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Categoria: Climatologia

Moriremo tutti, bolliti come le rane!

sette greenE’ uscito un numero speciale di un magazine abbinato al Corriere della Sera che si chiama Settegreen. Un tripudio di catastrofismo climatico. Per capirlo basta il titolo in copertina : Aiuto, il nostro mondo va in tilt. Il clima impazzisce. La terra reagisce come può. E l’uomo? Se non corre ai ripari fa la fine dei dinosauri”.

Ne sentivate la mancanza vero? Il mondo non è in tilt, il clima non è impazzito, la terra o meglio, la vita sulla terra si adatta come sempre e l’uomo non si estinguerà come i dinosauri.  Non c’è da stupirsi che un giornalista che probabilmente nulla sa di clima visto ciò che scrive, faccia quattro errori di fila in una sola frase e affermi che l’uomo rischia l’estinzione a causa del riscaldamento antropogenico. Del resto la stessa scemenza l’ha scritta uno dei climatologi più importanti ed influenti del mondo e cioè James Hansen. Ma all’interno del settimanale c’è l’intervista a Vittorio Canuto che di errori non dovrebbe farne perché  è un climatologo. Lo citerò in corsivo con in grassetto le domande:

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Glaciazioni e Interglaciali: Fondamenti di clima.

Appena ieri l’altro Judith Curry ha fatto propria sulle sue pagine una domanda posta da Andy Revkin su DotEarth:

Qual’è il miglior quesito climatico su cui dibattere?

La risposta necessita di una premessa che a molti non piacerà, compreso chi scrive, almeno non in forma di assunto, ma del resto non si può nemmeno dibattere a vita sulle stesse cose, ogni tanto un intervallo ci sta. Sicché, posto che un certo riscaldamento l’aumento della concentrazione di gas serra e sue derivate lo hanno portato, su cosa dovrebbe concentrarsi il dibattito scientifico?

Nei commenti al post della Curry ho trovato la risposta che forse avrei dato. Prima ancora di valutare effetti a scala globale o regionale, prima ancora di immaginare/simulare il futuro delle dinamiche fondamentali della redistribuzione del calore sul Pianeta, sarebbe necessario affinare più possibile la stima della sensibilità climatica, ove con essa si intenda la porzione di aumento della temperatura media superficiale del Pianeta in risposta ad un raddoppio della CO2 rispetto alla concentrazione pre-industriale. Questo finirebbe probabilmente per riavvicinare parecchio le due sponde del fiume, perché se è vero che esistono le stime IPCC che sono elevate, e ne esistono di ancora più elevate, è anche vero che quelle stime non stanno reggendo il peso dell’invecchiamento, anzi, si fanno sempre più numerosi gli studi che tendono a ridurre di una percentuale importante, circa due terzi, la stima centrale di 3°C dell’IPCC AR4.

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Un bicchiere di Sole

Ultimamente mi sono imbattuto in una ricerca indiana sulcontributo dei raggi cosmici sul riscaldamento globale.

Contribution of changing galactic cosmic ray flux to global warming – (pdf)

La rivista non è molto conosciuta ma è inseritra nella lista ISI.

Cito:

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La correlazione ben consolidata tra il livello delle nuvole basse e l’intensità dei raggi cosmici, che fungono da nuclei di condensazione per le nuvole, mostra chiaramente che una diminuzione dell’intensità dei raggi cosmici si traduce in un minore copertura nuvolosa bassa. La riduzione dell’albedo, a causa della minore nuvolosità a bassa quota, comporta un aumento della temperatura superficiale sulla terra perché diminuisce la radiazione riflessa nello spazio.

L’estrapolazione della intensità della radiazione cosmica galattica sulla base delle misure in 10Be proxy delle carote di ghiaccio, mostra chiaramente che l’intensità dei raggi cosmici è diminuito del 9% nel corso degli ultimi 150 anni, a causa del continuo aumento dell’attività solare. Presentiamo elementi atti a dimostrare che la componente della forzatura radiativa dovuta alla diminuzione dell’intensità dei raggi cosmici nel corso degli ultimi 150 anni è di 1,1 Wm-2, che è circa il 60% di quella dovuta all’aumento del CO2. Concludiamo che la previsione futura del riscaldamento globale presentato da IPCC4 richiede una revisione per tener conto dell’effetto dovuto ai cambiamenti a lungo termine dell’intensità dei raggi cosmici galattici.

[/info]

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AMO, Artico e Temperature

Nelle pubblicazioni scientifiche sui cambiamenti climatici, capita molto spesso che vengano mostrate delle relazioni tra i parametri climatici o tra combinazioni di essi, cui si assegna il ruolo di ‘prova’ della superiorità del contributo antropico alle dinamiche del clima rispetto a tutti quei meccanismi che si sono da sempre modificati in risposta a forcing di origine naturale. La parola chiave è “evidence”, appunto, prova.

L’esempio più recente e anche più tangibile è senz’altro quello dell’estensione del ghiaccio marino artico, che nello scorso settembre ha segnato un minimo storico. Mai, da quando lo si misura con metodi oggettivi, ovvero con sensori satellitari, l’estate boreale aveva visto così poco ghiaccio alle latitudini polari. Questo fatto, combinato con quello che effettivamente il ghiaccio polare artico sta diminuendo sensibilmente e quindi non si può certo parlare di episodio isolato, alimenta la tesi di uno dei maggiori esperti sull’argomento, il direttore del National Climatic Data Center, Mark Serreze, secondo il quale saremmo entrati in una “spirale di morte” che vedrà le latitudini polari presto quasi interamente libere dai ghiacci nei mesi estivi.

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El Niño, il Sole e il Mare

Qualche giorno fa abbiamo letto un documento dell’OMM con il quale si annuncia l’imminenza dell’affermarsi di condizioni di El Niño per le prossime settimane. Una previsione che non stupisce perchè in effetti la transizione del segno dell’ENSO è iniziata già da qualche mese. Dunque l’Oceano Pacifico equatoriale, lo “scaldabagno” del pianeta sta per tornare a scaldarsi, cioè a presentare significative anomalie positive nello strato superficiale. Nel comunicato stampa dell’OMM però, l’elemento di novità è rappresentato dal fatto che l’evento che si prevede dovrebbe essere piuttosto debole e anche non particolarmente lungo. Nell’immagine sotto troviamo una efficace raccolta di tutte le simulazioni modellistiche disponibili.

http://www.cpc.ncep.noaa.gov/products/analysis_monitoring/enso_advisory/ensodisc.pdf
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Metà metano

Il titolo è un gioco di parole ovviamente ma non è molto lontano dalla realtà che sta emergendo dalle ultime ricerche sulla concentrazione del metano atmosferico. Su Nature dei ricercatori americani hanno pubblicato un paper dove abbinano il declino della concentrazione di etano atmosferico a quella del rateo della concentrazione di metano atmosferico, evidenziando il fatto che i due trend sono strettamente correlati.

Quello che segue è il titolo del paper, da cui estraiamo la figura 4.

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L’uovo oceanico e la gallina stratosferica

Sarà perché sta per arrivare l’inverno boreale, sarà perché si fa sempre più pressante la richiesta di previsioni stagionali, sarà perché più si studia l’atmosfera e più diventano vasti gli orizzonti nella cui direzione guardare, ma è un fatto che negli ultimi tempi si stanno moltiplicando gli sforzi per individuare le relazioni attraverso cui il sistema terra, oceani, atmosfera realizza le sue dinamiche.

Ho scritto scientemente atmosfera e non troposfera, derogando, ma con diritto, alla regola numero uno che mi è stata inculcata quando ho iniziato a occuparmi di meteorologia: lo strato atmosferico che ci interessa è uno e uno solo, quello compreso tra la superficie e la tropopausa, la troposfera. Neanche a farlo apposta, poteva resistere una tale limitazione in un sistema che da’ segni ogni giorno di essere intimamente connesso in ogni sua parte? La risposta è scontata, decisamente no.

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I dati NOAA aggiornati ad agosto 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale terra+oceano (GHCN-M) scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di agosto 2012.

Da questo mese ci sono state modifiche al software di gestione delle disomogeneità e il risultato è che si è passati nel database delle anomalie/temperature dalla versione GHCN-M 3.1.0 alla versione GHCN-M 3.2.0 (informazioni qui; vedere anche il Technical Report).

Si può trovare una descrizione dell’aggiornamento precedente (luglio 2012) qui. Tutti i grafici e i dati numerici sono disponibili qui.

Le differenze di temperature (novembre 2011-agosto 2012) si presentano così: (pdf)

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Clime ed eventi estremi: E’ Una scienza priva di “attributi”?

Perdonatemi il titolo non proprio nobilissimo e la sua prossimità con la ben più seria frase di Diogene. Il fatto è che di aumento della temperatura media globale, di modifiche alle dinamiche del clima nel lungo periodo e su ampia scala spaziale possiamo parlare finché vogliamo, ma quello che realmente ci interessa nel quotidiano e dovrebbe interessare anche chi su nostra delega prende le decisioni, è sapere se questo aumento e queste modifiche potranno avere o abbiano già avuto un impatto sugli eventi atmosferici estremi che sia discernibile da quello che questi eventi hanno sempre avuto. Se del caso, inoltre, sarebbe altrettanto lecito chiedersi cosa si può fare per mitigare questo impatto o per aumentare la nostra capacità di resilienza.

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Del doman non v’è certezza

Del doman non v’è certezza, recitava il poeta, riscuotendo oggi il plauso del meteorologo che ci aggiunge volentieri anche il dopodomani. E per dopodomani l’altro? Beh, per quello è diverso, per quello ci sono i modelli climatici, che notoriamente tutto sanno.

Ecco qua, dal blog di Roger Pielke sr., un paio di post nei quali si parla proprio di performance modellistiche su due aspetti delle dinamiche del clima tutt’altro che secondari, la risposta del sistema alle eruzioni vulcaniche e gli eventi precipitativi.

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Previsioni stagionali: Scaldiamo i motori per l’inverno!

I nostri lettori abituali penseranno che siamo impazziti, immaginando che contrariamente alle nostre abitudini, non solo ci gettiamo nella mischia delle previsioni, cosa che su queste pagine non accade quasi mai, ma addirittura lo facciamo con un anticipo che ogni meteorologo sano di mente giudicherebbe ridicolo. Così non è in effetti. Non abbiamo nessuna intenzione di fare presagi di nessun genere.

Lo spunto per il nostro titolo di oggi e per il contenuto di questo post, viene da una recente pubblicazione scientifica in materia di previsioni stagionali della quale ci ha dato notizia Science Daily:

Seasonal Forecast for northern emisphere winter 2009/2010 – IOp Science, Environmental Research Letters.

Si tratta di uno studio di rianalisi delle performance del modello di previsione stagionale in uso presso lo UK Met Office, il modello GloSea4, cui si aggiungono degli interessanti spunti previsionistici per l’immediato futuro.

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Siccità d’Egitto

Venerdì 24 agosto sono incappato per ben due volte in notizie giornalistiche a sfondo catastrofico basate sull’articolo di Bernhardt et al., 2012 “Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability”, pubblicato nel luglio scorso sulla rivista Geology.

La prima  era una notizia di coda del Giornale Radio RAI delle ore 6  (qui dal minuto 08:55) che gossomodo diceva quanto segue: La civiltà egizia delle piramidi fu distrutta da una grande siccità accaduta circa 4000 anni orsono. Questa notizia è una magra consolazione di fronte al caldo di quest’estate…  -> in sostanza mi è parso che in modo non particolarmente elegante si volesse dare ad intendere che anche noi stiamo per fare la fine degli egizi (forse ero troppo addormentato per capire ma ad ogni buon conto ho subito toccato ferro…).

La seconda è l’articolo apparso venerdì stesso a pagina 29 del Corriere della sera a firma di Giovanni Caprara (a cui evidentemente si erano ispirati i giornalisti RAI per il loro “scoop”) dall’eloquente titolo “Il mito distrutto dal clima. Fu un improvviso caldo torrido a far crollare il regno egizio. Così finì il tempo delle piramidi”.

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