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Categoria: Climatologia

L’AGW c’è, ora c’ho le prove!

Qualche tempo fa, in una breve serie di post che raccoglievano delle opinioni più o meno informate in materia di riscaldamento globale e dinamiche del clima, abbiamo commentato un intervento di John Christy giunto in occasione di una sua audizione davanti al Senato degli Stati uniti. L’elemento che allora aveva destato maggiore interesse, era il discorso sulla scarsa rappresentatività del parametro temperatura media di una data località – e quindi anche di un dataset di località – ai fini della valutazione dell’alterazione del bilancio radiativo indotta dall’accresciuta concentrazione di gas serra in atmosfera.

Secondo Christy, che porta a supporto di questa sua posizione anche dei recenti lavori di indagine scientifica, il parametro temperatura media (Tmax+Tmin / 2) è inadatto alla misura del riscaldamento globale perché composto da due parametri, la temperatura massima diurna e quella minima notturna, molto diversi tra loro a causa delle differenti dinamiche atmosferiche da cui scaturiscono.

La temperatura minima notturna è infatti rappresentativa di uno strato molto sottile della troposfera di poche decine di metri immediatamente a contatto con il suolo. Uno strato che molto spesso risulta essere completamente isolato dall’aria soprastante, dove è lecito attendersi gli effetti più incisivi dell’azione di contenimento del calore operato dai gas serra. Diverso il discorso per la temperatura massima, che invece scaturisce da processi di rimescolamento della bassa e media troposfera più turbolenti, che in quanto riferiti ad uno strato più ampio, permettono di intercettare meglio il segnale dell’effetto serra.

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I dati NOAA aggiornati a luglio 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale terra+oceano (GHCN-M 3.1.0) scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di luglio 2012. Si può trovare una descrizione dell’aggiornamento precedente (giugno 2012) qui.
Le differenze di temperature (novembre 2011-luglio 2012) si presentano così: (pdf)

Fig.1: Differenza tra l’anomalia di novembre 2011 e quella di Luglio 2012.
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Il catastrofismo del professor Carlo Rovelli: l’ingannato!

Un articolo del prof. Carlo Rovelli pubblicato inizialmente sul Sole24ore del 1 luglio rappresenta il concentrato del catastrofismo climatico più cieco.

Estraggo alcuni tra i passaggi più significativi dell’articolo:

[info]

“La domanda giusta non è se siamo sicuri che succederà una catastrofe. La domanda giusta è quanto valutiamo probabile la catastrofe, allo stato attuale del nostro sapere. Purtroppo, la risposta a questa domanda è chiara. Lo era meno anni fa. Ma oggi è chiarissima. Oggi non vi è più alcun dubbio che il riscaldamento climatico sia in atto. I mari si sono alzati, i ghiacci dei poli si sono sciolti, i ghiacciai dei monti si sono ritirati, il clima è già cambiato in diverse aree del pianeta. Tutte le misure concordano. Non vi è praticamente più alcun dubbio neanche sulla profonda incidenza dell’attività umana su questo cambiamento. E le probabilità che questo possa non portare conseguenze devastanti per l’umanità appaiono sempre più esigue. Il problema è reale ed è molto serio”….

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Divergenza addio! Et conseguenze.

C’è una  novità ( Esper 2012, qui su CM) sui metodi di analisi delle temperature del passato che riescono a smussare la divergenza restituendoci un periodo caldo medioevale più che mai nitido e marcato. La divergenza si manifesta tra la temperatura stimata dagli anelli di alcuni alberi nelle ultime decadi che risulta essere inferiore a quella strumentale. Il problema fu risolto da Mann tagliando le serie che presentavano la divergenza e innestando il dato strumentale. Questo metodo, oltre che essere sbagliato, sottostima pesantemente il periodo caldo medioevale.

Il noto paleoclimatologo Jan Esper e i suoi coautori per ricostruire le temperature del passato hanno analizzato la densità degli anelli degli alberi (MXD), oltre alla larghezza degli anelli, (TRW). Il nuovo metodo è stato testato solo su serie prvenieenti dalla Scandinavia e smussa la divergenza degli ultimi decenni alzando di fatto la stima della temperatura nel periodo caldo medioevale e in quello romano. E’ però altamente probabile che tutte le ricostruzioni delle Temperature che hanno presentato il problema della divergenza finora, se rifatte con questo nuovo metodo finiscano per alzare la stima del periodo caldo medioevale ovunque, perchè se la divergenza c’è negli ultimi decenni c’era anche nel medioevo e se la stima si alza negli ultimi decenni si alzerà anche nel medioevo.

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Le menzogne climatiche

Sul Sole 24 ore è uscito un articolo del prof Carlo Rovelli molto discutibile. Iniza oggi la mia replica con due articoli introduttivi :” Le menzogne climatiche” e “divergenza addio! et conseguenze”, a cui seguirà la critica vera e propria all’articolo cioè ” Il catastrofismo del prof Carlo Rovelli: l’ingannato!”

Un piccolo elenco di menzogne e falsi allarmismi, sicuramente in difetto, che ci hanno propinato sul clima. Sono argomenti già trattati qui su CM ma è sempre been ricordali visto il catastrofismo dilagante e la follia del conto energia che pagheremo per 20 anni almeno.

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I dati NOAA aggiornati a giugno 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale terra+oceano (GHCN-M 3.1.0) scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di giugno 2012. Si può trovare una descrizione dell’aggiornamento precedente (maggio 2012) qui.
Le differenze di temperature1 (novembre 2011-giugno 2012) si presentano così (pdf).

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  1. Ricordo che le differenze di anomalia di Fig.1 sono differenze di temperatura solo se la temperatura di riferimento è la stessa, cioè se le due anomalie sono calcolate rispetto alla stessa temperatura. Le modifiche, che interessano anche i valori più indietro nel tempo, farebbero pensare ad un cambiamento della temperatura media di riferimento ma in questa pagina NOAA la temperatura 1901-2000 terra+oceano continua ad essere di 13.9 °C malgrado le modifiche mensili. Per questo motivo la considero costante e uso indifferentemente i termini “differenze di anomalia” e “differenze di temperatura”. L’argomento è già stato discusso su CM qui []
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Dimmi dove sei e ti dirò quanto caldo hai

Quando si dice la coincidenza. Soltanto ieri abbiamo pubblicato un post in cui si affronta il tema molto controverso del rapporto tra l’editoria scientifica tradizionale e l’esuberante mondo dell’open access. Oggi ci capita l’occasione di parlarne ancora, non più in termini generici, ma su specifici argomenti di ricerca.

Per la verità quella che in modo un po’ stucchevole si definisce “blogosfera climatica” era in attesa già da qualche giorno. Il blog climatico più seguito in assoluto, Wattsupwiththat, aveva sospeso le pubblicazioni, rimandando ad un annuncio a sensazione atteso per domenica scorsa alle 12 ora della costa occidentale USA.

Annuncio che è puntualmente arrivato. Ma andiamo con ordine.

La critica più accesa che il mainstream scientifico muove a quanti sono su posizioni scettiche riguardo al riscaldamento globale ed alle sue origini, è forse anche la più stucchevole: la materia è talmente complessa – ci dicono – che parlarne o, peggio, tentare di confutarla attraverso i canali non tradizionali, magari con delle ‘semplici’ discussioni sul web, è oltraggioso. Dovrebbe magari far riflettere il fatto che non venga adottato un analogo atteggiamento verso chi discute a ruota libera di catastrofi che sono inesistenti sulle pubblicazioni scientifiche ma che fanno bene alla causa del consenso ma, tant’è. Nell’ambito della più classica applicazione di due pesi e due misure, oggi tralasciamo i primi e ci dedichiamo alle seconde. Perché questo è quello che hanno fatto su WUWT.

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L’IPCC, il nuovo report e la previsione decadale.

Qualche tempo fa, in giugno, é stato pubblicato un documento con cui l’IPCC, al termine di un lungo e complicatissimo processo burocratico, ha fatto sue le indicazioni giunte dall’Inter Academy Council nel 2010.

Sottoscrivendo quanto indicato a suo tempo dallo IAC, in sostanza il bureau del panel delle Nazioni Unite, ha ammesso che nel processo di formazione dei suoi report c’è stato rischio di bias, che si deve fare maggiore attenzione all’uso di letteratura grigia (si parla di scienza, per cui tutto ciò che non é soggetto a revisione paritaria deve essere preso con le molle, specie se arriva da parti in causa come le associazioni ambientaliste), che la scelta degli autori del report deve tener conto di eventuali conflitti di interessi, che i vertici del panel devono restare in carica per un solo report e, infine, che il Summary for Policy Makers, il riassunto di ogni report pubblicato a beneficio dei decisori, rischia di essere un documento molto più politico che scientifico.

Pare dunque che tutto questo prima potesse accadere, almeno potenzialmente. Sorge il dubbio di come si sia potuto fin qui ritenere che quanto pubblicato dal panel in materia di clima – quattro report più un certo numero di documenti dedicati a specifici argomenti – possa essere stato considerato la Bibbia del clima o come possano essere state poggiate sulle indicazioni contenute nei report le policy ambientali, economiche ed energetiche di mezzo mondo.

Ma così é stato. Punto. Ora arriverà il nuovo report, sul quale si sta già lavorando da tempo. Non si sa se le buone intenzioni che lastricano il percorso di qui alla pubblicazione ci condurranno all’inferno o in paradiso. Considerando i tempi stretti e il fatto che una cosa é dire di voler fare una cosa, altro é farla, specie se chi la dovrebbe fare sono gli stessi che non l’hanno mai voluta fare, un’idea di come andrà a finire ce l’avrei, ma lascio volentieri il beneficio del dubbio.

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Sorpresa: Fa la metà più caldo!

Qualche tempo fa uno dei nostri lettori ha fatto una domanda apparentemente banale ma invece piuttosto densa di significato. Si parlava di dati grezzi e dati omogeneizzati, ossia di informazioni raccolte normalmente dalle varie fonti disponibili e poi ‘adattate’ per poter essere gestite. Nella fattispecie si parlava anche di modelli climatici, argomento che non discuteremo oggi. Piuttosto torniamo alle osservazioni.

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Nature Climate Change: Prima faceva più caldo. Chissa’ il team come la prenderà.

Il team non è la nazionale di calcio spagnola, con la quale sconsiglierei a chiunque di misurarsi per qualche anno ancora. Il team, o meglio il CRUTeam, è quel gruppo di scienziati del clima che fa capo alla Climatic Research Unit della East Anglia University, zoccolo duro del Working Group I dell’IPCC, il panel ONU che ogni tot anni ci dice come siamo messi in fatto di clima.

Dal CRUTeam, anche noto come hockey team, per aver prodotto e sponsorizzato la famosa ricostruzione delle temperature medie degli ultimi mille anni con la classica forma del bastone da hockey, abbiamo saputo che le temperature medie superficiali degli ultimi decenni sarebbero senza precedenti. Ergo, nel trend climatico di medio periodo, ci sarebbe senza dubbio lo zampino dell’uomo.

Ma, guarda cosa ti va a capitare, un gruppo di ricercatori si mette in testa di assemblare una serie di dati di prossimità per la temperatura, fitta e lunga come mai prima era stato fatto. Non solo, pensano anche di mettere in relazione questa serie con la forzante orbitale, uno dei parametri che sappiamo essere tra quelli che nel lungo periodo dettano legge in materia di temperatura.

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Nel 2100 un’Africa con più boschi, più praterie e meno deserti…e tutto per merito della CO2

La letter di Higgins e Scheiter (che d’ora in avanti chiameremo per comodità H&S) pubblicata qualche giorno orsono su Nature

Atmospheric CO2 forces abrupt vegetation shifts locally, but not globally”, Nature, doi:10.1038/nature11238

è ricca di spunti interessanti e che giustificano il commento che su sollecitazione di Guido mi sono deciso a scrivere.

H&S descrivono infatti il comportamento passato e futuro (dal 1850 al 2100) della vegetazione africana utilizzando un modello di simulazione dinamico, l’aDGVM (adaptive Dynamic Global Vegetation Model) fatto girare sia su dati pregressi sia su dati previsti ottenuti applicando il modello climatico GCM ECHAM5 allo scenario emissivo A1B dell’IPCC.

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Analisi spettrale della copertura nuvolosa nei dati HISTALP

[info]

Per un errore di editing (mio) il post è uscito con la mia firma e non con quella dell’autore reale. Ora ho corretto. Chiedo venia.

gg

[/info]

In seguito ad un post su CM, anche io ho scoperto l’esistenza del dataset HISTALP, una collaborazione tra istituti di nazioni che gravitano attorno alle Alpi e coordinata dal Servizio Meteorologico Austriaco (ZAMG). Il database ha richiesto una intensa attività di coordinamento per ottenere e omogenizzare dati ottenuti da soggetti diversi, spesso nemici, con tecniche diverse, ad ore diverse, con strumenti non omogenei. È sufficiente pensare alle due guerre mondiali e, più recentemente, alle vicissitudini della ex Iugoslavia per immaginare le difficoltà, anche di carattere politico, che si sono dovute superare per avere, oggi, un insieme di dati meteorologici omogeneo che comprende la Greater Alpin Region (GAR), sia nelle zone di maggiore elevazione che in quelle, più basse, con maggiore densità di stazioni meteo e di osservazioni estese nel tempo.

I dati disponibili sono divisi in quattro zone geografiche (NE,SE,NW,SW) e due zone distinte per altezza delle stazioni (ALPIN, per le altezze maggiori) e LOW (altezze minori), comme appare nell’immagine sotto, presa dal sito di HISTALP:

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Non per un cucchiaio d’olio si deve guastare l’insalata!

Molte volte capita che un buon lavoro venga rovinato da un’inezia. Un mio vecchio cliente che ora si trova nel mondo dei giusti, amava dire che “non per un cucchiaio d’olio si deve guastare l’insalata”. In modo molto più prosaico possiamo dire che quando ci si trova a ballare, si deve ballare, costi quel che costi. Nei giorni scorsi ho avuto modo di riflettere su di uno studio pubblicato su Nature Climate Change:

Vulnerability of US and European electricity supply to climate change

M. T. H. van Vliet, J. R. Yearsley, F. Ludwig, S. Vögele, D. P. Lettenmaier e Pavel Kabat

L’articolo illustra i risultati di una ricerca effettuata dagli autori e che riguarda la vulnerabilità del sistema elettrico europeo e statunitense al cambiamento climatico. La cosa mi è parsa interessante in quanto, in presenza di un ipotetico cambiamento climatico, è necessario sviluppare delle politiche di mitigazione che consentano di ridurre le conseguenze del cambiamento stesso. L’abstract dell’articolo induceva ad una interpretazione di questo tipo. Essendo l’articolo liberamente accessibile ho iniziato a leggerlo.

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Il dataset è mio e me lo gestisco io! – uh oh…non proprio!

Il post e’ stato aggiornato. Vi consiglio di leggere in fondo. ***************************** Normale pratica di scienza climatologica. Fatti venire un’idea, se è la stessa che…

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