La settimana scorsa è uscito il Summary for Policy Makers del Working Group 1 dell’AR5, cioè il quinto report che l’IPCC ha redatto a partire dalla sua costituzione nei primi anni ’90. A seguire, dopo soli tre giorni, è comparso anche il report vero e proprio, cioè il mega volume con cui si dovrebbero fornire le basi scientifiche per le conclusioni esposte nell’SPM. C’è l’imbarazzo della scelta, davvero.
Si può infatti decidere se considerare questo ennesimo report di dimensioni bibliche come un’ennesima occasione persa, come uno sforzo organizzativo, economico ed intellettuale enorme completamente inutile o, come è più probabile, come un lavoro a scopo esclusivamente autoreferenziale.
Occasione persa. Gli elementi c’erano tutti per riportare il dibattito sulle dinamiche del clima ad una dimensione scientifica libera da condizionamenti politici ed ideologici. I ripetuti insuccessi delle kermesse climatiche annuali, l’evidente raffreddamento dell’entusiasmo dei decisori e, più di ogni altra cosa, la brusca frenata della temperatura media globale, che a dispetto di tutte le funeste previsioni, ha smesso di aumentare da tre lustri. Bastava dire siamo scienziati, non indovini, e siccome la scienza non consente attualmente di fare proiezioni perché quelle che abbiamo provato a fare sono fallite, è necessario approfondire le nostre conoscenze prima di emettere un giudizio. E invece no, il giudizio è arrivato, addirittura più certo nelle parole di quello dell’AR4, nonostante i numeri siano molto meno certi di allora.
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