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Categoria: Climatologia

Anatomia di una notizia seria e di come la stessa sia stata deformata da una testata di divulgazione scientifica

di Luigi Mariani

Il caffè arabica (Coffea arabica L.) costituisce il 62% circa della produzione mondale di caffè, il resto essendo rappresentato dal suo parente prossimo caffè robusta (Coffea canephora Pierre ex A.Froehner). Della produzione mondiale di arabica l’85% è di origine sudamericana (di cui Brasile=39%, Columbia=18%) mentre solo il 10% è di origine africana ed il 5% di origine asiatica (info qui). Il centro genetico del caffè arabica si colloca sugli altipiani dell’Africa equatoriale orientale (soprattutto Etiopia e Kenya), ove è ancor oggi diffuso il progenitore selvatico delle varietà coltivate.

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Arriva l’inverno gente, quello vero.

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Negli ultimi giorni si è cominciato a parlare di inverno. Lo ha fatto lo UK Met Office, presagendo un’altra stagione difficile per l’Europa e più nello specifico per la Gran Bretagna, arrivando a dire che quello prossimo potrebbe essere per loro l’inverno più freddo degli ultimi 100 anni. Bontà loro, se le classifiche ex-post hanno poco senso, quelle ex-ante ne hanno ancora meno. Da noi lo ha fatto il CNR IBIMet, notizie riprese entrambe da Meteoweb (qui e qui), andando sempre nella direzione del freddo ma immaginando pattern atmosferici più continentali – e dunque siberiani – che non artici, come previsto invece dagli amici inglesi.

Il comune denominatore è dunque il freddo, ma gli approcci sono distanti in termini di dinamiche della circolazione emisferica. Difficile che si possa sperimentare un mix tra le due cose, anche se l’esperienza insegna che l’atmosfera ha sempre qualcosa di nuovo da mostrare.

Per parte nostra, proseguiamo nel solco tracciato negli anni scorsi e recentemente ripreso con il post di introduzione ai nostri outlook dell’ottobre scorso. Come leggerete, ci associamo al comune denominatore di cui sopra, ma l’analisi e le considerazioni sono abbastanza diverse e sono scisse in due parti, con il discorso che torna ad unirle alla fine. Quello che segue è forse il post di argomento meteorologico (con una strizzata d’occhio al clima stagionale) più interessante e meglio argomentato che abbiamo mai pubblicato, perciò, mettetevi comodi e, visto che si tratta pur sempre anche di una previsione, incrociamo le dita!

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Outlook inverno 2012 – 2013

di Carlo Colarieti Tosti

La situazione stratosferica nei piani medio-alti (tra 30 e 1hPa) è caratterizzata da una anomalia negativa di geopotenziale espressa attraverso l’indice NAM (Northern Annular Mode) con il recente avvicinamento alla soglia di +1,5. In letteratura tale circostanza suggerisce la possibile propagazione verso la troposfera della consistente vorticità stratosferica accelerando e chiudendo in sede artica il Vortice Polare Troposferico (VPT) instaurando quindi un periodo di Oscillazione Artica  (AO) positivo. Le conseguenze alle medie latitudini sono note e possono riassumersi in una generale tendenza a configurazione ad elevato indice zonale.

La situazione però non è così semplice da poter essere licenziata in breve. Spieghiamo perché.

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Siccità sotto la lente: è più piccola o più grande?

di Luigi Mariani e Guido Guidi

Sulle pagine di CM abbiamo affrontato molte volte il tema della siccità, argomento quanto mai cogente in materia di dinamiche del clima. Il perché è semplice. Da un lato eventuali modifiche di medio o lungo periodo alla frequenza di occorrenza e all’intensità degli eventi siccitosi, ovviamente modifiche peggiorative, avrebbero un impatto molto significativo sul nostro modo di vivere, dall’altro, proprio per questo motivo, negli ultimi anni sono stati molti i tentativi di realizzare il trasferimento del concetto di per sé intangibile del riscaldamento globale nel mondo reale, attraverso appunto la minaccia di un aumento della significatività di questo genere di eventi.

Ne abbiamo avuto un esempio molto eloquente la scorsa estate, sia nel nostro Paese che, in modo molto più incisivo negli Stati Uniti, con l’assenza di piogge e l’aridità che ne è conseguita che hanno causato seri problemi alla produttività agricola. Il relativo impatto, anche ampiamente dibattuto, sulle dinamiche dei prezzi delle materie prime alimentari è stato portato più volte ad esempio del fatto che la catastrofe climatica non sarebbe solo prevista, ma addirittura già in atto. Questi argomenti, con riferimento agli eventi estremi in generale sono come si sa assolutamente speculativi. Ma se c’è una classe di eventi estremi su cui lo stato dell’arte della scienza sarebbe appena un po’ più confidente questa è proprio quella in cui ricadono gli eventi siccitosi.

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Malaria e global warming

di Luigi Mariani e Gianni Gilioli

Un giornale radio RAI ha trasmesso nei giorni scorso un’intervista di maniera in tema di GW che verteva  sul rapporto tra Gobal Warming (GW) e salute umana. L’intervistato, alla richiesta del giornalista di fare un esempio su fattori che producessero aumenti di mortalità, ha portato l’esempio della malaria che all’aumentare delle temperature nella fascia intertropicale (fra 30°N e 30°S) dovrebbe manifestare una recrudescenza colpendo un numero sempre maggiore di persone.

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Le nevi del Kilimangiaro

di Luigi Mariani

Le “nevi del Kilimangiaro” affascinano l’uomo moderno perlomeno da quando Ernest Hemingway scrisse l’omonima novella.

Un ritorno di fiamma dell’interesse verso questo remoto ghiacciaio tropicale si ebbe undici anni orsono grazie all’affermazione del geofisico Lonnie Thompson (2001) il quale disse che “è probabile che fra vent’anni il solo pezzo di ghiaccio del Kilimangiaro rimasto al mondo sarà nei nostri frigoriferi”  (qui trovate una biografia di Thompson).

Questo coup de theatre, peraltro citato da Gore nel suo Inconvenient truth, ha avuto un tale successo da fare dei ghiacci dei grandi vulcani africani o del Kilimangiario delle icone degli ecologisti e dei simboli del global warming.

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Sarà, naturalmente, peggio del previsto

E’ uscito su Science un nuovo articolo firmato da John Fasullo e Kevin Trenberth:

A Less Cloudy Future: The Role of Subtropical Subsidence in Climate Sensitivity

Sui media lo troviamo come sempre in una forma un po’ diversa, con Science Daily che riprende pari pari il comunicato stampa dell’NCAR: Future Warming Likely to Be On High Side of Climate Projections, Analysis Finds

Come spesso accade, tanto nel comunicato stampa quanto nelle successive riproduzioni dei media, si cerca di mettere in risalto le parti più ad effetto dello studio in questione, anche se queste nello stesso sono piuttosto marginali. Questo è ovviamente fisiologico, anche se qualche volta ci piacerebbe che non accadesse. Vediamo di cosa si tratta.

Allo stato attuale della conoscenza, con riferimento alle proizioni climatiche, l’elemento di maggiore incertezza è rappresentato dall’impossibilità di quantificare con precisione la sensibilità climatica, che per definizione identifica la risposta del sistema climatico in termini di riscaldamento al raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali. La difficoltà consiste nell’identificazione delle dinamiche e della magnitudo dei feedback radiativi, cioè di quei processi di potenziamento/mitigazione del riscaldamento che si suppone debbano realizzarsi nel sistema in risposta ad uno squilibrio positivo del bilancio radiativo del Pianeta. Il più significativo di questi feedback, ma anche il più incerto, è il feedback delle nubi. La nuvolosità, infatti, ha il duplice ruolo di riflettere la radiazione solare e di trattenere la radiazione uscente dalla superficie, con un effetto complessivamente raffreddante. Ma la nuvolosità è la manifestazione visiva della presenza di vapore acqueo in atmosfera, per cui una modifica del tipo e della quantità di nubi presenti su vasta scala può modificare l’ampiezza di questo effetto generalmente raffreddante, di fatto amplificando il riscaldamento.

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Monsoni e global warming, un futuro oscuro ma anche no

Direttamente dal “Dipartimento catastrofi in agguato ma anche no”, un paio di input di letteratura scientifica in materia di monsoni.

Al primo sono arrivato due giorni fa attraverso Science Daily, un paper uscito su Environmental Research Letters:

A statistically predictive model for future monsoon failure in India

Mentre il secondo, appena più datato, l’ho trovato sul blog di Roger Pielke sr e viene dai PNAS:

Indian Ocean warming modulates Pacific climate change

Scopriamo subito le carte del primo. Dalla fine di questo secolo (ancora in fasce) e per tutto quello che seguirà, si potrà dire addio al monsone indiano, con tutto quello che questo comporta in termini di impatto per la popolazione del continente asiatico. Infatti, notoriamente, la parola monsone riferita ai mesi estivi, quelli che caratterizzano la stagione piovosa e la separano da quella invernale arida e fredda, significa “ritorno alla vita”. Perciò, niente monsone, niente vita.

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Il Mantra (sbagliato) dell’AGW

E’ autunno, cadono le foglie, ma arrivano anche le piogge. Acqua che a quanto pare e per quanto prospettato dagli scenari climatici, dovrebbe essere sempre più irregolare, nello spazio e nel tempo.

Wet gets wetter dry gets drier, riassumono climatologi del calibro di Chou, Trenberth, Held e Soden, ripresi poi anche da Susan Solomon della NOAA, in dichiarazioni che abbiamo anche commentato.

Aumento dunque della variabilità spaziale e temporale delle piogge: siccità, alluvioni, temporali forti et similia. Un’affermazione forte quella riportata sopra, che ha già comunque vacillato anche di recente, in un paper che ha individuato l’inattesa ‘capacità’ delle terre più inaridite nel breve periodo ad attirare le piogge più che ad allontanarla.

Eppure questo mantra, mediaticamente molto efficace, rispunta fuori ad ogni evento piovoso appena più intenso. Studiosi, opinionisti, politici e imbonitori di ogni genere lo sostengono convinti, manifestando quel particolare consenso che si riassume nella frase di Abba Eban: “Consenso significa che tutti sono d’accordo nel dire insieme quello che nessuno individualmente crede”.

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Quando la CO2 fa il tagliando

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Questo post è stato pubblicato nell’ottobre del 2011 ma, per ragioni del tutto ignote, è sparito dalle nostre pagine. Dal momento che l’argomento – tra l’altro mai sopito – è tornato attuale in alcune recenti discussioni, il minimo che potessimo fare è tornare a pubblicarlo, per cui, ecco qua.

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Le discussioni di questi anni ci hanno abituati a considerare la CO2 come un gas pericoloso per la vita e con tempi di permanenza in atmosfera di decine o centinaia di anni. In altri termini attenti a quanto espirate perché una volta emessa la CO2 non torna più giù!

Tuttavia fin dal 1804, grazie all’opera fondamentale di De Saussure, sappiamo che la nutrizione carbonica delle piante avviene a spese della CO2 presente in atmosfera e dunque l’anidride carbonica è da considerare il mattone della vita sul nostro pianeta in quanto gli autotrofi (alghe, batteri, piante superiori) la usano per il processo di fotosintesi, di norma espresso con la formula seguente:

CO2+H2O -> CH2O + O2 (ove CH2O è 1/6 di una molecola di glucosio che è C6H12O6).

Si crea così una dicotomia antropologicamente lacerante che porta i più critici a domandarsi come sia possibile che un ecosistema come quello terrestre che vanta 2, forse 3 miliardi di anni di vita, abbia potuto convivere con una CO2 dottor Jeckill – mister Hide senza mai esserne sopraffatto. Tutti i nostri ragionamenti si fondano da tempo su misure regolari della concentrazione atmosferica di CO2 condotte in siti sparsi per il globo e che ci rendono manifesti i seguenti fatti:

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Secchi, SST e…Campanelli – Parte II

Gli stessi campanelli della prima parte di questo post, si sono rivelati preziosi nell’affrontare un altro problema che è strettamente collegato a quello delle SST nel periodo 1940/1945. Si tratta di un lavoro a firma di Ernst-Georg Beck pubblicato su ENERGY & ENVIRONMENT VOLUME 19 No. 7, 2008.

50 Years of continuous measurement of CO2 on Mauna Loa

Per capire bene il lavoro di Beck, inoltre, si può consultare anche quest’altro lavoro.

In questi lavori Beck, spulciando i risultati di diverse migliaia di analisi chimiche su campioni d’aria, contesta i risultati cui è giunto Keeling a proposito dell’evoluzione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera sulla base del record di Mauna Loa. Secondo Beck la concentrazione di CO2, nel passato, anche recente, ha conosciuto picchi molto più alti di quelli universalmente accettati. Uno di questi picchi (più di 400 ppmv) registrato intorno agli anni ’40, in concomitanza dell’anomalo andamento delle SST di cui abbiamo parlato in precedenza, a suo giudizio, sarebbe stato una conseguenza dell’aumento delle temperature globali. Ciò avrebbe avvalorato l’ipotesi che la concentrazione di CO2 aumenta in seguito all’aumento della temperatura e non viceversa.

Anche in questo caso i famosi campanellini hanno tintinnato piuttosto violentemente spingendomi a cercare di vederci più chiaro. Dopo aver letto i lavori di Beck mi sono reso conto che molte erano le debolezze delle tesi che li caratterizzavano per cui non mi sento di condividerne le conclusioni. Gran parte dell’articolo del 2008 è dedicata a dimostrare che Keeling e Callendar hanno deliberatamente trascurato i risultati delle analisi chimiche eseguite nel corso del 19° secolo e nella prima parte del 20°. Essi, a tali risultati, prima del 1958, hanno preferito i dati proxy derivanti dalle carote di ghiaccio. Beck reputa questi dati meno precisi di quelli di origine chimica.

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I dati NOAA aggiornati a settembre 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale terra+oceano (GHCN-M 3.2.0) scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di settembre 2012.

Sono ormai note e discusse le modifiche al software di gestione delle disomogeneità nel passaggio da GHCN-M 3.1.0 a GHCN-M 3.2.0 (informazioni qui.

Si può trovare una descrizione dell’aggiornamento precedente (agosto 2012) qui e qualche commento qui.
Tutti i grafici e i dati numerici sono disponibili qui.

Dal post precedente risulta chiaro che il passaggio alla versione 3.2 di GHCN è un salto importante e tale da rendere senza senso il confronto con novembre 2011, primo dataset disponibile della versione 3.1. Da questo mese tutti i confronti vengono fatti fatti rispetto ad agosto 2012 e viene azzerata la descrizione dell’evoluzione temporale dei parametri.
La differenza di anomalia tra agosto ’12 e settembre ’12 (pdf) è

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Secchi, SST e … campanelli

Negli anni ormai lontani dei miei studi universitari imparai due lezioni molto importanti di cui ancora oggi sono grato ai miei vecchi professori. La prima riguarda le misurazioni e gli errori nelle misurazioni. Mi fu insegnato che la misurazione non è mai precisa, ma sempre affetta da errori (sistematici e/o accidentali). A meno che, come amava dire il compianto prof. E. Vitelli, l’Arcangelo Gabriele, mosso a compassione, non venisse a suggerirci il valore esatto della misura.

L’altra lezione riguardava lo scopo stesso dell’istruzione universitaria ad indirizzo scientifico. Il prof. M. Pagano, in proposito, amava dire che il suo compito era quello di creare, nella nostra mente, una rete a maglie quadre costituita da fili all’incrocio dei quali vi era un campanellino il cui scopo era quello di tintinnare quando qualcosa non quadrava. Uno di questi campanelli tintinnò nell’aprile del 2009 durante la lettura di un articolo pubblicato sul n° 488 di “Le Scienze”:

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La discontinuità del 1945
La curva delle temperature globali degli ultimi 150 anni presentava un picco inspiegabile intorno al 1940. Analizzando i dati si è scoperto che era dovuto a una discontinuità nei rilevamenti delle temperature marine.

Di Antonio Zecca e Luca Chiari

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Stima delle Temperature Medie Annue in Val Padana durante l’Optimum Medioevale

Premessa e metodi

Questo post riassume una serie di conclusioni a cui ero pervenuto nel 2010 in collaborazione con il professor Crescenti (Crescenti e Mariani, 2010) a partire dai seguenti dati di tipo paleobotanico o provenienti da fonti documentali.

  1. Giuseppe Berruti (1998), citando documenti d’archivio, formula l’ipotesi secondo cui  nella fase calda medievale si coltivasse olivo da olio a Monno, a 1066 msm. Lo stesso Berruti (1998) scrive che l’alpeggio in Val Camonica fino al 1500 aveva inizio circa 60 giorni prima di oggi.
  2. Lamb (1966) riporta che nel medioevo la viticoltura britannica raggiungeva 53° di latitudine Nord (East Anglia) e quella tedesca i 55° di latitudine Nord (Prussia Orientale).
  3. Monterin (1937) ci indica la presenza della coltura della vite durante il medioevo a San Valentino sopra Brusson, in Val d’Aosta e fornisce importanti indicazioni sul limite della vegetazione arborea nel medioevo.

Questo ci dicono alcune fonti.

Ora ci si domanda se sia possibile tramutare le suddette testimonianze storiche o i reperti paleobotanici in indicazioni quantitative, il che costituirebbe un obiettivo importante in sede di climatologia storica.

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Scivoliamo verso il PETM: Whoosh!

Il professor Ugo Bardi ha scritto sul blog “Mondi sommersi” questa frase:

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Ugo Bardi 08 settembre 2012 14:55

Eemiano….. ? Sarebbe bello se il collasso si arrestasse con qualcosa di simile all’Eemiano. Purtroppo, la quantità di CO2 che c’è oggi nell’atmosfera è molto superiore a qualsiasi valore riscontrato nel passato milione di anni. L’Eemiano passa con un rumore tipo “whoooosh” mentre ci dirigiamo a tutta forza verso il PETM.

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Per chi non lo sapesse; come non lo sapevo io,  whoosh vuol dire scivolare velocemente, è onomatopeico:  il suono della parola imita il rumore degli sci che scivolano sulla neve.

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