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Categoria: Climatologia

Il livello del mare cresce molto più del previsto, ma anche molto meno del previsto: per cause prevalentemente naturali, però!

Nel recente passato ho avuto modo di esporre (qui e qui CM), alcune considerazioni relative ad articoli che si occupano del livello del mare e, in particolare, delle variazioni della velocità di aumento del livello del mare. Dal confronto delle varie pubblicazioni si può facilmente capire che la questione della velocità di variazione del livello del mare è piuttosto controversa: se da un lato molti autori sono propensi a scommettere su un forte aumento della velocità di variazione del livello del mare nei prossimi decenni, altri sono piuttosto scettici e propendono per un aumento del livello del mare piuttosto modesto. Le due linee di pensiero si rifanno, in linea di massima, a due modi differenti di stimare le variazioni del livello del mare: da una parte troviamo i fautori della modellazione semi-empirica, dall’altra i fautori dei modelli globali che stimano l’evoluzione dei fattori fisici che contribuiscono alla variazione del livello del mare nel futuro.

 

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Un clima insensibile ma di gran moda

Un paio di settimane fa abbiamo parlato del nuovo paper pubblicato sulla rivista dell’AMS a firma di Nick Lewis sulla sensibilità climatica. Uno studio che va a collocarsi tra quelli che, specie negli ultimi tempi, sono orientati a descrivere il sistema climatico come scarsamente sensibile al forcing antropico. Per sensibilità climatica, lo ripetiamo per quanti non dovessero essere addentro al problema, si intende il riscaldamento atteso in ragione di un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera rispetto ai valori pre-industriali e scaturisce dalla somma del contributo diretto della CO2 più quello, amplificante o mitigante, di tutti i meccanismi (noti e non) che si metterebbero in moto in ragione di questo contributo. E’, di fatto, il tema centrale del dibattito sulle origini del riscaldamento globale e, soprattutto, sulla sua evoluzione.

 

A dimostrazione del fatto che la questione sia tutt’altro che conclusa, anche questo paper ha suscitato un vibrante dibattito nell’ambiente scientifico. La discussione si è accesa molto rapidamente, come ormai accade spesso da quando la rete si è popolata di ambienti di discussione cui contribuiscono anche molti autorevoli scienziati, segnando una volta di più dei punti in favore del libero scambio delle informazioni anche al di fuori dei normali canali delle pubblicazioni scientifiche.

 

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Ai nastri di partenza una nuova fase climatica? – Parte III

Le due parti precedenti le trovate qui e qui, poi, a breve, sarà disponibile un documento in pdf per il download di tutto il lavoro. Questo post resterà in evidenza per qualche giorno, quelli che seguiranno li trovate subito sotto.

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Nella terza parte ci apprestiamo a ricercare le possibili cause del riscaldamento globale che ha interessato il nostro pianeta a partire dalla metà del 1850 e più segnatamente dai primi anni del XX secolo. Premetto che sono solitamente molto restio nel trattare la variabile temperatura per diverse ragioni. La prima riguarda la non chiara attendibilità oggettiva dovuta al diverso trattamento dei dati, tanto che nei data-set disponibili si riscontrano anche notevoli differenze. La seconda è dovuta alla spesso difforme classificazione secondo gli standard WMO delle stazioni di rilevamento con la loro reale ubicazione, la distribuzione areale delle stesse essendo concentrata in massima parte nell’emisfero boreale e nella fascia delle medie latitudini degli USA, Europa e Asia orientale. Per il resto, in assenza di dati certi, si usano tecniche matematiche di interpolazione e omogeneizzazione.

 

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Insensibilità climatica

Se a qualcuno fosse sfuggito, per quanto vi si voglia girare intorno, per quanto lo si possa arricchire con scenari catastrofici e risibili analogie con un clima attuale tutt’altro che disfatto, il tema del riscaldamento globale, mutato successivamente in cambiamenti climatici per latitanza del riscaldamento e poi in disfacimento climatico per comodità di comunicazione, è riassumibile in un unico problema: quanto si può scaldare il Pianeta in ragione dell’accresciuta concentrazione di gas serra (specie CO2) in atmosfera?

 

I più scaltri avranno già capito, anche oggi parliamo di sensibilità climatica, appunto il parametro che dovrebbe rappresentare quel “quanto”. Torniamo a farlo perché questo tema, in realtà molto tecnico, sta conoscendo una discreta diffusione anche sui sistemi di comunicazione generalisti specie nell’ultimo periodo, grazie all’eccellente pagina pubblicata sull’Economist un paio di settimane fa. In soldoni, più passa il tempo, più aumentano le conoscenze in questo settore. Questo potrà forse far sentire sollevati quanti pensano che si stia camminando sull’orlo del baratro climatico, perché questo miglioramento del livello di comprensione scientifica il baratro lo sta allontanando, nel senso che, man mano, l’aumento di temperatura “atteso” in ragione di un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali, si sta riducendo. Infatti, ci si sta avvicinando sempre di più al limite inferiore delle stime comprese tra 1,5 e 4°C dell’ultimo report IPCC (con valore più probabile di 3°C).

 

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Un mare caldo pieno di acqua fredda

Appena ieri abbiamo accennato all’uscita di un nuovo studio che attribuisce la recente stasi delle temperature medie superficiali globali ad un’accresciuta capacità degli oceani di assorbire il calore in eccesso. Calore che, neanche a dirlo, prima o poi dovrebbe tornar fuori tornando a far crescere le temperature come da previsioni climatiche. Gli autori di questo paper hanno concentrato la loro attenzione sullo strato che va dalla superficie a 700 metri di profondità.

 

Siamo quindi nel territorio della “ricerca del calore scomparso”, quel missing heat salito alla ribalta del dibattito sul clima ai tempi del climategate, quando leggemmo che Kevin Trenberth, famoso climatologo, si disperava con i suoi colleghi del fatto che non si riuscisse a spiegare come mai, nonostante il persistere del forcing antropico, si riscontrasse un riscaldamento dello strato superficiale degli oceani largamente inferiore alle previsioni. Il calore, in tutta evidenza, dovrebbe essere nascosto da qualche parte, a meno che le proiezioni non siano sbagliate, a meno che la relazione attività antropiche-disfacimento del clima non sia sbagliata. Chi legge sa come la pensiamo al riguardo, ma oggi non parliamo di questo, restiamo sulla faccenda del calore.

 

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Il Global Warming è vivo e lotta insieme a noi

Alcuni giorni fa è uscito sulle pagine di Meteoweb un articolo sulla scia di quelli che abbiamo publicato anche sulle nostre pagine negli ultimi tempi. L’argomento è l’inversione di tendenza che si sta notando sia sulla letteratura scientifica che sull’orientamento dei media in ordine ai temi del catastrofismo climatico.

 

Gli amici di Meteoweb, fanno notare come anche il quotidiano italiano più schierato sui temi del disfacimento climatico – La Repubblica – si sia accennato al pezzo dell’Economist sulla sensibilità climatica che ha praticamente dato il via ad un processo che potremmo definire di “mitigazione della preoccupazione”, così, tanto per restare in argomento.

 

Il periodo del pezzo su Repubblica che in apparenza meglio riassumerebbe questo cambiamento dell’orientamento è il seguente (neretto mio):

 

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Un proxy per l’Oscillazione Artica e connessione con TSI

Recentemente su CM è apparso un post di L. Mariani su un lavoro di Darby et al.,2012 (v. bibliografia. Da qui in poi userò il termine articolo per questo lavoro. Abstract e figure qui). Gli autori utilizzano un dataset della percentuale di granuli di ferro trovati in carote ottenute al largo dell’Alaska (JPC16) ma provenienti notoriamente, per via della composizione chimica particolare, dal Mare di Kara (d’ora in poi Kara) come proxy per l’Oscillazione Artica positiva (+AO). Dall’analisi spettrale di questo dataset derivano la presenza di un massimo a circa 1600 anni, compatibile con gli eventi di Bond. Non trovano lo stesso massimo nel dataset dell’irraggiamento solare totale (TSI, Steinhilber et al, 2009) e, dopo molte prove e usando anche carote del Mare di Leptev, deducono che la variabilità solare non influenza l’Oscillazione Artica, nel senso che il massimo di 1500-1600 anni è il risultato o della variabilità interna del sistema climatico o di un’influenza indiretta della forzante solare alle basse latitudini.

 

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Danni da maltempo, ancora niente clima.

I lettori mi scuseranno per il titolo un po’ criptico, quasi ai limiti del non senso in termini lessicali. Ma quelli che ci seguono con più continuità avranno già capito che torniamo a parlare della relazione tra gli eventi intensi o estremi e i danni da essi causati, cercando di capire se i ripetuti proclami di deriva del sistema atmosferico verso manifestazioni più violente per un non meglio specificato disfacimento climatico abbiano o no un minimo di fondamento.

 

Naturalmente, i soggetti più interessati agli eventi intensi, oltre naturalmente a quanti vi si trovano fisicamente coinvolti, sono quei soggetti economici che operano nel settore della protezione dal rischio. Una parte consistente  della letteratura esistente in materia infatti è redatta direttamente da questi soggetti o da essi commissionata a esperti del settore. Nel primo caso è forse più corretto parlare di letteratura pubblicistica, nel secondo invece si tratta di pubblicazioni scientifiche vere e proprie.

 

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Un mese di meteo – Marzo 2013

IL MESE DI MARZO 2013* 

 

Nel mese di marzo hanno prevalso condizioni di instabilità intervallate da brevi e temporanee stabilizzazioni. In complesso piovosità anomalmente abbondante su gran parte dell’area, accompagnata da anomalia negativa al settentrione, specie nelle massime. I flussi alla media troposfera sono stati caratterizzati da una elevata velocità per il flusso secondario, che ha mantenuto anche una accentuata zonalità, e da una circolazione molto più lenta per l’area di transizione. Gli indici barici di riferimento per l’area Euro-Mediterranea (AO e NAO) si sono mantenuti in territorio negativo, in particolare l’Oscillazione Artica ha raggiunto valori molto bassi, favorendo la persistenza, anche sulle medie latitudini Europee, di una massa d’aria continentale di origine polare. Ne è risultato un periodo anomalmente freddo per gran parte dell’Europa, con anomalie negative dai tempi di ritorno pluridecennali anche per il Regno Unito. In area mediterranea, la zonaliltà del flusso secondario ha tuttavia mitigato in parte gli effetti di una tale struttura circolatoria.

 

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Global warming: piogge tropicali alla deriva

La settimana scorsa è apparso su Science Daily un articolo con questo titolo:

 

Rising Temperature Difference Between Hemispheres Could Dramatically Shift Rainfall Patterns in Tropics

 

Si tratta del commento ad un articolo dell’AMS:

 

Interhemispheric temperature asymmetry over the 20th century and in future projections – AMS, Friedman et al., 2013 (pdf qui)

 

L’argomento è di per se’ interessante perché si pone il problema di investigare il comportamento asimmetrico dei due emisferi in ragione della tendenza all’aumento delle temperature medie superficiali. Prima di entrare nel merito nel paper, è importante ricordare che esiste una asimmetria climatica tra i due emisferi, dettata soprattutto da sostanziali differenze geografiche, con l’emisfero settentrionale che ospita la maggior parte delle terre emerse e le catene montuose più importanti e quello meridionale dominato dalla superficie degli oceani e quindi con un’inerzia termica più elevata. Questo implica delle differenze importanti a livello di circolazione atmosferica e di temperatura media.

 

 

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Ai nastri di partenza una nuova fase climatica? – Parte II

Con il precedente articolo abbiamo osservato gli andamenti dell’anomalia della temperatura globale, l’anomalia della copertura nevosa dell’emisfero nord negli ultimi quattro mesi e l’anomalia della copertura nevosa in zona euroasiatica a partire dal 1967.

 

La temperatura globale a partire dal 1880 (inizio serie del dataset dell’NCDC) ha subito due aumenti importanti, il primo tra il 1912 e il 1944 (32 anni) e il secondo tra il 1977 e il 1998 mantenendosi tale fino al 2010 (33 anni). Tra il 1944 e il 1977 (33 anni) si è invece osservato un periodo in cui le temperature hanno subito una lieve flessione. Per quanto riguarda la copertura nevosa in zona euroasiatica abbiamo osservato una tendenza netta alla diminuzione dal 1967, inizio serie, fino al 1990-1991. A seguire, pur rimanendo sostanzialmente sotto media, si è registrata una tendenza ad una timida ripresa.

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Un periodo di 32 anni nella TSI e in GHCN-M?

Sì, lo so che le serie di temperatura cambiano pendenza circa ogni 30 anni in Hadcrut3 c’è una periodicità di 32 anni Scafetta (2012) ricostruisce…

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