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Mese: Novembre 2012

Le nevi del Kilimangiaro

di Luigi Mariani

Le “nevi del Kilimangiaro” affascinano l’uomo moderno perlomeno da quando Ernest Hemingway scrisse l’omonima novella.

Un ritorno di fiamma dell’interesse verso questo remoto ghiacciaio tropicale si ebbe undici anni orsono grazie all’affermazione del geofisico Lonnie Thompson (2001) il quale disse che “è probabile che fra vent’anni il solo pezzo di ghiaccio del Kilimangiaro rimasto al mondo sarà nei nostri frigoriferi”  (qui trovate una biografia di Thompson).

Questo coup de theatre, peraltro citato da Gore nel suo Inconvenient truth, ha avuto un tale successo da fare dei ghiacci dei grandi vulcani africani o del Kilimangiario delle icone degli ecologisti e dei simboli del global warming.

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Richard Lindzen: La scienza è oggi in grado di rispondere alle domande?

Il Talkshop di Tallbloke ha pubblicato la revisitazione di un articolo del 2008 di Richard Lindzen, un saggio che non ha affatto perso le sue caratteristiche di attualità, anzi, con tutto quello che è successo da allora ad oggi – climategate, varie conferenze delle parti fallite miseramente, crollo dell’attenzione politica, sempre maggiore isolamento delle torri d’avorio del clima rispetto alla realtà di quello che accade e, ultimo ma non meno importante, il 28gate di questi giorni – le ha ulteriormente accresciute.

Si parla di deriva della scienza, di passaggio dall’opposizione dialettica tra la teoria e le osservazioni all’enfasi sui programmi di simulazione e osservazione. Si parla di un sistema che da decenni persegue una politica autoreferenziale attraverso la penetrazione di attivisti nelle istituzioni scientifiche, attraverso il lobbysmo e attraverso l’accapparramento di tutte le risorse disponibili e la ‘scientifica’ politicizzazione del dibattito scientifico, con tanto di organi politici creati appositamente ai massimi livelli istituzionali. Risorse che sono cresciute a dismisura con gli scienziati che sono passati – o magari scesi nel mondo reale come dice Lindzen – dalla ricerca della gratitudine della società all’utilizzo della paura per ottenere consensi e quindi sostegno.

Il risultato? Una potenziale inadeguatezza dello strumento scientifico a contribuire fattivamente al progresso ed alla soluzione di problemi reali.

Questo che segue è l’abstract:

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Mirror posting: TwentyEightGate – il mio scoop giornalistico che ha fatto il giro del mondo

di Maurizio Morabito

Breve excursus sul TwentyEightGate, il mio ultimo..ahem..secondo voglio dire “scoop” che ha fatto il giro del mondo essendo un bello (e legale!) sgambetto al bulletto chiamato BBC.

È uno “scoop” importante abbastanza da aver portato quasi 21mila visitatori su questo blog [Omnologos] in un giorno solo (13 Novembre).

In poche parole: la BBC ha combattuto per cinque anni contro un pensionato (il blogger Tony Newbery ad Harmless Sky) per impedirgli di ottenere una lista di nomi di partecipanti a un seminario sul cambiamento climatico, tenuto il 26 gennaio 2006. Io ho trovato quella lista (in maniera perfettamente legale, già su internet) e ne ho facilitato la lettura.

Maurizio 1 – BBC 0. In altre parole, Gente Comune 1 – Bulletti 0.

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Uno sguardo sul futuro dell’energia

Due notizie sugli idrocarburi hanno attratto la mia attenzione nell’ultimo mese. L’ultima, e più rilevante, dice che l’International Energy Agency ha rilasciato uno studio con alcune previsioni di scenario sull’energia nei prossimi decenni. I fatti salienti sono stati riportati, ad esempio, dal Financial Times e da Reuters. Vi invito a leggere i riferimenti citati dove c’è dovizia di particolari. In sostanza, l’IEA prevede che nel giro di cinque anni gli USA raggiungeranno Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio; questo paese, tuttavia, riprenderà il primato
intorno al 2035, grazie a continui aumenti di produzione. Per gli USA saranno fondamentali i contributi alla produzione dati dal cosiddetto petrolio alternativo (ad esempio prodotto grazie al “fracking”), tanto che il paese potrebbe raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2035. Per quanto riguarda il prezzo, normalizzato all’inflazione, per il 2035 si
prevede una forchetta tra i 125 e i 145 dollari (in valuta attuale) per barile; un costo che, nel caso peggiore, è sostanzialmente allineato ai record di quattro anni fa, quindi sostenibile. Non male per una fonte energetica di cui i guru ambientalisti avevano previsto il picco (più volte in passato, sbagliando) e la rapida obsolescenza. A completare il
panorama, lo studio sostiene che “i combustibili fossili rimarranno dominanti in generale nel mix energetico globale” e la quota del carbone diminuirà solo marginalmente nel 2035.

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Sarà, naturalmente, peggio del previsto

E’ uscito su Science un nuovo articolo firmato da John Fasullo e Kevin Trenberth:

A Less Cloudy Future: The Role of Subtropical Subsidence in Climate Sensitivity

Sui media lo troviamo come sempre in una forma un po’ diversa, con Science Daily che riprende pari pari il comunicato stampa dell’NCAR: Future Warming Likely to Be On High Side of Climate Projections, Analysis Finds

Come spesso accade, tanto nel comunicato stampa quanto nelle successive riproduzioni dei media, si cerca di mettere in risalto le parti più ad effetto dello studio in questione, anche se queste nello stesso sono piuttosto marginali. Questo è ovviamente fisiologico, anche se qualche volta ci piacerebbe che non accadesse. Vediamo di cosa si tratta.

Allo stato attuale della conoscenza, con riferimento alle proizioni climatiche, l’elemento di maggiore incertezza è rappresentato dall’impossibilità di quantificare con precisione la sensibilità climatica, che per definizione identifica la risposta del sistema climatico in termini di riscaldamento al raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali. La difficoltà consiste nell’identificazione delle dinamiche e della magnitudo dei feedback radiativi, cioè di quei processi di potenziamento/mitigazione del riscaldamento che si suppone debbano realizzarsi nel sistema in risposta ad uno squilibrio positivo del bilancio radiativo del Pianeta. Il più significativo di questi feedback, ma anche il più incerto, è il feedback delle nubi. La nuvolosità, infatti, ha il duplice ruolo di riflettere la radiazione solare e di trattenere la radiazione uscente dalla superficie, con un effetto complessivamente raffreddante. Ma la nuvolosità è la manifestazione visiva della presenza di vapore acqueo in atmosfera, per cui una modifica del tipo e della quantità di nubi presenti su vasta scala può modificare l’ampiezza di questo effetto generalmente raffreddante, di fatto amplificando il riscaldamento.

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La BBC e la lista dei comunicattivi – Aggiornato

Post aggiornato, leggete in fondo.

C’è una faccenda che gira per il web da qualche tempo. Come spesso accade, i suoi giri li ha fatti in sordina, salvo poi esplodere all’improvviso. Questo però, non è un caso di notizie a cui per ragioni inspiegabili spuntano le gambe, è un caso di tenacia, capacità investigativa e interesse per la verità o, se credete, per non essere presi per i fondelli.

Avevo inizialmente deciso di non ‘coprire’ questa storia su CM perché l’attore principale è la BBC, noto broadcaster d’oltre Manica attivamente impegnato a sostenere anima e corpo le tesi più climacatastrofiche possibile. Quindi, pensavo, fatti loro e dei sudditi di Sua Maestà. Ma dal momento che pare che l’abbiano fatta davvero grossa e a sfilar loro i vestiti è stato uno che con CM ha avuto ed ha molto a che fare, Maurizio Morabito, ve la devo proprio raccontare.

Nel perfetto stile british di stretta osservanza delle regole, la BBC tempo fa aveva fatto sapere che dopo aver realizzato una serie di meeting, di cui uno molto importante e significativo, aveva deciso di orientare la sua linea editoriale sulle tesi dell’AGW. Il parere degli esperti, dicevano, ci ha convinti della effettiva pericolosità della situazione. Brainstorming climatico e dubbi fugati, via verso la salvezza del Pianeta!

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La forzante solare è in grado di influenzare il clima terrestre?

Una delle discussioni più appassionanti nell’ambito del dibattito sul clima, riguarda l’influenza del Sole sul sistema climatico terrestre. In particolare si dibatte circa l’influenza sul clima terrestre dell’intensità dei massimi solari e della profondità dei minimi solari. Secondo alcuni la PEG o LIA, cioè il periodo freddo che ha caratterizzato gli anni compresi grossomodo tra il 17° secolo e gli inizi del 19° secolo, fu originata da una lunga serie di minimi solari meglio conosciuti come Minimo di Maunder.

Molti climatologi danno poco credito a questa attribuzione e, probabilmente a ragione, chiamano in gioco molte altre cause. Alcuni hanno cercato addirittura di negare l’esistenza della PEG o di ridimensionarla a fenomeno locale e, quindi, di scarso interesse globale. A mio modesto parere “in medio stat virtus” che, tradotto, significa che la PEG ha avuto molte concause tra cui anche il Sole. Dello stesso avviso, per esempio, sono gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista THE HOLOCENE lo scorso mese di ottobre:

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Modello N°5: Sandy

Nell’indimenticabile film di Roberto Benigni non era Sandy ma Giuditta, ma sempre di geniale parodia della moda si trattava. La moda, da non crederci, è l’ultima frontiera dell’attivismo climatico. Attenzione, non parlo di tessuti ecocompatibili, riciclaggio di materiali o altri stratagemmi comunicativi molto chic per alzare l’appeal della produzione, parlo di moda del linguaggio.

Da Science Daily:

Climate Science: Trends in Use of Words in Scientific Studies May Impact Public Perceptions.

E’ un commento ad uno studio pubblicato su PLOS ONE, rivista scientifica open access ad ampio spettro:

Word Diffusion and Climate Change (pdf)

La prima firma è Alexander Bentley (non ha niente a che vedere con le auto, purtroppo), docente di archeologia e antropologia all’università di Bristol. L’abstract recita così:

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