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Categoria: Climatologia

Monsoni, sorprendente, più che l’AGW pare che ci metta del suo la Natura

Dei Monsoni, l’evento atmosferico e climatico a scala stagionale più significativo per le terre emerse delle latitudini tropicali abbiamo già parlato qualche mese fa, analizzando e leggendo, due lavori usciti in tempi più o meno recenti sull’argomento.

 

Oggi torniamo a parlarne sia pur brevemente perché è uscito un altro paper sui PNAS, ripreso e spiegato su Science Daily, che mette in dubbio il potenziale di cambiamento della circolazione monsonica del contributo antropico alle dinamiche del clima ponendo invce l’accento sulla variabilità naturale.

 

Northern Hemisphere summer monsoon intensified by mega-El Niño/southern oscillation and Atlantic multidecadal oscillation

 

 

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Messaggi in bottiglia: un nuovo proxy geologico dell’Arctic Oscillation mostra una ciclicità a 1500 anni analoga a quella degli eventi di Bond e di Dansgaard-Oeschger

Un titolo esoterico per un articolo che si propone di porre l’accento su alcuni interessanti elementi legati sia all’evoluzione del clima europeo nel corso della glaciazione di Wurm e dell’Olocene sia alla prevedibilità del clima stesso.

Ma procediamo con ordine vedendo anzitutto di chiarire cosa si intende per eventi di Bond e di  Dansgaard–Oeschger.

 

Gli eventi di Bond (Bond et al., 1997) sono fluttuazioni climatiche del Nord Atlantico che si sono verificate mediamente ogni ≈ 1470 ± 500 anni lungo l’intero Olocene (info qui).  In base soprattutto allo studio delle oscillazioni nei depositi di detriti trasportati dai ghiacci oceanici (i messaggi in bottiglia del titolo) sono stati identificati un totale di 8 eventi che possono a ragione essere considerati i parenti interglaciali degli eventi di Dansgaard-Oeschger, riscaldamenti improvvisi manifestatisi in numero di circa 25 nel corso della glaciazione di Wurm.

Agli studi di Bond si richiama la letter di Darby et al  (2012) pubblicata sul numero di dicembre di Nature geoscience, in cui si descrive quello che può essere considerato come un nuovo proxy dell’AO (Artic oscillation) e  dunque del NAO (un analogo di AO) valido per gli ultimi 9000 anni.

 

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Da Marcott e Shakun, servizi di datazione e generazione Hockey Stick

Si trova di tutto nel panorama scientifico del clima, anche quello che potrebbe essere paragonato ad un temporary shop della datazione dei dati di prossimità. Avete delle carote di ghiaccio, dei sedimenti, qualcosa insomma da cui si possa tirar fuori una temperatura del passato la cui datazione non fa alla bisogna della vostra ricerca? Rivolgetevi a Marcott e Shakun, otterrete un servizio di revisione della datazione dei vostri proxy rapido ed efficiente, entrando in possesso di dati perfettamente attinenti a quello che vi siete riproposti di dimostrare.

 

Dunque, l’antefatto è questo, cioè il nuovo paper di Marcott et al. uscito su Science che riprone l’Hockey Stick di Michael Mann. Già nel nostro primo commento, avevamo accennato alle prime critiche che si aggiravano sulla rete. Ora c’è stato il tempo di approfondire e più si scava, più si capisce che siamo di fronte all’ennesimo esempio di pessima scienza.

 

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Milancovich addio?

L’8 marzo 2013 è uscito un comunicato stampa del CNR con l’annuncio di un articolo pubblicato su Science e redatto da un gruppo di ricerca europeo comprendente scienziati dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) di Venezia (Parrenin et al., 2013). Il comunicato stampa aveva l’emblematico titolo “CO2 causa dell’ultima deglaciazione”, il quale  parrebbe a prima vista avvalorare l’idea che la teoria di Milutin Milancovich (1879-1958) sulla causa astronomica delle glaciazioni quaternarie sia ormai obsoleta, vittima dell’onnipotente CO2.

 

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Il ritorno dell’Hockey Stick

Ebbene sì, a volte ritornano. Avete presente le trame horror generiche medie? Un crescendo di malefatte da parte del pazzo o del fantasma della situazione, poi l’ultimo dei buoni che riesce a salvare la pelle magari rispedendo il pazzo o il fantasma in questione da dove era venuto, poi scatta la doccia ristoratrice finale e…zac, scatta anche la coltellata definitiva subito seguita dai titoli di coda.

 

L’Hockey Stick di Michael Mann, la ricostruzione delle temperature emisferiche prima e globali poi, è probabilmente il pezzo di letteratura scientifica in ambito climatico attorno al quale si è più discusso e, climategate, insegna, anche litigato. Per quanti non dovessero avere ben presente di cosa parliamo c’è una pagina di wikipedia che, sebbene addolcita dal sapiente filtro dell’estensore poi privato dei diritti per qualche tempo, rende bene l’idea della situazione. Il punto su cui si è discusso di più e che soprattutto ha indebolito di più i risultati acquisiti da Mann, è stata la scelta dei dati di prossimità impiegati per la ricostruzione e il trattamento statistico degli stessi. Fatto sta che quella ricostruzione è stata un’icona del terzo report IPCC ed è stata invece eliminata dall’ultimo.

 

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Mirror Posting: Il Punto sul Global Warming

Aldo Meschiari, già amico di CM da parecchi anni, mi ha mandato il link di un suo articolo uscito sul Meteogiornale. Ricevuta la sua autorizzazione, lo ripropongo di seguito. Buona lettura,

gg

 

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La situazione attuale – Gli ultimi dati provenienti dai cinque indici principali (GISS, NCDC, HadCrut, RSS, UAH) che rappresentano la temperatura media globale non cambiano una situazione consolidatasi da circa 15 anni. Come ammette lo stesso IPCC, è infatti dal 1998 che non si assiste ad un trend evidente. D’altra parte, con l’ultimo salto termico del 1998, le temperature sono posizionate sui livelli massimi del Global Warming.

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Aerosol: poca trasparenza e molta supponenza

Cina sì, Cina no. India idem. I grandi novelli inquinatori del Pianeta d’ora in poi avranno un grattacapo in meno. Dopo aver imparato a puntino la lezione dal mondo occidentale che li ha preceduti nella corsa al progresso, ora respirano l’aria mefitica che deriva dalle attività industriali, ma almeno non possono essere accusati di concorso di colpa in termini climatici. Vediamo perché.

 

Spunta fuori un nuvo studio condotto da un team della Colorado University circa l’impatto degli aerosol sulle dinamiche del clima negli ultimi dieci anni. L’obbiettivo è quello di cercare di capire perché nonostante il global warming ci sia non si riesca a vederlo, cioè capire perché le temperature abbiano smesso di crescere da tre lustri e oltre, mentre noi continuiamo ad emettere CO2 facendoci beffe di conoscenze da molti ritenute ormai acquisite.

 

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Un Pianeta fatto d’acqua, dei modelli fatti d’aria

Pochi giorni fa abbiamo pubblicato un post che metteva in evidenza il progressivo disaccoppiamento che sta intervenendo tra il trend delle temperature media superficiali globali osservato e quello simulato. Come è accaduto a suo tempo per il set di modelli utilizzato per l’AR4 (CMIP3), anche per le simulazioni multime utilizzate per il redigendo AR5 questo disaccoppiamento diventa man mano più evidente man mano che ci si allontana nel tempo dalla zona “tuned”, cioè dal periodo in cui le simulazioni possono essere tarate con le osservazioni.

 

In sostanza, quando i modelli piuttosto che tentare di riprodurre quanto accaduto vengono lanciati verso il futuro, la distanza che li separa dalla realtà diventa più grande. Quel futuro, naturalmente, diventa poi presente e passato, si consolidano le osservazioni e il problema diviene insolubile: quello che ci si aspettava dovesse accadere, non è accaduto, non sta accadendo.

 

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Antò, fa caldo…

Era la frase chiave di un riuscitissimo spot pubblicitario. Troppo caldo per fare certe cose evidentemente. Ma si potrebbe anche prendere ad esempio il testo dell’altrettanto ben riuscita canzone di Pino Daniele “Voglio di più“, che recita: “…mentre a sud il caldo ti ammazza e ti viene voglia di cambiare”.

 

Pare che li dovremo rispolverare entrambi, almeno così dice il Corriere, perché lo dice Nature Climate Change, perché lo dice la NOAA.

 

Reductions in labour capacity from heat stress under climate warming – Dunne et al., 2013

 

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La (ri)scoperta delle situazioni di blocco

Che cosè una situazione di blocco in termini atmosferici? Semplice e al tempo stesso complicatissimo, specie in termini di previsioni. Si tratta sostanzialmente di un rallentamento dei flussi atmosferici, che la circolazione generale dell’atmosfera vuole che scorrano mediamente con direttrice ovest-est nell’emisfero boreale. Con la parola “mediamente”, si sottende il fatto che questi flussi, anche se a volte assumono un andamento conforme ai paralleli acquisendo anche elevata velocità, sono in verità piuttosto ondulati. In sostanza l’aria non corre mai o quasi mai in modo rettilineo da New York a Lisbona, ma piuttosto si sposta seguendo delle ondulazioni che a volte sono più marcate, altre volte lo sono molto meno. Generalmente, l’accentuazione di queste onde dipende dalla posizione e dal vigore delle figure bariche permanenti o semi-permanenti, anch’esse frutto delle dinamiche della circolazione generale.

 

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Il Global Warming latita, ma i modelli insistono

Sinceramente , sebbene sia giunta a latere di bel altre e ben più spaventevoli considerazioni, l’ammissione da parte del capo dell’IPCC circa il fatto che la temperatura media superficiale globale non ha subito alcun trend significativo negli ultimi 17 anni, è decisamente un bel passo avanti. Certo, ha anche detto che, perché questa assenza di trend possa avere un impatto sull’andamento nel lungo periodo di anni ce ne vorranno 30 o 40 ma al riguardo può stare tranquillo, di tempo ne abbiamo.

 

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Il livello del mare crescerà molto più del previsto (peggio di quanto pensassimo)!

Qualche settimana fa, qui su CM, sono stati pubblicati due post (qui e qui) in cui si commentavano le conclusioni di due articoli che analizzavano l’andamento del livello del mare (regionale nel primo caso e globale nel secondo). Di recente sono stati pubblicati altri due articoli:

 

 

Entrambi gli articoli analizzano il trend di aumento del livello medio del mare negli anni futuri.

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Lavorare meno raffreddarsi tutti

L’ultimo uovo di colombo in materia di lotta al clima che cambia, con l’uso del termine lotta fa il paio con il titolo  di questo post. Viene dal Center for Economic and Policy Research la soluzione a tutti i nostri mali: per limitare le emissioni di gas serra e quindi avere a che fare con meno cambiamenti climatici (sic!), sarebbe sufficiente ridurre le ore di lavoro. Trattasi naturalmente di un report nuovo di pacca:

 

Reduced Work Hours as a Means of Slowing Climate Change

 

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Uhm…due gradi in più sono comunque meglio di niente…

I lettori più assidui di questo blog ricorderanno che qualche giorno fa abbiamo commentato l’apparizione nella blogosfera climatica della bozza di secondo ordine del futuro 5° Report IPCC. Un documento interessante, oltre che per il suo valore intrinseco, anche per quello che si potrebbe definire un accenno di cambiamento di rotta rispetto alle monolitiche convinzioni che hanno accompagnato nel recente passato il lavoro del Panel.

 

Ad oggi, tuttavia, non è dato sapere se questo cambiamento riguarderà anche uno degli argomenti più centrali in ordine al dibattito sul clima, ovvero la sensibilità climatica, cioè la stima dell’aumento delle temperature medie superficiali che sarebbe lecito attendersi per un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto all’era pre-industriale.

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Ventidue anni, quattro report, un’immagine

Ventidue anni, quattro report, un’immagine, quella qui sopra. Più naturalmente centinaia di migliaia di pagine a contorno.   Dal primo al quarto report IPCC a…

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