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Categoria: Climatologia

Classifichissime

Bene, siamo ben dentro il mese di marzo, cominciato, tra le altre cose, con un discreto calduccio. Tempo di compilare qualche classifica. Lo facciamo di martedì perché il lunedì il nostro popolo di santi, poeti, navigatori, meteorologi e allenatori della nazionale di calcio si dedica giustamente alle classifiche calcistiche (che detto tra noi hanno regalato a chi scrive qualche soddisfazione…).

Naturalmente, la fonte è sempre la stessa. L’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR ha appena tirato le somme del mese di febbraio, azzardando un commento anche per l’intera (sebbene non ancora terminata) stagione invernale.

La notizia dell’anno è che a febbraio ha fatto freddo. Nonostante ciò, complice la scaldata finale figlia tra l’altro delle stesse cause, l’anomalia negativa delle temperature si è collocata solo al 33° posto tra i mesi di febbraio più rigidi da quando si fanno misurazioni. Era dal 1965 che non si registrava un’anomalia così. A ben vedere, però, ha fatto anche caldo. Lo scorso mese di febbraio è stato il 78° più caldo sempre da quando si fanno le misurazioni. La palma gelata spetta ancora al 1803, mentre la memoria più fresca rimanda al 1956, terzo classificato sulla ruota dell’inutile.

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A lezione da Richard Lindzen

Richard Lindzen, scienziato di chiara fama scettica, ha tenuto un seminario alla Camera dei Comuni. Già la location dovrebbe far capire a quanti intendono privare il prossimo della possibilità di esprimere opinioni scientifiche difformi da quelle del mainstream che forse quanti non sono convinti che stia per arrivare l’armaggeddon climatico non sono proprio dei minus habens. Diversamente, piuttosto che presso la sede del parlamento inglese, Lindzen avrebbe parlato dallo speaker corner di Piccadilly, magari tirando su anche qualche spicciolo.

Judith Curry, che scettica non è, ha trovato la sua esposizione molto interessante, al punto di riassumere il contenuto di molte delle slide presentate sul suo blog.

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Meno ghiaccio ma più neve: variabilità stagionale o climatica?

Alcuni giorni fa su Science Daily è comparso il commento ad un nuovo paper pubblicato sui PNAS tra le cui firme compare anche Judith Curry. Il lavoro è interessante, sebbene a prima vista potrebbe sembrare uno dei soliti lavori di sostegno all’ipotesi AGW.

Impact of declining Arctic sea ice on winter snowfall – PNAS – Jiping Liu et al., 2012

In effetti non dobbiamo essere stati i soli ad avere questa prima impressione, tanto che un media australiano ha subito risolto l’equazione titolando: Il riscaldamento globale sta rendendo il mondo più freddo. Sommersi dalle risa dei lettori, hanno poi velocemente cambiato il titolo del pezzo: Lo scioglimento dell’Artico causa inverni più nevosi in Europa e negli USA. A seguire la BBC, con il noto giornalista scientifico devoto alla causa della catastrofe climatica, Richard Black, che ne ha fatto subito una prova di disastro alle porte: L’Artico che si scioglie è collegato a inverni freddi e nevosi in UK.

Vediamo di cosa si tratta.

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Ma che caldo [non] fa

Il bello di far previsioni non è scoprire di aver ragione. Né capire di aver sbagliato si deve intendere come un fallimento, a patto che la previsione, come deve essere sempre, sia la migliore possibile. A patto cioè che per formularla si sia tenuto conto di tutte le informazioni disponibili. E’ per questo che le previsioni si aggiornano continuamente, perché si rendono disponibili nuove e più ‘fresche’ informazioni. Ma nessuna previsione, buona o cattiva che sia, può prescindere dalla verifica.

ll clima, ovvero le previsioni climatiche, evidentemente fa eccezione. Le previsioni, una volta formulate, sebbene siano inverificabili, diventano pietre. E giù tutto il mondo – almeno così piacerebbe a molti – a orientarsi di conseguenza.

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La memoria del tempo non è solo in Europa

Nelle nostre lunghe discussioni climatiche lo avremo scritto un migliaio di volte. Una cosa è misurare i parametri atmosferici come facciamo da un secolo e mezzo circa, altra è tentare di derivare questa misura da dati di prossimità.

Del resto, per cercare di comprendere cosa possa essere accaduto in passato, ovvero per disporre di un termine di paragone con il presente, non ci sono molte altre alternative. Anzi, forse ce n’è una sola e non può neanche funzionare da sola. Stiamo parlando della memoria storica, degli scritti, delle cronache, delle osservazioni che gli studiosi dei tempi antichi collezionavano con fatica e dedizione.

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I dati NOAA aggiornati a gennaio 2012.

Le anomalie di temperatura rese disponibili dal NOAA e scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di Gennaio 2012.

Come è noto, questo file mantiene sempre lo stesso nome anche se ogni mese viene ricalcolato con algoritmi che coinvolgono tutti i dati, a partire dal 1880; ogni mese i dati mensili medi delle anomalie di temperatura vengono modificati di quantità dell’ordine di qualche millesimo di grado centigrado. Mi sono proposto di verificare di quanto cambia il file ogni mese e avevo iniziato il confronto tra i dati fino a novembre 2011 e quelli fino a dicembre 2011 su Climate Monitor qui e anche qui (per favore prendere nota: per un motivo che non conosco, se si tenta di accedere al mio server con www.zafzaf.it si ottiene l’errore “not found”. Bisogna accedere con zafzaf.it – quindi senza il www- e va tutto bene).

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Non vendete il cappotto

Si chiama Habibullo I. Abdussamatov, ed è certamente un personaggio controverso. Di professione astrofisico, non è certamente un peso leggero nel panorama scientifico del suo paese. Ha un grosso difetto, è clamorosamente scettico in materia di riscaldamento globale di origine antropica. Le sue ‘esternazioni’ sull’effetto serra hanno fatto discutere. Avrebbe potuto risparmiarsele e concentrarsi sul suo specifico settore di applicazone, sul quale invece sconsiglierei di affrontarci una discussione.

Ha pubblicato di recente un nuovo paper, il titolo è tutto un programma:

Bicentennial Decrease of the Total Solar Irradiance Leads to Unbalanced Thermal Budget of the Earth and the Little Ice Age

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Gli shift climatici ed il calore degli oceani

Alcuni giorni fa Roger Pielke sr ha portato all’attenzione dei suoi lettori la pubblicazione di un nuovo articolo molto interessante. L’argomento trattato è riassunto nel titolo di questo post. Si parla di rapidi cambiamenti di modalità climatiche e possibilità di intercettarli attraverso i dati disponibili sul contenuto di calore degli oceani (OHC).

Ocean heat content and Earth’s radiation imbalance. II. Relation to climate shifts – Douglass & Knox, 2012 – (qui sulla rivista Physics Letters, qui in versione pdf).

Tra quanti si appassionano alle vicende del clima, è noto ad esempio lo shift climatico della metà degli anni ’70, un cambiamento che ha visto il sistema virare bruscamente da modalità ‘fredda’ a modalità ‘calda’, dando inizio agli anni ruggenti del global warming, cioè proprio le ultime decadi del secolo scorso. Su CM ne abbiamo parlato ormai più di tre anni fa: I Cicli pluriennali del clima: lo shift del 1976.

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1956, 1985, 2012: Tutte le strade portano la neve a Roma

Prima di cominciare la classica ANS(i)A quotidiana:

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(ANSA) – ROMA, 17 FEB – La caratteristica più insolita dell’ondata di maltempo appena conclusa è la lunghezza, mentre l’intensità è quella delle gelate trentennali a cui il nostro paese è già abituato. Lo afferma il climatologo Giampiero Maracchi, secondo cui in futuro è possibile aspettarsi un’intensificazione di questi fenomeni a causa dei cambiamenti climatici. “Per quanto riguarda le temperature in media sono state maggiori rispetto al ’56 e all’85 – spiega l’esperto – quello che invece colpisce è stata la durata del fenomeno, che ha investito il paese per quasi due settimane. Questa anomalia può essere attribuita ai cambiamenti climatici, che hanno come effetto l’aumento della frequenza di tutti i fenomeni estremi, dal freddo alla siccità alle piogge torrenziali”.(ANSA).
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Maltempo, eventi estremi, ricerca e divulgazione.

Prima di cominciare questo post vorrei che leggeste con attenzione le frasi che seguono. Vengono dal Sunnary for Policy Makers dello Special Report dell’IPCC sull’esposizione al rischio da eventi estremi (SREX – SPM).

Si prende atto:

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Le incertezze nelle serie storiche dei cicloni tropicali, l’incompleta comprensione dei meccanismi fisici che collegano i parametri dei cicloni al cambiamento climatico e l’ampiezza della variabilità dei cicloni tropicali genera soltanto un basso livello di confidenza per l’attribuzione di cambiamenti misurabili dell’attività dei cicloni tropicali all’influenza antropogenica. L’attribuzione di un singolo evento estremo al cambiamento climatico è un’azzardo.

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Poi quasi con rammarico si chiarisce:

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C’è un basso livello di confidenza nell’osservazione di ogni genere di aumento di lungo periodo (40 anni o più) nell’attività dei Cicloni Tropicali (intensità, frequenza, durata), dopo aver tenuto conto dei cambiamenti intervenuti nella capacità di osservazione. E’ probabile che ci sia stato uno spostamento verso nord delle rotte principali delle tempeste extratropicali. C’è un basso livello di confidenza nei trend osservati dei fenomeni a ridotta scala spaziale come i tornado e la grandine a causa della disomogeneità dei dati e dell’inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio.

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E infine si prevede:

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E’ probabile che a scala globale la frequenza dei cicloni tropicali possa diminuire o restare essenzialmente invariata.
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Nubi basse, anzi nane, e global warming

Generalmente quando si parla di meteorologia o di clima, per nubi basse si intende specificatamente quella nuvolosità che si forma negli strati più bassi dell’atmosfera e normalmente ricca di vapore acqueo. Nel contesto dell’articolo appena pubblicato su GRL, invece, per basse si intende con un top più basso in generale, qualunque sia lo strato nel quale si formano.

L’altezza che le nubi raggiungono in atmosfera è collegata al bilancio radiativo. Più le nubi vanno in alto, più sono fredde, minore è la quantità di calore che irradiano verso lo spazio, maggiore è il calore che resta in basso in atmosfera.

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Il febbraio 2012 ed il paragone con altri inverni storici

In queste settimane le televisioni portano nelle nostre case immagini che mostrano grandi accumuli di neve nelle più diverse parti d’Italia. Tuttavia tali immagini sono per molti versi tendenziose in quanto l’obiettivo giornalistico prevede di attrarre il pubblico presentando gli aspetti più estremi dei fenomeni senza molto riguardo per la rappresentatività degli stessi.

Nonostante ciò la domanda è quanto mai pressante, se vogliamo anche per ristabilire un’ordine che non sia condizionato dal sensazionalismo o, se del caso, per confermarlo. Il paragone, del resto, qualcuno aveva pensato di farlo ancora prima che questa fase di freddo intenso si manifestasse. Figuriamoci se ora non ci sarà la battaglia dei record. Sicché, seguendo un’idea dell’amico Luigi Mariani, abbiamo deciso di chiedere alla comunità di CM di provare a fare qualcosa tutti insieme.

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Attenzione alla Groenlandia

La Groenlandia è davvero un luogo interessante e non sto parlando degli splendidi paesaggi. Da qualche anno a questa parte è diventata la frontiera per lo studio del Global Warming antropico. Fondamentalmente è stata assurta a paradigma dell’incalzante riscaldamento globale. Diciamo che lo stato dell’arte della climatologia ci parla di una Groenlandia i cui ghiacciai scivolano in mare a velocità mai viste fino ad oggi. Questo chiaramente è direttamente correlato alle temperature crescenti del pianeta. Non dimentichiamo che la Groenlandia ci ha regalato l’unico altro set di carotaggi glaciali così estesi e dettagliati a disposizione degli scienziati. L’altro proviene dall’Antartide.

E proprio utilizzando i dati provenienti dal sito più elevato in Groenlandia, il GISP2, un gruppo di scienziati e ricercatori ha condotto una nuova indagine sui campioni di aria intrappolati nel ghiaccio. La carota utilizzata ha consentito di ricostruire con estrema accuratezza la temperatura della neve (attenzione, non dell’aria) negli ultimi 4000 anni. Va detto fin da subito che i ricercatori utilizzano una nuova metodologia che sfrutta il rapporto tra isotopi di azoto e argon. Il gruppo di ricerca è capitanato da Takuro Kobashi del National Institute of Polar Research di Tokyo.

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Raggiunto il lago Vostok

Diciamola tutta: questa storia sembra uscita dalla penna del visionario H.P. Lovecraft. Gli ingredienti ci sono tutti: un misterioso continente, l’Antartide, un relitto geologico vecchio di milioni di anni, esploratori coraggiosi e paure ancestrali. Di seguito l’indimenticabile incipit di “At the Mountain of Madness” (“Alle montagne della follia”, nell’edizione italiana):

Sono costretto a parlare perché gli uomini di scienza hanno deciso di ignorare i miei avvertimenti senza approfondirne le ragioni. Contro la mia volontà, dunque, esporrò i motivi per i quali mi oppongo alla prevista invasione dell’antartico, e in particolare alla ricerca di fossili su larga scala,alla fusione delle antiche calotte polari e all’interruzione della sterminata monotonia di quelle regioni.

Ormai è notizia nota, in quanto risale a qualche giorno fa, noi di CM abbiamo preferito attendere un po’ prima di parlarne, nella speranza che oltre allo scarno annuncio offerto in rete, potesse emergere qualche dettaglio e così purtroppo non è stato.

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Dalla teoria ai fatti

Penso tutti, o comunque moltissimi, avranno ascoltato l’ultima delle tante versioni che gli studiosi affezionati all’ipotesi (sempre più tale) dell’Anthropogenic Global Warming (AGW) sono obbligati a confezionare per dimostrare la validità delle loro affermazioni.

Mi rendo conto che per molti c’è a rischio il posto di lavoro prima che della stessa “faccia” ma ora non si tratta più di difendere uno studio scientifico ma una evidente ideologia. Dalla metà degli anni ‘80 dello scorso secolo la tesi prevalente era quella per la quale avrebbe fatto sempre più caldo con una certa tropicalizzazione del clima nelle medie latitudini, introdotta da uno scivolamento verso nord delle note fasce climatiche. Quindi il caldo avrebbe portato sempre più caldo (chiara logica da retroazione positiva). Dalla fine degli anni novanta l’aumento delle temperature globali (sottolineo “desunte globali” per via di grosse approssimazioni) si è interrotto, e mostra negli ultimi anni, quindi già XXI secolo, una certa controtendenza.

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