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Mese: Settembre 2012

Previsioni stagionali: Scaldiamo i motori per l’inverno!

I nostri lettori abituali penseranno che siamo impazziti, immaginando che contrariamente alle nostre abitudini, non solo ci gettiamo nella mischia delle previsioni, cosa che su queste pagine non accade quasi mai, ma addirittura lo facciamo con un anticipo che ogni meteorologo sano di mente giudicherebbe ridicolo. Così non è in effetti. Non abbiamo nessuna intenzione di fare presagi di nessun genere.

Lo spunto per il nostro titolo di oggi e per il contenuto di questo post, viene da una recente pubblicazione scientifica in materia di previsioni stagionali della quale ci ha dato notizia Science Daily:

Seasonal Forecast for northern emisphere winter 2009/2010 – IOp Science, Environmental Research Letters.

Si tratta di uno studio di rianalisi delle performance del modello di previsione stagionale in uso presso lo UK Met Office, il modello GloSea4, cui si aggiungono degli interessanti spunti previsionistici per l’immediato futuro.

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Il Meteorologo non è un deficiente

Il Meteorologo non è un deficiente. Almeno non sempre. Si avvicina pericolosamente alla soglia del difetto quando si occupa di clima, ma recupera rapidamente l’intelletto se si orienta con entusiasmo all’ipotesi delle origini totalmente antropiche delle evoluzioni del clima. Se di questo orientamento fa poi una bandiera da sventolare ad ogni buona occasione mediatica – che al suddetto meteorologo di certo non mancano – può anche diventare un climatologo e smettere di essere…deficiente.

Ho copiato pari pari il titolo di questo post da un articolo che Judith Curry ha pubblicato di recente sul suo blog:

The weatherman is not a moron

Già che ci sono prima di continuare completo il lavoro copiando anche le prime due righe del suo post, che sono una citazione di Nate Silver, il cui ultimo libro è appunto oggetto dell’articolo.

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Perché i previsori meteorologici stanno avendo successo mentre altri previsori falliscono? Perché già molto tempo fa sono giunti ad accettare le imperfezioni della loro conoscenza.

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I pallettari

Non importa quanto forte sarà il vostro servizio, quanto profonda la vostra volèe. Il pallettaro doc continuerà imperterrito a fare il metronomo da fondocampo rimandando oltre la rete tutti i vostri tentativi, fino a prendervi per stanchezza. Nel Tennis moderno ci sono stati dei pallettari storici. Quando si incontravano tra loro gli incontri sulla terra rossa potevano durare intere giornate, in qualche caso è stato necessario sospendere e riprendere il gioco il giorno successivo.

La tecnica è semplice, sebbene richieda impegno e grandi qualità fisiche, si deve solo rimandare tutte le palle dall’altra parte.

Oggi parliamo di sport? No, parliamo sempre di clima, anzi, rispolveriamo un argomento a noi molto caro, quello della relazione tra cambiamenti climatici reali o presunti, antropici o naturali che siano e eventi estremi.

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Risorse alimentari, un nuovo approfondimento

Giorni addietro vi abbiamo anticipato la possibilità di una crisi alimentare di proporzioni preoccupanti, dovuta principalmente all’aumento improvviso e consistente dei prezzi delle materie prime alimentari. Questo picco nei prezzi trova la propria causa anche nelle devastanti ondate di siccità che hanno colpito gli Stati Uniti d’America. Come abbiamo spiegato precedentemente i paesi maggiormente esposti a questo shock dei prezzi sono quei paesi in cui la spesa alimentare assorbe la maggior parte del reddito. Un aumento del 10% della spesa alimentare impatta in modo molto diverso nel caso in cui spendiate abitualmente il 30% del vostro reddito in alimenti. Avrà un impatto completamente diverso se, invece, la vostra spesa abituale assorbe fino all’80%. E incidentalmente sono proprio i paesi in via di sviluppo che spendono la quota maggiore del reddito pro capite per avere accesso ai beni di sussistenza. Questa nuova ondata di rincari vede di nuovo in pericolo i paesi del Medio Oriente e dell’Africa Sub-Sahariana.

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Carbon contest

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un post circa uno studio recente che avrebbe misurato/osservato una diminuzione della quantità di nubi che coprono mediamente il Pianeta.

Uno dei nostri lettori, Alvaro de Orleans-B. ha posto una domanda interessante, lanciando al contempo una simpatica sfida a tutti gli altri frequentatori di queste pagine. Perché tutti possano leggerla e decidere se cimentarsi o meno la elevo al rango di post, pregando di convogliare qui eventuali commenti e/o risposte. Al tempo stesso, se credete potete utilizzare la nostra mail info@climatemonitor.it per inviare materiale o altro che supporti la vostra spiegazione.

Quanto segue è il testo del commento di Alvaro.

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Si chiama Global Warming, non America warming.

Questo è un esperimento. Voglio provare a proporre un argomento che potrebbe avere dei risvolti politici. Per carità, è già successo, ma si è trattato sempre di “incidenti di percorso”, per lo più provocazioni in stile troll in sede di commento che abbiamo sempre bloccato sul nascere. Per scelta.

Oggi proviamo a farci del male da soli, perché so già che potenzialmente si potrebbero alzare bandiere di colore opposto. Vorrei però invitarvi a riflettere soltanto sui contenuti di quanto segue, evitando dietrologie, barricate o preconcetti ideologici. Non dovrebbe essere difficile, perché non si tratta di casa nostra, sono pazzo sì, ma non fino a questo punto.

Si tratta degli USA e della loro campagna elettorale, accesasi recentemente con le convention delle due opposte fazioni celebrate una dopo l’altra. Del resto, piaccia o no, nel bene o nel male, quello che succede dall’altra parte dell’oceano ci riguarda sempre da vicino, almeno da 70 anni a questa parte.

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La coperta si accorcia

Un paio di anni fa Roy Spencer, che lavora insieme a John Christy sui dati delle temperature rilevate dai satelliti, ha pubblicato un libro con un titolo piuttosto significativo:

The great global warming blunder

Blunder significa “abbaglio”, ma anche svista o errore. Il comune denominatore del suo libro è semplice: nel gridare all’allarme per un clima che si disferebbe a causa delle attività umane, essenzialmente emissioni di CO2, la gran parte della comunità scientifica ha confuso la causa con l’effetto. Infatti nell’introduzione, salvo poi sviluppare il concetto molto più approfonditamente nel corpo del libro, egli asserisce che per giustificare, ovvero causare, una buona parte se non tutto l’aumento che le temperature medie superficiali hanno subito nelle ultime decadi del secolo scorso, sarebbe sufficiente una diminuzione dell’ordine dell’1-2% della copertura nuvolosa a livello globale.

Le nubi di fatto schermano i raggi solari. Se così non fosse non ci sarebbero fior di avveniristici e utopici progetti di generazione forzata della nuvolosità o di ancor più utopici specchi orbitanti per mitigare gli effetti del global warming antropico, in quella che chiamano geoingegneria ma è più che altro la caricatura delle gesta di Archimede Pitagorico.

Beh, sul Journal of Climate è uscito qualche tempo fa un paper con questo titolo:

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