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Mese: Ottobre 2011

Cibo vs biofuel, ennesimo capitolo della saga

Probabilmente parlare oggi di economia è garanzia di essere immediatamente cestinati, se poi addirittura parliamo di modelli matematici applicati all’economia, allora diventa più che certo. Quanto però stiamo per raccontare è un esempio positivo di come si possano utilizzare i modelli matematici, sebbene per spiegare un fenomeno a dir poco fastidioso. Sto parlando delle cause che hanno portato al rialzo repentino e massiccio dei prezzi delle materie prime alimentari. Ormai siamo in tanti a parlarne (qui su CM ne parliamo da molto tempo, davvero) e nonostante ciò la situazione rimane critica e in tendenza, potrebbe anche peggiorare.

L’analisi di turno questa volta arriva dall’Istituto dei Sistemi Complessi del New England ed è firmata dallo scienziato Yaneer Bar-Yam1 . Prima di partire però, è doveroso un rapido punto della situazione (invito in ogni caso il lettore a compiere una rapida ricerca tra gli articoli più vecchi di CM). Nel 2008 è venuta a galla la punta di un iceberg che affonda le proprie radici almeno un decennio prima: con la bolla speculativa (detta “crisi dei mutui”), una serie di ingenti capitali hanno cominciato a spostarsi da una fonte di investimento all’altra, materie prime alimentari comprese. Ora, dobbiamo tutti ricordarci che la speculazione su queste materie prime non è una novità, c’è sempre stata, ma era confinata agli operatori stessi del settore e serviva fondamentalmente a ripararsi dal rischio legato alla produzione agricola.

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  1. “The Food Crises: A quantitative model of food prices including speculators and ethanol conversion.” By Marco Lagi, Yavni Bar-Yam, Karla Z. Bertrand, Yaneer Bar-Yam. arXiv, Sept. 21, 2011 []
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C’era una volta il consenso

Ma se lo dicono quelli bravi possiamo crederci? Se sono gli elementi di spicco della scienza del clima a gettare via quella odiosa e insostenibile immagine della scienza ‘settled’, della scienza monolitica, della visione unica dei problemi complessi, possiamo almeno dire che questo è quello che andiamo dicendo da anni?

Da Nature prima e dal blog di Roger Pielke jr poi, un’interessante opinione di  Dan Sarewitz, che ha recentemente preso parte alla stesura di un report in tema di geoingegneria:

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Desertificazione in Italia: dati vecchi ma allarmi nuovi – aggiornamento

Dal 10 al 21 ottobre si svolgerà in Corea la decima conferenza internazionale della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), organizzata per la prima volta in Asia dai Paesi firmatari della Convenzione per fare il punto su una grave minaccia globale, la desertificazione.

Nei giorni scorsi per lanciare l’evento ‘mediaticamente’ si è puntato sull’allarme. In Europa pare che ben 12 stati ‘soffrano’ per tale fenomeno.  Su molti quotidiani e siti internet non si è persa l’occasione per descrivere ‘scientificamente’ la pessima situazione italiana ricorrendo a informazioni che possono essere ben sintetizzate dal pezzo sotto riportato (il neretto è del sottoscritto):

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Non c’è pace tra gli ulivi

‘Sarà forse invidia per il clima mite della Riviera, ma che i piemontesi cerchino di coltivare l’olivo non è certo una novità. Sono quasi mille anni che ci proviamo con risultati però altalenanti e spesso scadenti, come splendidamente descritto in un trattatello culinario del 1600 che dice più o meno così: “In Piemonte si fa l’olio d’oliva sui colli più temperati di Astigiano, Monferrato, Eporediese e Saluzzese, ma in scarsissima quantità sia perché fa troppo freddo, sia perché in tempo di guerra gli alberi vengono tagliati e bruciati dai soldati”. Insomma, nel pieno della Piccola Età Glaciale  –  il periodo freddo tra il 1350 e il 1850  –  i pochi olivi rimasti erano quasi più utili come legna da ardere e, dopo il gelo memorabile dell’inverno del 1709, resistette qualche pianta solo sulle sponde dei laghi d’Orta e Maggiore. Diversa era la situazione nel Medioevo, quando il clima era decisamente più mite  –  probabilmente abbastanza simile a quello attuale  –  e le cronache raccontano di olivi, mandorli e persino piante di zafferano sul versante sud della collina torinese; la redditività e qualità di queste colture era però verosimilmente scarsa, visto che, per esempio, era la Chiesa a caldeggiare la coltivazione delle olive per avere l’olio per i riti religiosi. Ora il riscaldamento globale degli ultimi decenni sembra concederci nuove chance e così gli ulivi sono ricomparsi tra Langhe e Monferrato e sui pendii prealpini. Una scelta geografica azzeccata, dal momento che le gemme non resistono a temperature inferiori ai -10 °C, valori non del tutto inusuali sulla pianura piemontese nemmeno con un clima sempre più caldo; le zone collinari, invece, rimangono al di fuori dello strato di inversione termica presente sulla pianura e garantiscono un rischio minore di gelate intense. Resta però una coltivazione troppo fragile per il nostro clima, adatta più che altro ad abbellire parchi e giardini o a concederci la soddisfazione di qualche bottiglia d’olio autoctono e non certo in grado di rivaleggiare con la produzione della vicina Liguria’.

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Omer Simpson è tornato

Per la verità non se ne era mai andato. Magari può essere stato assente per qualche giorno perché impegnato a sostenere attivamente, anzi, attivisticamente la causa  dell’AGW, ma James Hansen, famoso climatologo, custode del dataset delle temperature superficiali e, apprendiamo dall’Indipendent, anche ‘padre del riscaldamento globale’ (da intendersi sia come figura genitoriale quanto come profeta dello stesso), è tornato a farsi sentire:

“Gli scettici del clima stanno avendo la meglio con il pubblico sul riscaldamento globale, nonostante la stessa scienza del clima stia diventando sempre più chiara nel mostrare che la Terra è in  pericolo per l’aumento delle temperature”

L’arma letale, secondo lui, sarebbe l’aver assoldato degli specialisti della comunicazione, abili a imbambolare il popolo bue, mentre i ‘poveri’ scienziati sono normalmente deficitari nell’arte di incantare il prossimo.

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La moderna ‘piccola’ Età Glaciale

E’ sulle news di Nature Geoscience, e di lì ha già fatto il giro del mondo. Una notizia che naturalmente si è trasformata passando di media in media. C’è chi ne ha sottolineato il rinnovato sapore catastrofico, pur con un intrigante cambiamento di segno rispetto alla norma; chi ha preferito concentrarsi sul fatto che in fondo si tratta di previsioni stagionali o annuali, pratica in cui chi ha diffuso questa news non si è proprio distinto negli ultimi anni; e c’è chi l’ha presa per quello che è, un probabile passo avanti nella direzione giusta per comprendere i complessi meccanismi del clima – o almeno una parte di essi- nel medio e lungo periodo climatico.

Si parla del forcing esercitato dal Sole sul sistema. Finalmente, dopo un lungo periodo di vero e proprio oscurantismo, la possibilità di disporre di misurazioni accurate di una componente importante della radiazione solare, la radiazione ultravioletta, ha permesso che di accendere la luce. Per anni infatti, le simulazioni climatiche sono state fondate sul principio che l’attività solare, intesa esclusivamente come TSI (Radiazione Incidente Totale), non avesse alcun impatto tangibile sulle dinamiche del sistema. Stabile o quasi la TSI, molto variabile il clima, i due sistemi non potevano essere legati.

Di qui la pratica di inserire la componente solare nei modelli di simulazione climatica come costante. Grazie alle misurazioni ottenute dal programma satellitare SORCE, sono state rilevate delle oscillazioni della radiazione ultravioletta che arriva dal Sole cinque volte maggiori di quanto si riteneva possibile. Inserendo questi dati in un modello climatico, ne è venuta fuori una ricostruzione a scala stagionale dei pattern atmosferici dell’area del nord Atlantico molto più fedele alle osservazioni di quanto fosse mai accaduto. In particolare, i periodi di scarsa attività solare e di conseguente forte diminuzione della radiazione UV, riproducono il pattern della circolazione atmosferica della NAO (Oscillazione del Nord Atlantico) negativa, un modello circolatorio che genera l’abbassamento di latitudine della rotta delle perturbazioni atlantiche, con relativo frequente interessamento dell’Europa mediterranea e con aria fredda di origine polare che si spinge con maggiore frequenza sul settore settentrionale del continente.

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Anno 1791: primo intervento legislativo per combattere i Cambiamenti Climatici.

Gli alberi sono stati da sempre ritenuti giustamente fondamentali per l’umanità, tanto che probabilmente la prima normativa che in qualche modo pone dei limiti al…

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