è in grado di spiegarsi come funziona il flusso, se esiste in modo strutturato, delle informazioni scientifiche verso le autorità amministrative nel nostro Paese? Ovvero, come si informano ad esempio i Presidenti delle Regioni, cui è devoluta una parte consistente dell’autorità legislativa in materia ambientale, e il Governo e le Camere, cui spetta quel che resta? Ci sono agenzie che producono dati chiamate ad intervenire in modo regolare o su necessità, ci sono particolari appuntamenti istituzionali in cui si affrontano questi temi, ci sono delle figure professionali utilizzate come consulenti etc etc?

 

La mia curiosità, che penso di condividere con parecchi di quelli che leggeranno, nasce dal fatto che, nel ricercare le informazioni per le nostre pagine, mi imbatto nella maggior parte dei casi in materiale che viene da fonti straniere, soprattutto statunitensi. Da quelle fonti, molto spesso, capita di leggere in occasione della discussione di atti legislativi importanti ora di questa ora di quella audizione alle camere di scienziati e ricercatori dei settori oggetto di quegli atti legislativi. C’è di più, quelle audizioni, probabilmente nel rispetto di un sistema politico tipicamente e saldamente bipolare, avvengono sempre in forma di dibattito tra esperti appartenenti a diverse correnti di pensiero. Le questioni climatiche, strettamente connesse con quelle ambientali, naturalmente non fanno eccezione. Anzi, semmai dato il livello di contaminazione politica del dibattito sul clima che si è raggiunto, sono quelle che ricorrono più di frequente.

 

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Nature e climate change, la forza della ragione

Come molte altre parole il termine ‘ragione’ può avere diversi significati. Nella fattispecie di quello di cui parliamo oggi la forza della ragione non è nei contenuti, ovvero nella loro esattezza e corrispondenza alla realtà, questo lo dirà il tempo, quanto piuttosto è nell’ineluttabile destino di una rivista scientifica, forse la più quotata di tutte, forzata dai fatti ad abbandonare la teoria della catastrofe climatica prossima ventura abbracciata da tempo, per tornare a ragionare sulla realtà di quel che accade davvero.

 

E accade ormai da oltre quindici anni che le temperature medie superficiali del pianeta hanno smesso di crescere. Degli 0,2°C di aumento previsto per decade, ne abbiamo visti solo 0,04. Una quantità che per vederla ci vuole la lente di ingrandimento, una quantità che nessun termometro tra quelli usati per raccogliere i dati necessari a comporre quella media è mai stato in grado di misurare. Perciò, una quantità statisticamente non significativa, cioè indistinguibile dal rumore e dal margine di errore che accompagna quei dati.

 

Qualche anno fa si vedeva la pausa, ma poteva essere trascurata perché ben dentro il normale rumore, oggi è qualcosa che bisogna spiegare.

 

Questa frase è di Gabriel Vecchi, climatologo della NOAA, ed è solo una delle cose interessanti contenute in un editoriale uscito su Nature qualche giorno fa:

 

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Il ghiaccio marino e l’albedo, conta più l’Artico o l’Antartico?

Appena qualche giorno fa, abbiamo pubblicato un post elencando una serie di argomenti in ordine alle vicende del clima per i quali nel recente report dell’IPCC sussiste maggiore incertezza di quanta non ce ne fosse nel report precedente, quello del 2007. Tra questi, quello che viene normalmente definito il ‘puzzle’ più complesso per chi si occupa di scienza del clima, ovvero il fatto che, pur in presenza di un forcing tuttora persistente e di un pianeta che si è scaldato, il ghiaccio marino artico sia diminuito e quello antartico sia invece aumentato.

 

Nelle estremamente complesse dinamiche del clima, il ghiaccio marino è importante perché regola la quantità di calore che può essere assorbita – e dunque riemessa ed eventualmente intercettata e nuovamente riemessa dai gas serra – alle alte latitudini. Una copertura glaciale estesa limita molto questo assorbimento, perché riflette la gran parte della radiazione luminosa ricevuta. Viceversa, acque libere dai ghiacci, assorbono una grande quantità di energia. La restituzione all’atmosfera di questa energia attiva il feedback dell’albedo (la quantità di radiazione totale riflessa, dal ghiaccio, dalla sommità delle nubi etc etc.). Se questa quantità aumenta c’è meno energia disponibile per il riscaldamento, se invece diminuisce l’energia ritenuta aumenta e con essa aumentano le temperature.

 

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Tifoni in aumento, ma anche no.

Ieri l’altro è apparso su Science Daily il commento ad un lavoro di recentissima pubblicazione:

 

Growing threat of intense tropical cyclones to East Asia over the period 1977–2010 – open access, ERL, Doo-Sun R Park et al., 2014

 

Analizzando cinque diverse serie storiche degli eventi del tipo ciclone tropicale (Tifoni per quella parte del mondo) sulle coste asiatiche, gli autori avrebbero individuato un trend positivo nel rischio generato da questi eventi, soprattutto perché sembra si sia avvicinata ad una porzione della costa est dell’Asia l’area in cui questi raggiungono mediamente la massima intensità. Il periodo preso in esame va dal 1977 al 2010. La responsabilità di questo aumento – pur ritenuta indistinguibile tra fattore naturale e fattore antriopico – è stata individuata nell’intensificazione del gradiente termico est-ovest sul Pacifico equatoriale, gradiente da cui si origina la Walker Circulation, le cui vicende sono poi in relazione con le condizioni che favoriscono la nascita e lo sviluppo di questi eventi. Qualora il cambiamento climatico – si legge nelle conclusioni – dovesse risultare in una prosecuzione del rafforzamento di questo gradiente, ne potrebbe risultare un ulteriore aumento di rischio per le aree oggetto di questo studio.

 

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Il Sole, i pianeti e il clima, nuovo studio di Nicola Scafetta

Il post è stato aggiornato, andate in fondo per conoscere le novità.

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I nostri lettori ci sono ormai abituati. Nicola Scafetta sta continuando il filone di ricerca aperto con i suoi ultimi lavori e mi ha segnalato la sua ultima e più recente pubblicazione. Il tema è quello della teoria astronomica delle oscillazioni solari e climatiche, come lui stesso l’ha definita nel messaggio che ho ricevuto.

 

Il paper è questo:

The complex planetary synchronization structure of the solar system – Pattern Recognition In Physics, Scafetta 2014

 

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IPCC in retromarcia, se n’è accorto qualcuno?

Anche l’argomento di oggi, tanto per cambiare, non lo leggerete sui giornali. Per diverse ragioni, perché è una cattiva notizia per i sostenitori della catastrofe climatica, perché è vera, perché non fa notizia e perché i giornali normalmente non fanno attenzione a queste cose, neanche nelle pagine scientifiche.

 

Alcuni mesi fa, come forse saprete, è stato pubblicato il Summary For Policy Maker della prima parte del 5° Report dell’IPCC, ovvero il sunto destinato ai decisori del lavoro del WG1, quello che si occupa di fornire le basi scientifiche su cui si articola il report e su cui poggiano le ‘investigazioni’ dell’IPCC in ordine ai cambiamenti climatici di origine antropica. Già, perché per chi non lo sapesse, il mandato che l’IPCC ha ricevuto dall’UNFCCC è quello di occuparsi dei soli cambiamenti climatici riconducibili alle attività umane. Tutto il resto, come diceva il Califfo, è noia evidentemente, anche perché dal momento che il Panel catalizza da due decenni tutta l’attenzione del panorama scientifico che si occupa di clima, sono davvero in pochi quelli che si dedicano ad altro. Ma questa è un’altra storia, della quale magari parleremo in un altro momento.

 

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