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Categoria: Energia

A.A.A. Chillo è ‘o paese d’ ‘ove s’accattano o’ pannello solare.

Si sgonfia l’utopia di Desertec: all’Europa l’elettricità del Sahara non serve più. L’esportazione di energia pulita dal Maghreb al Vecchio Continente non è più l’obiettivo primario del progetto. Questa in sintesi l’intervista a Paul van Son, amministratore delegato di Desertec Industrial Initiative, che ha dovuto ammettere il ridimensionamento totale del programma, che era stato pensato per soddisfare il 20% dei consumi elettrici europei entro il 2050.

 

Dopo che la crisi economica ha smesso di permettere cospicui investimenti pagati dai cittadini europei sotto forma di incentivi caricati in bolletta o aumento sotto la forma di qualche nuova tassa, erano aumentati i sospetti che il progetto fosse tecnicamente affascinante ma economicamente insostenibile. Su CM abbiamo pubblicato un post in proposito il 12dicembre 2012.

 

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Ci ripensa pure Stern?

Siamo a cavallo, se anche Lord Stern, autore del celeberrimo Stern Review del 2006, documento che ha di fatto accolto nei salotti dell’alta finanza il tema dei cambiamenti climatici, si è accorto che il mondo non si è scaldato come avrebbe dovuto vuol dire che è proprio vero.

 

Fairly flat, piuttosto piatto, così ha definito l’andamento delle temperature degli ultimi dieci anni, aggiungendo anche che il potente riscaldamento del 1998 è stato in gran parte ascrivibile ad un altrettanto potente El Nino, fenomeno climatico prettamente naturale. Togli quello dalle serie e ti accorgi che gli anni di stasi sono anche di più.

 

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Per fare il pellet ci vuole un albero

A volte mi domando se tutti quelli che discutono di “effetti” e “conseguenze” del riscaldamento globale, discettando eruditamente di feedback, di questo che genera quello, di quel meccanismo che porterà a quell’altro etc etc, si sono mai fermati veramente un attimo a pensare alle conseguenze di azioni di riparazione e mitigazione che sono state così leggiadramente proposte per la pronta risposta dei policy makers.

 

Ormai la macro immagine l’abbiamo, gli enormi sforzi negoziali sfociati nel mostro di Kyoto e successivamente arenatisi, hanno fatto solo danni economici segnando uno zero tondo tondo circa i già dubbi risultati climatici. Quelle che mancano, ma che stanno gradualmente diventando più nitide, sono le tante piccole immagini che questa fobia climatica ha generato.

 

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Una sostenibilità sostenibile

Il titolo di questo post non è un gioco di parole, quanto piuttosto un obbiettivo che dovrebbe essere perseguito. La realtà, sfido chiunque a negarlo, è spesso cruda, come quella di questi tempi, ma ha anche il difetto di superare sempre l’immaginazione, anche quella animata dalle migliori intenzioni.

 

E’ di qualche giorno fa la notizia del dietrofront della Commissione Europea rispetto alle politiche climatiche che ne hanno caratterizzato il lavoro negli ultimi anni. Votando contro il provvedimento che sarebbe dovuto intervenire in soccorso del mercato ETS, scrive Roger Pielke jr, alle policy climatiche è stato assegnato un posto in sala d’attesa, manifestando (per fortuna!) il fatto che gli europei non sono diversi dagli altri abitanti di questo pianeta e, quindi, di fronte all’alternativa tra tentare di tamponare gli effetti di una crisi economica divenuta cronica e perseguire policy climatiche molto costose e dai dubbi risultati, hanno razionalmente scelto la prima opzione. La fine di un brand, cioè di un simbolo che ha ben rappresentato l’impegno nelle policy climatiche, ma che è stato sin dall’inizio privo di sostanza. Difficile pensare che questo cambiamento nell’orientamento del Parlamento Europeo, possa non avere a che fare con quello che i singoli stati fanno in barba a quello che dicono di voler fare. Il carbone, la tanto vituperata materia prima fossile i cui residuati di combustione avrebbero dovuto essere oggetto di tassazione sempre più stringente al fine di limitarne il consumo, è salito al 30% nel mix energetico su base globale (+5% nel 2012) e al 33% in Europa, con paesi “molto verdi” come la Germania, l’Inghilterra e la Francia, che guidano la classifica dell’aumento delle importazioni. Curiosamente, l’Italia, sprecona e inquinante, è al 12%, 19 punti percentuali sotto la media europea (Corriere e Repubblica). E così ora, fallite per manifesta inadeguatezza le policy di mitigazione, si passa all’adattamento, puntando sul mercato assicurativo. Che Dio ce la mandi buona.

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La supercazzola fotovoltaica

La notizia è la seguente (Ansa):

Solare produce piu’ di quanto consuma

Bilancio positivo tra produzione e uso per costruire pannelli

ROMA – L’industria fotovoltaica mondiale ha raggiunto l’obiettivo di produrre piu’ energia di quanta ne viene consumata per fabbricare e installare i pannelli fotovoltaici. A dirlo e’ una ricerca della Stanford University pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology.Se cinque anni fa l’energia necessaria per costruire e mettere in funzione i pannelli era superiore al 75% rispetto a quella prodotta sfruttando il sole, secondo i ricercatori ora esiste una buona probabilita’ – superiore al 50% – che il fotovoltaico sia passato, nel 2012, a produrre piu’ di quel che consuma.Negli ultimi anni il mercato del fotovoltaico ha visto una crescita esponenziale. Secondo l’ultimo rapporto dell’European Photovoltaic Industry Association, l’anno scorso gli impianti hanno superato i 100 gigawatt di potenza installata nel mondo, attestandosi poco sopra i 101 GW, grazie a un incremento annuale annuale record intorno ai 30 GW registrato nel 2011 e nel 2012.Stando alla ricerca, se si proseguisse con un tasso di installazione elevato, l’industria fotovoltaica potrebbe ripagare il suo ”debito”, cioe’ il maggior quantitativo di energia consumata rispetto a quella prodotta negli anni scorsi e le conseguenti emissioni di Co2, tra il 2015 e il 2020.

 

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