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Mese: Novembre 2012

Tutti i termometri sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

Siamo certi che ci scuserete per la modifica nel titolo del motto tratto dal libro “La fattoria degli animali” di George Orwell: « Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri».

Di problemi legati alla misura di temperature record  ottenute senza tener conto del cambio di strumentazione, ad esempio passando dallo screen allo shield, ne abbiamo già scritto in passato su CM come in “Clamoroso: è estate e fa caldo”. Torniamo sull’argomento prendendo spunto dalla  “WMO TECHNICAL CONFERENCE ON METEOROLOGICAL  AND ENVIRONMENTAL INSTRUMENTS AND METHODS OF OBSERVATION” organizzata dalla CIMO WMO (The Commission for Instruments and Methods of Observations del “World Meteorological Organization” ), che si è svolta dal 15 al 18 ottobre 2012 a Bruxelles.

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Uhm…Qualcuno si sentirà molto stupido

Non facciamo nomi, per decenza e perché non basterebbe lo spazio che dedichiamo ai nostri post. Ma sappiamo che CM viene letto da tanti che la pensano come noi e tanti altri che invece hanno altre opinioni. Tra questi, molti chiacchieroni di professione, proprio come quelli che negli ultimi giorni si sono stracciati le vesti – e ci hanno letteralmente torturato  – con iperbolici collegamenti tra la tempesta tropicale, poi uragano, poi post-tempesta tropicale e infine ciclone extra-tropicale Sandy e il riscaldamento globale.

Il comune denominatore delle iperboli di cui sopra è molto semplice: da un mare più caldo nascono tempeste più forti e più distruttive; la colpa, ovviamente, è del riscaldamento globale.

Non c’è bisogno di essere un esperto per saperlo, la temperatura delle acque di superficie e di quelle nello strato immediatamente inferiore deve raggiungere valori prossimi a 27°C per costituire una delle condizioni per la formazione di un ciclone a cuore caldo, cioè di una tempesta tropicale che eventualmente può evolvere in un uragano.

Beh, magari arà stato così per tutte gli altri soggetti a cuore caldo degli ultimi anni, ma per Sandy, originatasi nel Golfo del Messico e mossasi attraverso i Caraibi lungo la costa est degli USA prima di toccar terra nei pressi di New York, l’intera area di oceano interessata dalla sua traiettoria, non ha subito alcuna variazione di temperatura per gli ultimi…70 anni. Sono tanti, sono quelli che separano Sandy dal grande uragano di categoria 3 (vale a dire tre gradini sopra Sandy) che fece 600 morti a New York.

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Monsoni e global warming, un futuro oscuro ma anche no

Direttamente dal “Dipartimento catastrofi in agguato ma anche no”, un paio di input di letteratura scientifica in materia di monsoni.

Al primo sono arrivato due giorni fa attraverso Science Daily, un paper uscito su Environmental Research Letters:

A statistically predictive model for future monsoon failure in India

Mentre il secondo, appena più datato, l’ho trovato sul blog di Roger Pielke sr e viene dai PNAS:

Indian Ocean warming modulates Pacific climate change

Scopriamo subito le carte del primo. Dalla fine di questo secolo (ancora in fasce) e per tutto quello che seguirà, si potrà dire addio al monsone indiano, con tutto quello che questo comporta in termini di impatto per la popolazione del continente asiatico. Infatti, notoriamente, la parola monsone riferita ai mesi estivi, quelli che caratterizzano la stagione piovosa e la separano da quella invernale arida e fredda, significa “ritorno alla vita”. Perciò, niente monsone, niente vita.

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Il Mantra (sbagliato) dell’AGW

E’ autunno, cadono le foglie, ma arrivano anche le piogge. Acqua che a quanto pare e per quanto prospettato dagli scenari climatici, dovrebbe essere sempre più irregolare, nello spazio e nel tempo.

Wet gets wetter dry gets drier, riassumono climatologi del calibro di Chou, Trenberth, Held e Soden, ripresi poi anche da Susan Solomon della NOAA, in dichiarazioni che abbiamo anche commentato.

Aumento dunque della variabilità spaziale e temporale delle piogge: siccità, alluvioni, temporali forti et similia. Un’affermazione forte quella riportata sopra, che ha già comunque vacillato anche di recente, in un paper che ha individuato l’inattesa ‘capacità’ delle terre più inaridite nel breve periodo ad attirare le piogge più che ad allontanarla.

Eppure questo mantra, mediaticamente molto efficace, rispunta fuori ad ogni evento piovoso appena più intenso. Studiosi, opinionisti, politici e imbonitori di ogni genere lo sostengono convinti, manifestando quel particolare consenso che si riassume nella frase di Abba Eban: “Consenso significa che tutti sono d’accordo nel dire insieme quello che nessuno individualmente crede”.

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E…hop, California Dreamin’ sul carro dell’AGW!

E’ incredibile quanta gente possa contenere il carro del maltempo. Da quando l’uragano Sandy si è formato a quando ha toccato con precisione svizzera la costa orientale USA in forma di Tempesta Tropicale, praticamente tutti i clima-catastrofisti del pianeta hanno sgomitato per dire la loro. Naturalmente senza aggiungere neanche un grammo di grano salis alla discussione, ma certamente acquisendo grande popolarità in un contesto mediatico sempre più schizofrenico e sempre più povero di contenuti.

Nessuna meraviglia ovviamente, ma che qualcuno potesse ‘soffrire” dei complessi di inferiorità per non essere esposto ad eventi come quelli recenti sinceramente mi pare un po’ troppo. Succede in California, la terra del surf e della bella vita, ma, purtroppo, non è di questo che ci tocca parlare.

In California c’è una università e, malgrado qui nella vecchia Europa l’informazione possa sfuggire ai più, ci sono anche delle belle montagne. Si chiama Sierra Nevada la catena montuosa in questione e il nome la dice tutta: malgrado la latitudine non proprio altissima, su quelle montagne ci fa parecchia neve. Questa è da sempre una fortuna, perché quella neve costituisce una riserva d’acqua che con la buona stagione si rivela preziosa per territori altrimenti piuttosto aridi.

Ebbene, su questo argomento su Science Daily si comincia così:

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Bloomberg e Sandy: Chi la fa l’aspetti

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il bello della comunicazione globale è che ogni stupidaggine può essere confutata con la stessa velocità e lo stesso impatto con cui è stata diffusa. E così Antony Watts ha modificato la copertina di Bloomberg Businessweek in modo che possa avere un senso.

Se però la faccenda non dovesse convincervi, date un’occhiata al grafico sotto, rappresenta il numero di Cicloni Tropicali che hanno colpito gli Stati Uniti dal 1951 ad oggi messo a confronto con la concentrazione di CO2.

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L’esercizio (dannoso) del consenso

Alcuni giorni fa si è tenuto presso l’Università di Lecce il primo di una serie di tre seminari organizzati nell’ambito di una iniziativa dell’associazione “Formicaio”. Obbiettivo dichiarato quello di fare comunicazione scientifica su di un ampio spettro di argomenti tutti riconducibili al tema dei cambiamenti climatici.

Il primo evento, che non ho avuto il piacere di poter seguire, è stato pubblicizzato on line dalle pagine di Sud News, con un articolo che ha tutta l’aria di essere un comunicato stampa. Dato che non sono riuscito a trovarlo ingiro però, è necessario partire dal presupposto che si tratti piuttosto di farina del sacco di chi lo ha firmato. E questo è un bene, perché in realtà si tratta di una comunicazione di grande effetto ma di scarsissimo contenuto – eccezion fatta, ovviamente per le coordinate dell’evento, unica informazione solida rilasciata.

Prima di continuare per cortesia andate a leggerlo.

Fatto?

Bene, come avrete visto c’è proprio tutto, dallo scenario spaventoso, al collegamento con gli eventi estremi, ai temi della decrescita (incarnati dall’associazione proponente), al dito puntato contro il genere umano e contro il bieco negazionismo. Ma, soprattutto, c’è il consenso: “La comunità scientifica ha riconosciuto la responsabilità principale di questi fenomeni nell’antropizzazione dell’atmosfera“.

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Quando la CO2 fa il tagliando

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Questo post è stato pubblicato nell’ottobre del 2011 ma, per ragioni del tutto ignote, è sparito dalle nostre pagine. Dal momento che l’argomento – tra l’altro mai sopito – è tornato attuale in alcune recenti discussioni, il minimo che potessimo fare è tornare a pubblicarlo, per cui, ecco qua.

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Le discussioni di questi anni ci hanno abituati a considerare la CO2 come un gas pericoloso per la vita e con tempi di permanenza in atmosfera di decine o centinaia di anni. In altri termini attenti a quanto espirate perché una volta emessa la CO2 non torna più giù!

Tuttavia fin dal 1804, grazie all’opera fondamentale di De Saussure, sappiamo che la nutrizione carbonica delle piante avviene a spese della CO2 presente in atmosfera e dunque l’anidride carbonica è da considerare il mattone della vita sul nostro pianeta in quanto gli autotrofi (alghe, batteri, piante superiori) la usano per il processo di fotosintesi, di norma espresso con la formula seguente:

CO2+H2O -> CH2O + O2 (ove CH2O è 1/6 di una molecola di glucosio che è C6H12O6).

Si crea così una dicotomia antropologicamente lacerante che porta i più critici a domandarsi come sia possibile che un ecosistema come quello terrestre che vanta 2, forse 3 miliardi di anni di vita, abbia potuto convivere con una CO2 dottor Jeckill – mister Hide senza mai esserne sopraffatto. Tutti i nostri ragionamenti si fondano da tempo su misure regolari della concentrazione atmosferica di CO2 condotte in siti sparsi per il globo e che ci rendono manifesti i seguenti fatti:

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Antartide più caldo e più sottile, ma anche no.

Una passione decisamente irresistibile quella per le porzioni ghiacciate del Pianeta. Tutti lì a misurare, studiare, analizzare e…prevedere.

Da Nature:

Lower satellite-gravimetry estimates of Antarctic sea-level contribution – King et al., 2012 – doi:10.1038/nature11621

Si tratta di una nuova analisi dei dati gravimetrici forniti dai sensori dei satelliti GRACE, dati cui è stata applicata un nuovo modello di correzione isostatica. Ne risulterebbe un sensibile ridimensionamento sia del margine di incertezza che del totale della massa che il continente starebbe perdendo. In particolare le nuove stime sarebbero pari da un terzo alla metà di quelle più recentemente pubblicate. La perdita di massa, poi, sarebbe concentrata sulla Costa di Amudsen, sede del bacino di drenaggio del Pine Island Glacier, mentre l’Antartide occidentale sarebbe praticamente in equilibrio e quello orientale in guadagno di massa, anche in questo caso soprattutto sulla costa.

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Tempesta tropicale Sandy e microfoni facili

Qualcuno penserà che nel titolo ci sia un’errore, perché una tempesta tropicale è una cosa e un’uragano un’altra. La prima è un gradino sotto nella scala Saffir Simpson. Vero, ma il titolo è corretto, perché Sandy quando ha toccato la costa orientale USA era una tempesta tropicale, cioè con vento sotto la soglia dei 63 nodi, più precisamente in media 50 nodi.

Questo non significa che non abbia fatto danni, come è sotto gli occhi di tutti, né che non detenga un record. E’ stata infatti la tempesta con il maggior diametro registrato da quando le misurazioni sono oggettive. Tuttavia la differenza non è banale, perché, ad esempio nel 1938 (faceva caldo ma non c’era l’AGW), l’uragano di categoria 3 che ‘atterrò’ sulla costa del New England fece 600 vittime. Da allora è sicuramente migliorata la resilienza, ma sono anche clamorosamente aumentate le infrastrutture esposte al danneggiamento. Di qui, per fortuna, la diminuzione delle vittime e l’aumento dei danni.

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